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L'avvocato e i magistrati "senza volto" discutono nel processo digitale 

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Un avvocato nel suo studio che parla fissando lo schermo nero del computer e due voci femminili senza volto collegate da un’aula di tribunale, quelle del giudice e del pubblico ministero. Siamo in viale Premuda, a Milano, a pochi metri dal Tribunale, con lo sferragliare del tram in sottofondo nell’ufficio degli avvocati Eugenio Losco e Mauro Strani, entrambi impegnati alle rispettive scrivanie, a pochi metri uno dall’altro, in due delle migliaia di processi digitali che ogni giorno vanno in scena in luoghi e con modalità inimmaginabili fino all’assalto del coronavirus a regole incise per secoli nei codici. 

Le voci dei legali e di chi parla da un mondo solo in apparenza lontano – una decina di minuti a piedi –   si mischiano con quelle di chi entra ed esce dall’ufficio e coi rumori della città che provengono dalla finestra.  Per problemi tecnici di invio dei materiali e, forse, per la connessione scadente, Losco, in toga e mascherina, si confronta col giudice e col pubblico ministero senza vedere le fattezze di chi ha davanti per una parte dell’ udienza.

I due magistrati compaiono all’inizio del procedimento a carico di una donna accusata di ricettazione quando il legale chiede l’autorizzazione per far riprendere quello che accade all’AGI in base a quanto previsto dal codice di procedura penale. Dato il consenso, il giudice monocratico Valeria Recaneschi e il legale non si vedono per un po’ agli occhi di guarda da ‘fuori’, fino quasi alla fine quando rispuntano i volti di tutti.   

Si comincia con una mail spedita ‘in diretta’ da Losco  contenente le sue richieste. Il messaggio giunge a destinazione, nonostante le preoccupazioni del giudice (“Speriamo arrivi la mail vista la connessione”) che poi chiede al pm se voglia dire  la sua. “Fatemi vedere, abbiate pazienza. La documentazione è scritta molto in piccolo, sapete come ingrandirla?”, domanda la rappresentante della pubblica accusa. Losco le viene in aiuto offrendosi di leggere l’istanza in cui chiede di poter ricevere il fascicolo coi documenti della vicenda per via telematica. Ribatte il giudice: “Volevo sapere se si è recato anche nell’ufficio apposito in Tribunale negli orari che sono stati comunicati anche all’Ordine degli avvocati aperto tutti i giorni tra le dieci e le dodici per poter visionare il fascicolo”.

“Non mi sono recato – obbietta Losco, sottolineando il paradosso di chi parla davanti a uno schermo proprio per evitare rischi – anche perché come modalità principale è stata consigliata quella di farne richiesta in via digitale, scelta che mi pare più opportuna vista la questione epidemiologica”.

Ma il pm sembra non condividere la strada prudente dell’avvocato: “Ritengo avrebbe potuto ovviare recandosi in ogni caso in ufficio”. Alla fine, i due magistrati danno l’ok all’istanza richiamandosi al diritto di difesa. Il giudice si congeda e dà appuntamento al 19 giugno comunicando che sarà fisicamente nell’aula 9. Lei, il pm e il monitor. 

“Tanto io non posso venire”, commenta Losco. In effetti, fino al 31 luglio casi come questo e molti altri, che comunque incidono sulla libertà delle persone, devono essere discussi fuori dai tribunali. Nelle vicende più complesse, quando c’è un dibattimento, la ‘scarnificazione’ del processo, criticata da molti giuristi e operatori della giustizia, è prevista solo col consenso delle parti.   

Vedi: L'avvocato e i magistrati "senza volto" discutono nel processo digitale 
Fonte: cronaca agi


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