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Serie A: pochi soldi Il calciomercato ormai è un ricordo

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CRISI Il pallone italiano, sommerso da debiti e affondato da gestioni incaute, fa i conti con la realtà I talenti migliori se ne vanno in Premier League e l’arabia Saudita si prende quelli che rimangono Bisogna prima vendere per poter comprare. Nuove grane

Lorenzo Vendemiale

Nella favola della cicala e della formica, l’estate è la stagione della dissipatezza: si mangia e si beve incuranti dell’inverno alle porte. Così era il calciomercato per la Serie A: un movimento che, agonizzante già da un bel pezzo, almeno sotto l’ombrellone sognava ancora, vagheggiava colpi e grandi acquisti. Adesso neanche più quello. Il pallone italiano – che secondo i dati dell’ultimo Reportcalcio Figc nella stagione 2021/22 ha bruciato 1,3 miliardi di euro, ed è arrivato ad accumulare 4,9 miliardi di debiti – fa i conti finalmente con la realtà. La stagione del mercato è finita: a pochi giorni dall’inizio del campionato, l’inter si ritrova formalmente ancora senza portiere, la Roma non ha uno straccio di centravanti, la Juve cerca di piazzare Vlahovic per fare cassa e consolarsi col vecchio Lukaku. Le nostre squadre non è che non vogliano comprare, proprio non possono: imbrigliate dai lacci della crisi in cui si sono cacciate con anni di gestione scellerata.
I TIFOSI si mettano l’anima in pace: se il calciomercato langue, è perché diverse big ce l’hanno bloccato. Prendiamo la Juventus, sopravvissuta allo scandalo plusvalenze. Che a Torino sarebbe stata un’estate difficile si sapeva. Ciò che non è noto, ma che Il Fatto è in grado di anticipare, è che la Juve in questo momento ha un grosso problema con l’indice di liquidità, il parametro Figc (rapporto fra attività e passività correnti) che serve a dimostrare la capacità di un club di rispettare gli impegni a breve. A quanto risulta al Fatto, la Juve sfora di oltre 100 milioni: un’altra delle eredità dell’era Agnelli. A febbraio 2024 scadrà un bond da 170 milioni che, non essendo stato ancora rifinanziato, è entrato nei debiti a breve termine, facendo precipitare l’indice. Perciò ora il mercato è fermo non solo politicamente, ma proprio tecnicamente: chi non rispetta l’indice, infatti, non può comprare senza prima vendere; la sessione trasferimenti deve essere a saldo zero. Poco male. La dirigenza non aveva comunque intenzione di fare follie, visti i bilanci: l’ultimo (chiuso a giugno 2022) è in rosso di 240 milioni, mentre il 2022/23 dovrebbe chiudersi intorno ai -100; nel 2023/24 l’esclusione dalla Champions per il processo plusvalenze (danno da 80 milioni) rischia di far risprofondare i conti a -180, senza un’inversione di tendenza. La missione della nuova gestione è competitività, ma anche sostenibilità. Di qui la necessità di vendere Vlahovic. L’alternativa per rimuovere il blocco sarebbe l’iniezione di capitale da parte della proprietà. Non è prevista per ora, non è detto non sia necessaria in futuro.
Le preoccupazioni sarebbero anche maggiori se l’indice di liquidità fosse stato necessario all’iscrizione in campionato, come voleva la Figc di Gravina. Una battaglia che il solito Lotito
ha combattuto e vinto, in maniera strenua e forse non proprio disinteressata: la sua Lazio storicamente ha fatto fatica a rientrare in questo parametro, che a dire il vero non è certo il migliore per misurare lo stato di salute di un club (ci sono squadre indebitate per centinaia di milioni che lo rispettano). Anche l’estate 2023 per i biancocelesti era partita col gap (si parlava di poco meno di 10 milioni). I sauditi, sborsando 40 milioni per Milinkovic, hanno tolto più di una castagna dal fuoco a Lotito. Ma il senatore-patron, tra un emendamento e una riunione di mercato, aveva comunque risolto il problema con una trovata delle sue: ha ottenuto dalla Lega Calcio di scontare in anticipo i crediti Uefa per la partecipazione alla prossima Champions. E così può avere mani libere sul mercato: chissà se alla fine accontenterà Sarri. Le altre squadre fuori dall’indice a fine luglio sarebbero Cagliari, Verona e Frosinone (in via di risoluzione).
Poi c’è chi fa i conti coi limiti imposti dall’europa. Ne sanno qualcosa sull’altra sponda della Capitale: la Roma deve fare mercato, ma il settlement agreement sottoscritto con la Uefa per il Fair play finanziario stabilisce che il costo complessivo della rosa (ammortamenti più stipendi dei calciatori) non potrà essere superiore a quello dello scorso anno. Significa che prima di comprare bisogna liberare spazio in lista, dove per altro c’è pure l’infortunato Abraham, il centravanti e giocatore più costoso. Difficile migliorare una squadra a queste condizioni: mutando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Così il malcapitato Thiago Pinto si muove tra l’incudine della Uefa e il martello di Mourinho che pretende rinforzi: ha rastrellato un paio di parametri zero (Aouar, Ndicka, almeno non hanno ammortamento) ma non ha ancora trovato la punta. La piazza rumoreggia.
SITUAZIONE SIMILE all’inter, dove il settlement agreement non è un grosso grattacapo: a differenza dei Friedkin, la proprietà cinese a mettere altri soldi non ci pensa proprio. Il bilancio piange (sarebbe stato drammatico senza la cavalcata quasi trionfale in Champions) e il mercato a saldo zero è considerato un’ovvietà. Anzi, dagli acquisti in prestito (Frattesi, Samardzic) e i traccheggiamenti per rateizzare le clausole di Bisseck e Sommer, viene il sospetto che il club abbia proprio problemi di liquidità e anche il singolo milione ormai sia prezioso per le casse nerazzurre.
Insomma, il calciomercato in Italia è un ricordo. Oggi prima si vende, poi si compra. E spesso ci si accontenta di giovani promesse o rincalzi. Lo confermano in fondo anche le poche eccezioni alla regola. Il Napoli campione d’italia ha perso Kim e si guarda intorno serenamente, De Laurentiis sa far di conto. L’atalanta si permette di soffiare Scamacca all’inter solo perché può reinvestire i soldi di Hojlund (passato al Manchester per 75 milioni). Il Milan ha rivoluzionato la squadra con sei acquisti (Pulisic, Chukwueze, Okafor, Reijnders, Loftus-cheek, Musah), ma comunque a fronte della cessione pesante di Tonali al Newcastle, finanziando con i suoi 70 milioni buona parte della campagna: vero player trading, l’unico modello rimasto alla Serie A (poi che funzioni anche sul campo è da vedere). E se intanto la Premier ci porta via i talenti migliori, l’arabia si prende pure le seconde linee. Se i nostri club sono condannati all’irrilevanza, o in certi casi proprio all’immobilismo, i tifosi hanno poco da lamentarsi: il non poter più spendere soldi che non si hanno è un principio sacrosanto per un movimento senza più mecenati alle spalle. Basti pensare che nel triennio del Covid le spese per stipendi (+9,6%) e ammortamenti (+19,5%) sono aumentate invece che calare. Ben vengano nuovi e più stringenti paletti sul mercato estivo: almeno eviteremo di fare la fine della cicala.

Fonte: Il Fatto