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Un'ancora dedicata ad Afrodite trovata nel mare di Sicilia

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“Non riesco a capire la direzione dei venti, un’onda si rovescia da una parte e dall’altra, noi siamo trascinati verso il largo con la nera nave pieni di affanno per la grande tempesta; si allentano le ancore, i timoni e ambedue le scotte restino salde nei canapi e questo possa salvare almeno me, e le merci sfracellate alcune sono trascinate in alto”.

Il racconto di un naufragio fatto da Alceo di Mitilene, e raccolto in un volume che accompagnava la mostra ‘Mirabilia maris’ realizzata nel 2016 dalla Regione Siciliana e dalla Soprintendenza del mare, potrebbe valere (sebbene Alceo lo faccia nel VII secolo, introducendo il termine ‘ancora’ in greco) l’imbarcazione di epoca ellenistico-romana la cui è stata recuperata vicino alla costa di San Vito Lo Capo, nel trapanese. 

L’ancora è di piccole dimensioni, a ceppo fisso, con cassetta quadrangolare e perno centrale, e presenta l’immagine di un delfino, associato alla dea della “buona navigazione” Afrodite Euploia,  su uno dei due bracci. A indicarne la presenza è stato un subacqueo esperto della zona, Marcello Basile, che ha avvertito le autorità. La Soprintendenza del mare ha organizzato le operazioni di recupero, coinvolgendo il Reparto operativo aeronavale della Guardia di Finanza. Il reperto è stato recuperato a una profondità di 19 metri, e l’ancora è stata portata a Palermo, nella sede degli uffici della Soprintendenza al Roosevelt.

“L’operazione di recupero – afferma il Soprintendente del Mare Valeria Li Vigni – ha testimoniato una forte attenzione da parte dei subacquei che potremmo definire le nostre ‘sentinelle della cultura’ e che, oltre ad avere un ruolo didattico e ricreativo rivolto agli appassionati dei fondali marini, svolgono una funzione di tutela di quei reperti che costituiscono motivo di attrazione e valorizzazione alla visita. L’esigenza di prelevare l’ancora è stata dettata dai tentativi di depredazione che erano stati segnalati e quindi dall’esigenza di salvaguardare una testimonianza della nostra storia»

Al largo della Sicilia esistono 1.500 punti in cui sono stati localizzati relitti antichi, come l’ancora, e moderni. “La loro mappatura è permessa da un Sistema informativo territoriale che ha utilizzato una work station e un programma Gis”, spiega Li Vigni. “Abbiamo deciso di recuperare l’ancora perchè l’avevamo trovata spostata, e i subacquei, risorsa preziosissima, ci avevano avvertito di movimenti strani nell’area”.

I reperti in mare vengono lasciati sul posto, in genere, secondo la filosofia di intervento che era di Sebastiano Tusa, archeologo siciliano di fama internazionale che scomparve nel disastro aereo dell’Ethiopian Airlines avvenuto nel 2019. Fu lui a insistere con l’Unesco affinchè i reperti siano lasciati lì dove si trovano, ma anche che si andasse a una loro mappatura e a una regolarizzazione in grado di impedire depredazioni costanti.

“Abbiamo altri progetti di tutela di questi tesori – prosegue Li Vigni – come le boe antifurto, in grado di segnalare se qualcuno sta rimuovendo questi beni, che costituiscono un itinerario sommerso nella nostra storia. Questo sarà al centro di un accordo con i parchi archeologici dell’isola”.  Quanto al mare di san Vito lo Capo, “‘è un’area di naufragi, sia antichi che moderni”, aggiunge la Soprintendente, ricordando due vicende.

La prima, raccontata da Tusa in occasione di Mirabilia Maris, faceva perno sul ‘relitto delle macine’, una delle ‘naves lapidariae’ che trasportavano pietre destinate alla realizzazione di monumenti. A bordo, probabilmente, aveva 60 macine in pietra, che doveva essere lavica dell’Etna. “S’ipotizza – scrive Tusa – una rotta iniziata in un porto provenzale (l’ancora è di pietra proveniente dalla Alpi Marittime) per proseguire verso la Sicilia (Catania) per caricare le macine e ripartire verso il Nord trovando la tragica fine nel mare sanvitese”. L’epoca è il III e IV secolo avanti Cristo, la stessa dell’ancora ritrovata. A coabitare con relitto nello stesso mare, il sommergibile inglese “Hms Thunderbolt”, affondato nel 1943 da una corvetta militare italiana, la “Cicogna”.

Ogni marinaio ha un punto di riferimento spirituale, a cui affidarsi quando si avventura in acqua. Lo avevano quelli inglesi a bordo del Thunderbolt, e probabilmente non era Afrodite Euploia, che guidava i marinai a bordo della nave della quale è stata ritrovata l’ancora che reca in rilievo il delfino. Si tratta, spiegano gli archeologi Roberto La Rocca e Francesca Oliveri, di “simboli dal valore apotropaico decorativo sui ceppi in piombo per scongiurare il naufragio ed invocare la salvezza”.

Afrodite Euploia è “la dea di Erice (città nel trapanese, ndr), protettrice dell’amore e della sessualità, legata al mare e al mondo vegetale” e “divinità di vittoria arroccata su una delle postazioni strategiche più importanti della Sicilia Occidentale” che vide il proprio culto “diffondersi largamente attraverso il Mediterraneo”. E’ l’ancora ‘sacra’ a riportare, in genere, il simbolo apotropaico, ovvero, “l’ultima delle ancore di bordo che nei momenti di estremo pericolo, nell’infuriare della tempesta e nel disperato tentativo di salvare la nave, rappresentava l’estrema speranza dei naviganti”.​

Tale forza di speranza la manterrà nei secoli successivi, almeno sino alla tarda antichità, quando, concludono i due archeologi, “la stabilità e la sicurezza che questo attrezzo garantisce alla nave indicherà la saldezza della fede e la speranza della salvezza: ‘Cristo è per i cristiani il porto sicuro, l’àncora​ della salvezza’”.

Vedi: Un'ancora dedicata ad Afrodite trovata nel mare di Sicilia
Fonte: cronaca agi


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