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Regeni: giudici, da imputati brutale violenza

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“Brutale e gratuita violenza fisica e di inflizione di sofferenze corporali personali che non possono che avere prodotto, per la loro imponenza, gravissimo dolore e tormento in senso stretto, in un crescendo che ha originato l’evento morte, anche a voler trascurare il dato del patimento psicologico”. Lo scrivono i giudici della Prima Corte d’Assise di Roma nell’ordinanza con cui, questa mattina, hanno respinto le eccezioni avanzate dai difensori dei quattro 007 accusati del rapimento, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. “Le modalità prescelte per il sequestro – aggiungono i giudici – non possono che essere ispirate a quelle finalità essenziali della tortura pubblica di tipo punitivo e/o intimidatorio”. Per i magistrati, nei confronti del ricercatore italiano sono state compiute “gravi lesioni personali di natura fisica” che sono “all’origine dell’indebolimento e della perdita permanente di più organi attraverso strumenti di tortura e mezzi contundenti di varia natura (calci e/o pugni, strumenti atti all’offesa quali bastoni e mazze) sino a cagionarne la morte, con la connessa contestazione circostanziale delle aggravanti delle sevizie e della crudeltà, quand’anche rubricate nell’unica fattispecie che al tempo lo consentiva in attuazione del principio di legalità possono agevolmente ricomprendersi nel concetto più puro e minimale di ‘tortura’, così come allora vivente nell’ordinamento e semplicemente esplicitato in via postuma dall’art. 613 bis del codice penale”. Per la Corte d’Assise, presieduta da Paola Roja, inoltre, non sono da accogliere le eccezioni anche sulla “mancata identificazione degli imputati ovvero alla sua assoluta incertezza”. “Da un lato, infatti, le generalità con cui gli imputati sono stati tratti a dibattimento, talora leggermente difformi da quelle esistenti nei documenti provenienti dalle Autorità egiziane in ragione di profili di traslitterazione tra lingua araba e caratteri alfabetici occidentali, sono frutto di autodichiarazioni degli stessi, peraltro pubblici ufficiali, rese in pari atti pubblici, qui prodotti in quanto acquisiti dagli organi d’inchiesta egiziani (in particolare presso la procura Generale del Cairo), identificati da quegli inquirenti, accompagnati dall’indicazione di una professione e di una funzione di rilievo esterno che ne rendono assolutamente certa l’identità fisica, anche per il rinvio ad atti pubblici della Repubblica d’Egitto che, in ragione delle cariche svolte entro l’amministrazione statale o locale, consegnano certezza soggettiva sull’attribuzione delle condotte in ipotesi agite”. (AGI)

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