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Un sistema creditizio da riformare

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Poco trasparente commistione fra lo specifico campo d’azione degli Istituti di Credito e le relative Fondazioni, esorbitanti costi di gestione, per la clientela contatti personali impossibili, nessun rendimento, oneri esosi. Così le banche italiane hanno perso il tradizionale ruolo di vasi comunicanti fra la  propensione al risparmio delle famiglie ed il tessuto economico dei territori

di Augusto Lucchese

Fra le tante “riforme” che diffusamente compaiono sul tabellone di marcia del quadro parlamentare dell’Italietta partitica e lobbistica, non sarebbe male che se ne aggiungesse una forse maggiormente più importante di tante altre.

Ci si riferisce ad una meditata “controriforma”  mirata ad abrogare talune parti della legge Amato-Carli del 1990 concernenti la poco trasparente commistione fra lo specifico campo d’azione degli Istituti di Credito (solo apparentemente privatizzati, pur se obbligatoriamente  trasformati in S.p.A.) e l’operato delle relative “Fondazioni”  che,  essendo di massima  territorio di caccia per i volponi della finanza speculativa, creano talvolta seri problemi al sistema creditizio operativo.

Occorrerebbe che gli Istituti di Credito (piccoli o grandi che siano) riacquistino le perdute caratteristiche tradizionali di autentici vasi comunicanti fra la assodata propensione al risparmio di famiglie e singoli soggetti e il mondo operativo locale composto da aziende nominative o societarie di magari limitate dimensioni ma che hanno una notevole incidenza produttiva e occupazionale.

Oggi, purtroppo, tale caratteristica s’è in gran parte persa sia per effetto delle “concentrazioni bancarie” in mastodontici “gruppi” che per la sopravvenuta eccessiva informatizzazione dei servizi.

Ciò ha determinato un quasi totale scollamento fra gli operatori di sportello, pur se preposti alla guida di agenzie e filiali, e la massa della clientela “ordinaria”, di media e bassa caratura, o di semplici occasionali fruitori.

Il contatto personale e individuale è divenuto quasi nullo e ogni attività operativa si svolge in maniera fredda e impersonale, mediante l’impiego di apparecchiature informatiche più o meno adeguate ma sostanzialmente avulse dall’analisi “soggettiva” d’ogni singolo rapporto.

Una sorta di deleteria “spersonalizzazione” che non accetta dimenticanze, imperfezioni, incapienze, pur se frutto di veniali trascuratezze o di imprevedibili circostanze.

La clientela di base, oltretutto, avverte una eccessiva esosità degli oneri, diretti e indiretti, cui va incontro per fruire anche di normali servizi.

Per ridurre la lamentata pesante incidenza delle generalizzate “difficoltà” di accesso al credito,  delle ripercussioni negative delle “condizioni di cartello” che impongono commissioni e spese anche per servizi che prima erano pressoché gratuiti, della complicata, spesso incomprensibile e prolissa “informazione” , occorrerebbe ripristinare l’antico e insostituibile presupposto che era alla base della capillare attività bancaria, il rapporto soggettivo e diretto fra personale bancario e clientela. Cosa che più non avviene nel regno dei vari aggeggi informatici e spersonalizzati.

Senza dire del fatto che il cliente “correntista” e “risparmiatore”, nella misura in cui apporta liquidità alla Banca, non viene più  “premiato” – seppure con un minimo rendimento che tenga anche conto della inflazione –  mentre, di contro, viene gravato di esosi oneri spesso non contrattabili.

I proventi che vanno ad impinguare i “conti economici” delle Banche dovrebbero scaturire essenzialmente dai tassi attivi applicati ai fruitori di crediti ordinari, di finanziamenti specifici, di mutui immobiliari, di operazioni di supporto e sviluppo economico, di servizi finanziari e di intermediazione.

Si palesa opportuno, all’uopo, per non dire necessario, tagliare gli esorbitanti costi di gestione dell’apparato mediante la semplificazione della “burocrazia” fatta da montagne di comunicazioni cartacee o di SMS spesso difficili da comprendere e seguire, che i clienti sistematicamente ricevono e che in gran parte sono “materia sconosciuta” alla massa degli utenti, oltre che ripetitivi, e quindi di non facile comprensione.

Al fine di migliorare le situazioni di bilancio sarebbe opportuno che parecchi Istituti di Credito tagliassero sfarzi e abbellimenti inutili e improduttivi, faraoniche strutture dirigenziali, costosi servizi di rappresentanza, riducendo adeguatamente le frotte d’inservienti pagati come bancari pur se solo incaricati di rendere la vita facile alle alte gerarchie (auto di lusso, servizi privati, commessi,  “attendenti” stile militare, benefit d’ogni tipo e natura ecc.). Non sarebbe male, altresì, rinunciare a parecchi banchetti luculliani che, spesso e volentieri, seguono ad ogni riunione di lavoro, oltre che a talune prebende e regalie ai componenti dei vari CdA.

Senza dire, infine, della necessità di porre un freno agli stratosferici compensi deliberati in favore degli amministratori, anche in presenza di bilanci disastrati e in perdita.

Riportiamo, in merito e pur senza darne per certa la veridicità, alcuni dati desunti dalla “rete” relativamente a taluni casi risalenti ai tempi della “liretta italiana” (ante “euro”):

* l’ex presidente della Sicilcassa, Giovanni Ferraro, protagonista di uno storico crack, percepiva al lordo 26,8 milioni di lire al mese (pari a circa 13.000 euro);

* l’ex direttore generale della stessa banca, Agostino Mule’, di milioni ne incassava invece 28. (pari a circa 14.000 euro);

* l’ex direttore generale del Banco di Sicilia, Ottavio Salamone, andò in pensione con 32,7 milioni lordi al mese. (pari a circa 16.000 euro);

* il suo successore Giacomo Perticone ne ebbe assegnati poco meno di 24. (pari a circa 12.000 euro);

* Guido Savagnone, ai vertici della stessa banca per un brevissimo periodo, fruì di  16,6 milioni al mese. (pari a circa 8.000 euro);

* per rimanere nel campo delle banche meridionali, risalta il caso forse più clamoroso: quello dell’ex padre padrone del Banco di Napoli, Ferdinando Ventriglia. deceduto nel 1994, che ha lasciato alla moglie Anna Di Domenico una pensione di reversibilità calcolata, a fine 1995, a ben 54,6 milioni al mese,  pari a circa 27.000 euro;

* più o meno la stessa cifra totalizzata da un altro pensionato di primissimo piano: il presidente della Banca di Roma Cesare Geronzi: 54 milioni al mese, anche per lui una cifra pari a circa 27.000 euro;

* e per finire, sembra che la pensione attribuita a  Sandro Molinari, presidente della Cariplo, sia ammontata a circa 36 milioni al mese, pari a circa 13.000 euro.

Detti compensi stratosferici di vertice sono tuttora di moda in molti Istituti di Credito, Finanziari e Assicurativi. Ogni commento è senz’altro superfluo.