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Catania: un quartiere, gli ospedali, le emergenze

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Di Salvatore Castro

Con l’intervento di Salvatore Castro, Presidente del Comitato Popolare Antico Corso di Catania, che racconta le vicissitudini del suo quartiere in una grande città del Mezzogiorno, apriamo un dibattito sulla gestione urbanistica delle aree metropolitane, le emergenze abitative, i problemi della mobilità, l’abbandono, che spesso diventa degrado, in cui sono lasciate vaste aree dei centri storici, sul mancato coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte che riguardano il tessuto urbano, bene comune essenziale per la vita e il benessere degli abitanti, che vedono diventare sempre più “salati” i tributi locali.

Quando a Catania, anni fa, nel 2016, il Comitato Popolare Antico Corso – così si chiama un vasto e popoloso rione del centro storico della città etnea – cominciò a immaginare uno scenario sull’assetto ospedaliero nel quartiere, si rese conto che non solo era possibile, ma soprattutto necessario, iniziare un “processo alle intenzioni”.
Cosa aveva significato l’ingombrante presenza di tre grandi Ospedali nella congestione del quartiere e cosa avrebbe potuto significare la loro improvvisa scomparsa?
Un dato immediato ed oggettivo era la considerazione che un discreto numero di attività (ormai azzerate e con i piccoli imprenditori rovinati) erano lentamente cresciute nell’arco di 60 anni, come indotto di un grosso sistema ospedaliero, per dare risposta ai bisogni basilari di utenti ed operatori, inoltre molti lavoratori ospedalieri sottoposti a turnazioni erano riusciti a trovare alloggio nell’area più prossima con un miglioramento della vita.
Nonostante questa realtà di sovraccarico numerico e la individuazione di chiari “bisogni”, nessuna misura di alleggerimento del traffico e miglioramento dei servizi è stata operata negli anni: nessun asilo pubblico; nessun servizio alle persone; nessuna area pubblica a verde; nessuna politica edilizia pubblica. Solo da un paio d’anni, ma già si sapeva delle dismissioni, è nata una vasta area a parcheggio (a dispetto del precedente piano triennale delle opere pubbliche) attraverso la rifunzionalizzazione nella stazione dei bus dell’Azienda Metropolitana Trasporti, la cui rimessa è collocata di fronte ad uno tre ospedali dismessi, il Vittorio Emanuele, proprio nel cuore dell’Antico Corso. Il parcheggio nasce però con un ritardo di quarant’anni rispetto al
carico ospedaliero e nasce, adesso, solo come area di sosta a servizio dell’Ateneo catanese.
La protesta del Comitato nasce dalla volontà, maturata assieme ad alcune associazioni, di accendere i riflettori sulla questione “sanità” , ma in questi anni non si è riusciti a svegliare l’interesse dei cittadini che hanno ritenuto il problema solo come un fatto locale, alimentando una contrapposizione tra centro e periferia (l’apertura di un nuovo ospedale presso il quartiere-satellite di Librino, avvenuta nella primavera del 2019, è stata salutata come volano di sviluppo).
Oggi, con l’emergenza, anzi con lo standard Covid, ci si rende conto della inopportuna dismissione di ben tre ospedali collocati tutti nel quartiere Antico Corso, centro storico di Catania, quali il Santa Marta, il Santo Bambino e il Vittorio Emanuele. Da più parti viene chiesta la riapertura del Vittorio Emanuele o almeno di presidi ospedalieri non dedicati al Covid, tenuto conto del buono stato degli edifici dei nosocomi dismessi e non ancora destinati ad altri utilizzi.
Nel programma delle dismissioni ospedaliere effettuate dalla Regione Sicilia non si dà conto delle destinazioni degli edifici, né i cittadini né l’Ente locale sanno a quali usi saranno avviati
Nel frattempo però, proprio il Vittorio Emanuele, con un processo che somiglia alla proprietà transitiva, viene donato dalla Presidenza della Regione Sicilia all’Università di Catania per farne Campus e Musei. Eppure quasi tutte le costruzioni sono frutto di lasciti e mantenute dai contribuenti per l’uso Ospedaliero. Esiste dunque un circuito a “catena corta” che può disporre del bene pubblico senza il bisogno di valutare l’uso più coerente e collettivo del bene stesso?
La chiusura dei plessi ha messo in ginocchio, specie in questi anni, il reale diritto alla salute e dato un forte impulso alla sanità privata che può così drenare ingenti risorse pubbliche.
L’altro elemento che ha destato preoccupazione era la convinzione che le aree interessate diventassero oggetto di vandalismo e “centrali di degrado”.
Per dare forza al contributo di discussione su un tema che interessa ogni cittadino, abbiamo lanciato una rete fatta da associazioni, da abitanti del territorio e non solo, denominata “D’OVE ripensare la città” e con questa siamo venuti alla ribalta ponendo anzitutto il problema del metodo prima ancora che del merito delle dismissioni (e non si era ancora affacciato il Covid a ridefinire i bisogni reali).

Da questa esperienza si sta avviando l’“Osservatorio delle trasformazioni urbane ETS” da poco costituito con l’intenzione di agire istituzionalmente nelle discussioni sugli usi e il riuso del territorio.
Resta l’emergenza Ospedaliera che sarebbe stata e sarebbe più lieve con una apertura mirata dei plessi maggiori.
Eppure l’idea più volte lanciata era quella di un impiego almeno temporaneo degli spazi, per evitare il degrado del patrimonio, con attività varie svolte in forma associativa e consortile e, soprattutto, il mantenimento della medicina di prossimità e di poliambulatori, quelli che avrebbero permesso un accesso ai servizi sanitari No- Covid più lineare ed agevole anche per i medici di famiglia.
Sogni? Mancanza di strategia piuttosto e convinzione diffusa che il governo della città significa “comando incontrastato” anche in mano ad inutili incapaci.


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