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Ordine pubblico e pubblica sicurezza una legge del periodo fascista.

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Di Ettore Minniti

I recenti fatti di Napoli e Roma, nonché alcuni problemi connessi all’immigrazione clandestina,  hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica in Italia. Il sistema ‘di ordine pubblico e pubblica sicurezza’ si fonda essenzialmente sul Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza (T.U.L.P.S.), approvato in epoca fascista, con R.D. n. 773 del 18 giugno 1931, ancora in vigore, nonostante le tante modifiche, ed è definito come: ‘… il complesso dei compiti attribuite alle Autorità preposte al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza e all’incolumità dei cittadini, alla tutela della proprietà,  al  controllo  e  all’osservanza delle leggi e dei regolamenti, autorità alle quali sono affidati anche  gli  interventi  di soccorso in caso di pubblici e privati infortuni’. A  questi  compiti  provvedono  le  varie forze di preposte alla sicurezza pubblica, che operano a livello provinciale  alle dipendenze del Prefetto e del Questore e a livello locale del capo dell’ufficio di Pubblica Sicurezza locale. Questa impostazione dei compiti e delle attribuzioni dell’Autorità di pubblica sicurezza risente profondamente del  periodo  storico  in  cui  è stata formulata e di una concezione incentrata  sulla  subordinazione  dei  cittadini  ai pubblici poteri e  sulla conservazione dei rapporti sociali economici su cui si fondava il regime fascista.

In Italia si è riformato tutto, con tanto di controriforme: sanità, scuola, welfare, giustizia e tanto altro ancora. L’unica riforma che andava fatta e che non è mai stata fatta è quella relativa all’ordine pubblico e la pubblica sicurezza.

C’è da chiedersi come mai nessun Governo o movimento politico ha mai voluto porre tale argomento all’ordine del giorno e al dibattito pubblico?

Il diritto di polizia, seppur frammentato in molti altri settori dell’ordinamento giuridico, si fonda su due testi normativi quello già citato del R.D. 773/1931 e nel relativo Regolamento di esecuzione regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. In sintesi, si ritiene come una parte del diritto di polizia sia la proiezione diretta delle norme contenute nei due testi emessi entrambi in epoca fascista.

I predetti testi normativi, a distanza di molti decenni dalla loro emanazione ed entrata in vigore, rimangono ancora oggi un strumento normativo per le funzioni ed i compiti che sono demandati a tutte le forze di polizia al fine di prevenire le turbative e per garantire l’ordine, la pace sociale, così come la sicurezza pubblica dell’intera collettività.

Con l’entrata in vigore dei principi fondamentali contenuti nella Costituzione della Repubblica la stessa nozione di ‘sicurezza pubblica’ avrebbe dovuto assumere la diversa denominazione di ‘sicurezza civica’, cioè di pertinenza dei cittadini, poiché membri della comunità politica, con particolare riferimento ai valori positivi della democrazia della vita associata.

La tutela della sicurezza dei cittadini e dei loro beni dovrebbe consistere nell’assicurare le condizioni di un pacifico e ordinato sviluppo dei diritti civili e di libertà, riconosciuti dalla Costituzione, in un’ottica che dovrebbe mirare progressivamente a sostituire alla concezione autoritaria dei rapporti tra Stato e cittadini la partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. A fronte di una crescente minore fiducia dei cittadini verso le istituzioni pubbliche dello Stato, sembrerebbe che si reagisca svolgendo l’attività di tutela della sicurezza pubblica in completo isolamento, senza coinvolgere i cittadini, ancora in maniera autoritaria.

E’ il momento di rispondere alla partito dell’antipolizia, sostituendo la nozione di sicurezza pubblica con quello di sicurezza civica, riscrivendo le regole di ingaggio per le forze di polizia, in questo particolare e delicato settore della vita del Paese, stabilendone funzioni e compiti, senza dimenticare il ruolo di prefetti e della stessa autorità di pubblica sicurezza.