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Salute: logopedia, i nativi digitali apprendono come dislessici

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Roma, 8 nov. – Il profilo cognitivo dei nativi digitali è molto simile a quello dei dislessici, da cui potremmo ispirarci per cambiare il mondo della scuola e i suoi “antiquati” modelli di insegnamento. Nell’era digitale, infatti, le modalità di elaborazione delle informazioni è olistica e spaziale-visiva, proprio come il pensiero di tipo dislessico. Anche per questo la ricerca sul profilo cognitivo dei nativi digitali apre nuove strade nel campo dell’apprendimento e nella revisione dei modelli di insegnamento. Tutto questo mentre la scuola attuale è ancora organizzata intorno a modelli di insegnamento arcaici, che non funzionano più, basati sulla memorizzazione automatica, lezioni e interrogazioni. Serve dunque un cambio di marcia e di impostazione dell’insegnamento che tenga conto di questi nuovi fattori che fanno parte della cosiddetta GenZ. È quanto emerso nel convegno “Come prevenire le difficoltà di apprendimento degli alunni con Dsa e non, valorizzando attitudini e talenti”, organizzato dall’associazione Il Laribinto Progetti Dislessia Onlus nell’ambito della XII edizione di EXPO Training 2023, in corso alla fiera di Milano. “I nativi digitali crescono con un sistema nervoso diverso e una diversa visione della vita in confronto alle generazioni precedenti – spiega Rossella Grenci, ricercatrice nel campo dei DSA, logopedista dell’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza e autrice di numerose pubblicazioni dedicate alla dislessia e ai disturbi evolutivi del linguaggio”.

“Gli strumenti tecnologici sono stati quelli che hanno reso possibile il trasferimento di informazioni basate su stimoli spaziali-visivi, con conseguente rapido trasferimento di un’enorme quantità di informazioni, avvicinando il modo di apprendere dei nativi digitali a quello dei dislessici”, aggiunge. “A lungo etichettata come un disturbo, la dislessia (che sta all’inderno dei DSA, disturbi specifici dell’apprendimento) può essere compresa a fondo solo se valutata per quello che è: una neurodiversità”, sottolinea Maria Dimita, presidente dell’Associazione Il Laribinto Progetti Dislessia che si occupa di iniziative di supporto alle famiglie, ai ragazzi e ai docenti. “Secondo questa visione più attuale e positiva si aprono nuove vie per la realizzazione scolastica e professionale, sia di chi ha un DSA, sia dei nativi digitali in generale. Parliamo di un fenomeno rilevante, che colpisce in Italia oltre il 5% dei bambini tra scuola primaria e secondaria, cioè circa 330 mila alunni che commettono errori nella lettura, impiegano molto tempo per leggere e spesso non comprendono bene il significato di ciò che stanno leggendo. Eppure hanno un’intelligenza pienamente nella norma”, aggiunge. I ‘nuovi’ bambini, esposti fin da subito all’uso della tecnologia digitale, infatti, sviluppano strutture d’apprendimento diverse rispetto a quelle della generazione immediatamente precedente, quella dei cosiddetti ‘immigrati digitali’. Dunque elaborano in modo differente le informazioni. Questo nuovo profilo cognitivo è caratterizzato da una maggiore creatività e da una maggiore velocità nei movimenti. “Nei nativi digitali è l’emisfero destro del cervello a essere potenziato per via della capacità specifica di questa area di elaborare una grande quantità di informazioni visive”, sottolinea Grenci. “I nativi digitali vedono il sapere come un processo dinamico, apprendono per esperienza e per approssimazioni successive, imparano dagli errori e attraverso l’esplorazione, e condividono con i pari. In altre parole, hanno un approccio open source e cooperativo alle fonti del sapere. Sono dunque più veloci nel prendere decisioni, ma deboli nel pensiero metodico e accurato”, aggiunge. Di contro gli attuali modelli di insegnamento non tengono conto di questi profondi cambiamenti. Sono rimasti ancorati al passato e a un sistema che non funziona più. “È necessario dunque scegliere pratiche didattiche coerenti con i modelli della società digitale, sia per parlare agli studenti nel loro linguaggio, sia per sviluppare le competenze che la società digitale richiede e che, ovviamente, gli studenti non hanno, anche se hanno già acquisito alcuni atteggiamenti/comportamenti tipici del contesto digitale in cui sono immersi dalla nascita”, sottolinea Dimita. Il cambiamento deve riguardare, non solo i contenuti, ma anche i modelli di insegnamento.