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Perché il 'piano Biden' spingerà il Pil Usa ma anche quello globale

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AGI – Il pacchetto di stimoli americano comporterà, per usare le parole dell’economista dell’Ocse Boone, “gradite ricadute” sulla domanda di cui i partner commerciali degli Usa beneficeranno una volta che il piano di Biden diventerà realtà.

Non soltanto l’Ocse, ma anche la Bce è di questo avviso: il presidente Christine Lagarde, ha dichiarato in conferenza stampa di ritenere che il piano Biden “avrà un impatto sulle nostre previsioni”. E ha aggiunto: “Lo vedremo tra tre mesi”.

Per l’Fmi, il piano metterà il turbo all’economia Usa, visto che nei prossimi tre anni il Pil potrà contare su un +5-6% in più e non solo: come ha spiegato il portavoce dell’istituto di Washington, il pacchetto di stimoli da 1.900 miliardi di dollari avrà “ricadute positive potenzialmente significative in termini di crescita globale”.

Non è il caso però di restare a guardare perché, ha spiegato allo stesso tempo “dobbiamo stare attenti ai rischi e i paesi devono ovviamente essere vigili e attenti a qualsiasi rischio potenziale, compresa una possibile stretta finanziaria”.

Insomma, ha aggiunto, il rischio di una “stretta improvvisa” dei tassi d’interesse non è stato escluso dagli esperti di Washington. “Come sempre, dobbiamo tenere d’occhio i rischi potenziali”, ha aggiunto il portavoce.

La più grande economia del mondo sembra quindi ad una svolta, e non solo grazie all’accelerazione delle campagne di vaccinazione, ma anche al sostegno economico delle attività finora penalizzate dall’emergenza economica dovuta al Covid. 

Si tratta di una svolta, di un cambiamento di rotta. Se per fronteggiare la crisi del 2008-2009, era stato affidato quasi interamente ai banchieri centrali il compito di cercare di stimolare l’economia attraverso denaro prestato a buon mercato e programmi non convenzionali di acquisto di asset, stavolta gli Usa fanno da apripista e la ripresa sembra improntata ad una politica di aiuti più aggressiva.

Una politica che secondo gli osservatori deve fungere anche da esempio alle economie avanzate. Come ha rilevato il Financial Times, se l’amministrazione americana ci ha messo meno di due mesi per far passare al Congresso la sua mastodontica legge di stimolo, gli europei invece stanno ancora trattando per il Recovery Plan, pacchetto di stimoli sul quale già a luglio scorso avevano trovato un accordo di principio. 

L’Ocse ha stimato che il programma di aiuti di Biden, che vale l’8,5% del reddito nazionale statunitense, insieme al rapido lancio degli sforzi di vaccinazione, solleverà il reddito globale dell’1% quest’anno.

Ed è proprio per i vaccini che secondo l’organizzazione di Parigi la Germania e l’Italia, viste le difficoltà che stanno incontrando nella distribuzione, rischiano di arrivare tardi, così pure come la Francia. 

Un’economia statunitense in piena espansione significa che la domanda economica si “riverserà” nel resto del mondo, in particolare nei suoi vicini più prossimi e più importanti partner commerciali, Messico e Canada, nonché nelle economie orientate all’esportazione dell’Asia orientale e dell’Europa.

Anche per l’Italia effetti positivi

Ovviamente anche l’Italia subirà un impulso positivo, se si calcola che verso gli Usa secondo gli ultimi dati relativi al gennaio-novembre dello scorso anno, seppur in calo rispetto agli anni scorsi, abbiamo esportato prodotti per 38,6 miliardi di cui 8,3 miliardi di macchinari ed attrezzature, e 4,2 miliardi di beni alimentari. Se i consumi ripartiranno col turbo nel paese oltreoceano, l’Italia insomma non può che festeggiare. 

In altri termini, per le economie avanzate, le implicazioni di una crescita più veloce negli Stati Uniti sono quasi interamente positive, in quanto aumentando le esportazioni potenziali si incoraggerebbe il sentimento di “rischio” che stimola gli investimenti. 

Il rovescio della medaglia

C’è però anche il rovescio della medaglia, ed è su questo che l’Fmi mette in guardia, osservando anche che i mercati stanno mostrando nelle ultime settimane un certo nervosismo.

Un’economia americana col turbo, con una domanda di beni e servizi che va alle stelle potrebbe, infatti, innescare tassi di interesse più alti a livello globale. Gli investitori scommettono che la Fed sarà costretta ad aumentare i tassi per tenere a bada la pressione inflazionistica o giudicherà opportuno inasprire la politica monetaria (leggi tassi più alti) quando l’economia tornerà vicino alla piena occupazione.

Per questo motivo, il board della Bce teme che ciò possa aumentare i costi di finanziamento, in sostanza riducendo l’efficacia dei loro sforzi di stimolo in una regione, quella europea, dove la politica monetaria rimane di gran lunga la più grande forma di stimolo. 

L’aumento dei tassi invertirà alcuni dei flussi di capitale che hanno finanziato le economie fragili e portato a un dollaro più forte, soprattutto se la ripresa degli Stati Uniti diverge da quella degli altri paesi avanzati.

I Paesi più esposti sono in una posizione migliore oggi che durante il “taper tantrum” del 2013, quando la Fed suggerì che avrebbe iniziato a ridurre il ritmo degli acquisti di asset, e le valute dei mercati emergenti crollarono.

Molti sono corsi ai ripari per costruire riserve e proteggersi così da simili deflussi riducendo la loro dipendenza da finanziamenti esterni denominati in dollari. Ma poi la pandemia ha sparigliato le carte. 

Soprattutto per le economie più dipendenti, l’aumento dei prezzi delle materie prime – sollevato dagli sforzi di stimolo della Cina e degli Stati Uniti – aiuterà gli esportatori ma si aggiungerà ai guai degli importatori.

Anche se negli economisti si alimenta la speranza per il fatto che una spinta al risparmio personale potrebbe fungere da supporto all’economia globale: con la pandemia alle spalle, i consumatori torneranno a spendere, con buona pace dell’offerta dei beni e dei servizi.

E questa prossima tendenza è stata nelle ultime settimane anticipata dai mercati petroliferi, visto che i prezzi sono volati a picchi mai visti negli ultimi mesi, con il Brent tornato a correre oltre i 70 dollari. 

In definitiva, però, come rilevano gli economisti, il mix di politiche è un miglioramento rispetto alla dipendenza post-2008 dalla politica monetaria. Un’economia statunitense più forte aiuterà così a guidare la ripresa globale.

E in Europa occorrerà accelerare sui vaccini, che finora hanno subìto dei fisiologici rallentamenti mentre i casi di Covid-19 sono rimbalzati forse più velocemente delle aspettative.

Il mercato si è reso conto che gli Usa insomma spingeranno l’economia globale ma anche che una ripresa economica diffusa potrebbe essere più lenta e più difficile di quanto previsto in precedenza, senza però che per il momento siano cambiate le aspettative secondo cui il 2021 sarà un anno di espansione economica e fiscale, lasciandosi alle spalle il 2020 – anno del Covid – come un brutto ricordo. 

Source: agi


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