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Un’ora di colloquio tra Draghi e Mattarella dopo il voto al Senato

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AGI – Fallito l’ultimo tentativo di mediazione in extremis, portato avanti in mattinata dal ministro pentastellato per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, che però si infrange contro il niet di Mario Draghi (ma non mancano critiche e perplessità anche tra le forze di maggioranza), il Senato conferma la fiducia al governo con 172 voti a favore.

I 61 senatori del Movimento 5 stelle, pur perdendo un altro pezzo, la senatrice Cinzia Leone che passa con Di Maio, si presentano compatti e senza defezioni all’appuntamento e, come preannunciato, non partecipano al voto (15 risultano in missione o in congedo, tra cui il ministro Stefano Patuanelli, e 46 gli assenti ‘ingiustificati’).

E mentre in Aula è ancora in corso la ‘chiama’, seppur alla fase finale, con la presidente Casellati che non ha ancora letto l’esito della votazione, il presidente del Consiglio lascia palazzo Chigi e sale al Colle. Draghi resta a colloquio con Sergio Mattarella per circa un’ora, per poi fare rientro nella sede del governo.

Nessuna sorpresa precede il via libera alla fiducia e l’ok definitivo al decreto Aiuti, che stanzia circa 23 miliardi a sostegno di famiglie e imprese. Pd, Lega, Forza Italia, Italia viva e Insieme per il futuro, oltre alle altre forze minori della maggioranza, confermano la fiducia al governo.

Ma non è tanto il sì all’esecutivo, ampiamente previsto, da parte dei partiti a palazzo Madama a dare il senso politico della nuova crisi di governo che si sta consumando in queste ore. Piuttosto, sono le parole pronunciate dai leader e dai capigruppo in Aula: una sostanziale richiesta a Draghi a proseguire l’esperienza di governo.

Con sfumature diverse, certo, ma nessuna forza politica ha chiesto espressamente al premier di farsi da parte. Non lo fa nemmeno il Movimento 5 stelle. Come aveva già precisato il capogruppo pentastellato Davide Crippa lunedì scorso in occasione del voto finale sul decreto Aiuti alla Camera, anche la sua omologa al Senato Mariolina Castellone, scandisce che il non voto a palazzo Madama è dettato dalla mancata condivisione del merito e del metodo.

Ma nulla ha a che fare con il sostegno al governo, ovvero la linea scelta da M5s “si sottrae alla logica della fiducia al governo e dire che così si indebolisce l’azione del governo quando si sta cercando di indicare con chiarezza una linea politica e’ falso, chi lo fa lo fa per strumentalizzare”.

Non solo: nessuno dei ministri M5s, né degli altri esponenti del Movimento che fanno parte della squadra di governo, hanno annunciato le dimissioni. “Nessuna novità”, conferma D’Incà incalzato dai giornalisti, confessando di non aver sentito “nessuno”, né nel governo né nel Movimento 5 stelle.

Proprio D’Incà è il protagonista dell’ultimo tentativo in zona Cesarini di evitare lo show down. In mattinata contatta i capigruppo di maggioranza, proponendo un ‘patto’ che blindi il decreto evitandone la mancata conversione in legge entro il 16 luglio, dietro garanzia che il governo non porra’ la fiducia. Un modo per evitare che i 5 stelle si pongano di fatto fuori dalla maggioranza non confermando la fiducia all’esecutivo.

Ma la mediazione presenta subito dei punti interrogativi. Draghi è d’accordo? Il ministro garantisce che il premier è stato informato, ma Italia viva esce allo scoperto con il capogruppo Davide Faraone attacca: “È incredibile che D’Incà tratti all’insaputa del premier”.

Poco dopo è lo stesso Draghi a mettere la pietra tombale: l’unica via è il voto di fiducia, sentenzia il presidente del Consiglio. Intanto, tutti puntano il dito contro i 5 stelle. “Irresponsabili” è l’accusa più ricorrente.

“I dirigenti M5s stavano pianificando da mesi l’apertura di una crisi per mettere fine al governo Draghi”, svela Luigi Di Maio. “Il Movimento Cinque stelle ha deciso di voltare le spalle agli italiani”, afferma Silvio Berlusconi. Non votare la fiducia “è una scelta che ci divide”, sottolinea Enrico Letta. “Avete sorpassato il limite della dignità”, sostiene Matteo Renzi.

Ma l’attenzione è ora rivolta al Colle, e a palazzo Chigi. Che farà Draghi? E’ l’interrogativo che rimbalza nei palazzi. Terrà fede a quanto detto solo pochi giorni fa (il governo non va avanti con una maggioranza diversa senza M5s e l’indisponibilita’ a guidare un altro esecutivo), oppure restera’ alla guida dell’esecutivo?

A chiederlo, in modo più o meno chiaro, sono tutte le forze dell’attuale maggioranza: “Nulla giustifica la fine del governo in questa situazione”, premette Matteo Renzi. Che in Aula rivolge un appello al premier: “Draghi deve continuare a fare il presidente del Consiglio perché serve all’Italia”.

Ribadisce la richiesta di una verifica in Aula il segretario dem: “La cosa più naturale è che il presidente del Consiglio venga in Aula e lì indichi un percorso possibile per i nove mesi che abbiamo davanti e i partiti tutti dicano se questo percorso è convincente oppure no“.

Pur garantendo di non avere alcun timor di andare al voto, il leader azzurro conferma la linea di “responsabilità” del suo partito, “consapevole delle emergenze da affrontare”. Dunque, spiega Berlusconi, Forza Italia “attende con rispetto le determinazioni del presidente Draghi e le indicazioni che darà il capo dello Stato”.

Stessa linea espressa dalla Lega: “La situazione è grave e complicata. Siamo preoccupati, stupiti, attenderemo quello che avverrà, quello che vorrà fare il presidente Draghi, ma non possiamo accettare che il parlamento sia bloccato. Questa situazione così come è non puo’ andare avanti. Le scelte saranno condivise con il centrodestra, e chiaramente, per noi, non c’è nessun timore di dare, eventualmente, la parola agli italiani”, dice il vicesegretario della Lega Lorenzo Fontana. “Ci sono sempre i tempi supplementari”, si limita a dire Giancarlo Giorgetti alla domanda se il governo è giunto al capolinea.

L’unico partito ad invocare apertamente le urne è Fratelli d’Italia: “Basta liti e giochi di Palazzo sulla pelle dell’Italia e degli italiani: abbiano il coraggio e la dignita’ di presentarsi al cospetto dei cittadini”, afferma Giorgia Meloni. Torna a farsi sentire anche Giuseppe Conte: “O si hanno risposte vere, strutturali e importanti oppure nessuno puo’ avere i nostri voti”, scandisce.