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Scioglimento delle Camere e sfiducia costruttiva: i poteri che servono al premier

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di Carlo Fusaro

Che ci si orienti per l’elezione diretta o per la legittimazione indiretta (che sarebbe più praticabile dati i vincoli del nostro bicameralismo, i cinque milioni di elettori dall’estero, i limiti delle diverse formule elettorali: tutte cose di cui parla troppo poco), il successo del premierato dipende dai poteri giuridici che si daranno al primo ministro.

Su questo il testo del governo è migliorato (ad esempio il primo ministro potrà revocare i ministri).

Ma non basta perché va meglio definito il potere di scioglimento delle Camere. E’ un tema che si lega a quello della sfiducia costruttiva, proposto da coloro cui piace il modello tedesco.

Però da noi la sfiducia costruttiva rischia di non servire; e se mal formulata potrebbe anzi indebolire, non rafforzare il primo ministro.

Serve se il cancelliere non vuole dimettersi: ma in Italia i governi son sempre caduti per crisi extraparlamentari e dimissioni volontarie, non sfiducia. (Ci sono state, in 75 anni, due sole eccezioni: protagonista Romano Prodi che sia nel 1998 sia nel 2007, si fece battere sulla questione di fiducia che il suo stesso governo aveva posto.)

Se un capo di governo (o sindaco) vuol dimettersi, infatti, nessuna sfiducia costruttiva può impedirlo.

Ma la sfiducia costruttiva di cui si parla oggi è pensata, a ben vedere, in funzione opposta rispetto a quella tedesca.

Mi spiego: con la sfiducia costruttiva non si intende tanto sostenere un primo ministro che non voglia dimettersi, ma impedire a un primo ministro deciso a sciogliere le Camere, di farlo, eleggendone un altro, che formi un nuovo governo e salvi la legislatura.

Il fatto è che oggi si discute di sistemi basati sulla legittimazione elettorale del vertice dell’esecutivo (mediante elezione diretta o mediante indicazione sulla scheda) nei quali la clausola simul simul fa sì che il primo ministro determini, dimettendosi, lo scioglimento del Parlamento (così come questo, sfiduciandolo, si scioglie): si tratta di un modello di indubbia rigidità. Per temperare questa rigidità si propone allora che i gruppi parlamentari possano eleggere, votando a maggioranza assoluta una sfiducia costruttiva, un secondo e diverso primo ministro. Ciò per garantire, appunto, una certa flessibilità.

Ma nasce inevitabilmente un problema: come evitare mutamenti della maggioranza rispetto a quella fondata sul voto (i ribaltoni)? In effetti, in Germania l’unica sfiducia costruttiva (1982) servì proprio a quello (a cambiare una maggioranza socialdemocratici-liberali con una democristiani-liberali, da Schmidt a Kohl). Il che è esattamente quanto molti riformatori non vogliono. Del resto, proprio a Bonn, si volle allora andare alle urne lo stesso, per legittimare – sia pure a posteriori -la nuova coalizione.

Dunque i riformatori devono studiare bene se e come regolare la sfiducia costruttiva onde evitare che, da noi, produca esiti controproducenti, lasciando il primo ministro debole.

Finisco. Uno: la differenza fra investitura diretta con elezione e investitura indiretta con indicazione sulla scheda, è modesta e può essere ridotta ancora se si regolano bene sfiducia e scioglimento. Due: la storia politica italiana (locale e regionale) insegna che è meglio eccedere in rigidità piuttosto che in flessibilità. Lo scioglimento, a mio avviso, dev’essere automatico o affidato al futuro primo ministro. Posso immaginare una sola eccezione: in casi davvero eccezionali, “governi di unità nazionale” votati, per esempio, a maggioranza dei due terzi (il che impedirebbe veri e propri ribaltoni). Si voterebbe forse un po’ più spesso: ma non sarebbe un male, se di norma avessimo, in cambio, governi di legislatura. Legittimati elettoralmente e responsabili davanti ai cittadini, oltre che davanti al Parlamento e ai partiti.

Carlo Fusaro