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Lo stato evolutivo

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È il termine che Chalmers Johnson ha coniato per l’economia di quei paesi estasiatici il cui obiettivo è focalizzato sullo sviluppo economico e a tale scopo organizzano tutto l’apparato governativo. L’approccio evolutivo prevede che lo stato intervenga direttamente nell’economia attraverso una varietà di strumenti per promuovere lo sviluppo e sulla base di una pianificazione elaborata centralmente

di Renato Costanzo Gatti

L’equazione produttiva consiste di innumerevoli dati di input che, secondo il main stream liberista, vengono automaticamente risolti dall’incontro delle curve marginalistiche che si incontrano nel mercato e il cui obiettivo insito è quello del profitto, elemento egemone dell’economia liberista, che guida le scelte degli operatori sancendone successo o cancellazione.
La verità è molto meno romantica e vede da una parte l’occupazione del mercato da parte di soggetti multinazionali monopolisti che ben difficilmente portano a condizioni definibili di “libero scambio”, dall’altra esperimenti di altri modelli produttivi alternativi: la pianificazione rigida centrale autoritaria che ha caratterizzato il modello sovietico è uno di tali modelli oggi quasi totalmente abbandonati.
Ma esistono altri sistemi che si collocano tra i due limiti dei modelli sopra descritti; un modello tipicamente francese è quello del dirigisme e quello, tipico dei paesi estasiatici detto dello Stato Evolutivo.
Il dirigismo
Leggiamo da Wikipedia che:
“Il filosofo positivista francese Henri de Sait-Simon fu il primo a introdurre il termine dirigismo, definendolo però come la finalità primaria dello Stato, in funzione della quale lo stesso Stato avrebbe dovuto organizzarsi sotto il controllo di una élite di filosofi, scienziati e tecnici che avrebbero dovuto guidare un processo pacifico di industrializzazione, moderato da un umanesimo di matrice cristiana nel quale gli scienziati avrebbero assunto il ruolo di sacerdoti.(…)”
“Tale politica raggiunse il suo apice nella Francia del secondo dopoguerra con il dirigisme del gollismo, un sistema che permise al paese non solo di portare a termine la ricostruzione post-guerra, ma anche di espandere e modernizzare sia la base industriale che le infrastrutture. Per esempio, l’industria francese prima della guerra era composta in genere da imprese familiari, spesso troppo piccole, e di conseguenza senza i capitali e l’organizzazione necessari per competere a livello internazionale. De Gaulle esemplificò la questione con la famosa frase ‘Come si può governare un paese che ha più di 300 tipi di formaggio?’(…)”
“A differenza del modello socialista e statalista, il governo francese non cercò di ottenere la proprietà generalizzata delle imprese, né impose obiettivi forzati. In generale, il piano fu implementato attraverso l’uso di incentivi. (…) Una parte essenziale di questo obiettivo generale fu quella di far fondere le imprese francesi in grossi conglomerati che il governo avrebbe potuto promuovere a livello internazionale e assistere finanziariamente, in modo diretto e anche indiretto (come, per esempio, attraverso l’acquisizione di quote di capitale). Altre forme di appoggio finanziario indiretto sono costituite dal finanziamento dello sviluppo scientifico e tecnologico (…)”
“Il piano ottenne un grande successo. Nei decenni tra il 1945 e il 1975 la Francia sperimentò uno sviluppo economico senza precedenti nella sua storia (con una crescita media del 4,5% all’anno), che insieme a una forte crescita demografica, alla competizione ad alti livelli su un mercato internazionale in espansione e alla conseguente rinascita dell’orgoglio nazionale, portò a definire questi tre decenni come Trente glorieuses (il Trentennio glorioso)”.
Lo stato evolutivo
È il termine che Chalmers Johnson ha coniato per l’economia di quei paesi estasiatici il cui obiettivo è focalizzato sullo sviluppo economico e a tale scopo organizza tutto l’apparato governativo. Questo modo di produzione si applica soprattutto, ma non necessariamente, alle economie in via di sviluppo. L’approccio evolutivo prevede che lo stato intervenga direttamente nell’economia attraverso una varietà di strumenti per promuovere lo sviluppo e sulla base di una pianificazione elaborata centralmente.
Questo tipo di conduzione economica è caratteristica dei paesi emergenti della zona estasiatica: Giappone, Corea del Sud, Singapore, India, Tailandia, Taiwan, Malesia, Filippine e Indonesia, ma anche la diversificazione rispetto alla pianificazione maoista, attuata da Den Xiaopin fa includere nell’elenco anche la Cina. Il compito assegnato allo stato, come programmatore economico, risulta essere determinante nei paesi che si affacciano all’industrializzazione e che quindi vogliono puntare su grossi avanzamenti del PIL (molti paesi stanno raddoppiando il loro PIL ogni 10 anni), tale compito si mette a mezza strada tra il libero mercato e la pianificazione socialista, diffidando quindi dalle promesse della libera concorrenza nella stessa misura con cui si diffida dalla rigidità di una economia totalmente statalizzata.
La stagnazione italiana
È da ormai mezzo secolo che l’economia italiana è in una continua crisi economica: abbiamo perso 9 punti di PIL per la crisi dei subprimes, stavamo recuperando ed è arrivata l’epidemia Covid dalla quale stavamo risalendo quando è arrivata la guerra in Ucraina che ci porterà a perdere punti di PIL, aumentare l’inflazione e metterci a rischio di default.
Rivolgersi al libero mercato è una inutile invocazione; non esiste un libero mercato (dominato dalle multinazionali e dai campioni europei) ed esso comunque è assolutamente incapace di programmare uno sviluppo equilibrato, capace solo di registrare, a fine anno, un equilibrio raggiunto dopo aver seminato morti e feriti sulla sua strada.
La tecnologia sta diventando il vero motore dell’economia; essa sta determinando schumpeterianamente il modo di produrre ma essa è considerata dal main stream liberista come una componente esogena mentre essa va inserita in un contesto programmatorio costituito da un sistema di equazioni rappresentanti la struttura del paese. Solo legando con questo sistema di equazioni tutte le componenti: dalla ricerca delle risorse (l’assenza di programmazione negli ultimi 50 anni in relazione alle fonti energetiche è di una tragica evidenza); all’indirizzo scolastico da far seguire agli studenti (il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è di evidente gravità); all’investimento nella ricerca scientifica per le nuove tecnologie innovative (deludente l’esperienza degli incentivi Calenda 4.0); alla ricerca programmata di una dimensione aziendale critica per poter competere sul mercato internazionale (in una economia con la più alta percentuale di piccole imprese escluse dal processo innovativo), si può pensare di gestire scientificamente (quella èlite di filosofi, scienziati, tecnici indicata da Saint-Simon) con i mezzi odierni disponibili oggi, in primis i computers quantistici, si può pensare di sostituire il romanticismo volontaristico di un inattuabile libero mercato, con una “science based economy” che possa rimettere il nostro paese sulla strada dello sviluppo.
Purtroppo l’attuale fase economica vive di emergenza in emergenza, e crede di governare il Paese con una serie di incentivi-elemosina che ha superato il numero di 50; incentivi frutto più che altro della lotta per intestarsi qualche interesse corporativo ma completamente disgiunti da una capacità programmatoria dello Stato.