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Referendum: un flop democratico annunciato e una frattura istituzionale evidente

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di Pietro Cracò
Sul referendum abrogativo “giustizia”, con un’affluenza alle urne che costeggia il 20%, la popolazione italiana ha certificato un flop democratico annunciato. Una così bassa partecipazione, nonostante l’abbinamento col voto per i comuni, dimostra amaramente un quadro a tinte scure del panorama dei poteri dello Stato. Di fronte all’affluenza peggiore mai registrata per un referendum in Italia, non proviamo a cercare colpevoli tra i cittadini distratti o nelle temperature sopra la media che invitavano ad andare al mare. Media, politica e istituzioni hanno concorso tutti ad un finale già scritto, soprattutto nella proposizione di quesiti referendari complessi oltre che apparentemente lontani dall’interesse comune. Così il Referendum, quello che dovrebbe essere il principale strumento di partecipazione democratica diretta previsto dalla Costituzione, oggi, ha toccato il punto più basso della sua storia.
Sorvoliamo, pertanto, sulle cause varie che hanno relegato la partecipazione popolare a un disinteresse così marcato. La verità che emerge è che una tale diserzione dalle urne manifesta uno dei volti più inquietanti della crisi del sistema dei e fra i poteri dello Stato.
Il Parlamento ha perso la sua autorevolezza e prestigio già da decenni. Deputati e senatori, sempre più distanti perché non espressione di scelta popolare ma di segreterie di partito nella loro scelta tra listini elettorali bloccati, recitano, oggi, purtroppo un copione di ratifica di decisioni prese altrove tra Consiglio dei ministri e vertici dei partiti. Il Parlamento è sostanzialmente svuotato nelle sue funzioni e il referendum usato più come motivo elettorale che di riforma è scansato dagli elettori, mentre l’esecutivo, a colpi di decreti e meccanismi di fiducia parlamentare, è diventato l’organismo legislativo principe. Se le leggi le fa solo il governo in carica e le Camere ratificano, mentre lo strumento referendario è disperso nella sua funzione, ha senso parlare ancora di democrazia?
Eppure il sistema costituzionale vedrebbe il Referendum come quella prerogativa di “democrazia diretta” da affiancare al potere legislativo del Parlamento, in un ideale bilanciamento di opzioni legislative che negli anni ha svolto anche il compito meritorio di avviare l’Italia su percorsi di sensibilizzazione e modernizzazione sociale come i referendum su divorzio e aborto.
Questa volta, però, la consultazione elettorale ci ha consegnato il volto di una continua discesa della partecipazione al voto, sia amministrativo che politico in un sistema italiano bloccato e distante che perde l’opportunità di riformarsi.
Lascio a chiusura con uno sforzo di sintesi, come il Referendum, questa volta più di altre, sia anche sceso nel dibattito politico dello scontro tra i poteri dello Stato. Politicamente e soprattutto elettoralmente è stato usato come strumento per accendere l’attenzione verso un potere giudiziario già vittima di se stesso, delle sue correnti e dei suoi scandali. Nella difficoltà comune di comprendere dinamiche e poteri, la frattura istituzionale tra poteri dello Stato si acuisce sempre più in un panorama politico che vuole più ridimensionare l’autoreferenziale magistratura che migliorarla. Alla luce di un Parlamento come quello odierno e della frattura istituzionale esistente, come è allora possibile immaginare una riforma della giustizia che sia scritta per il bene degli italiani?