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America 2020: Le elezioni del non ti sogno California

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AGI – (di Mario Sechi)

Chi vince? Bella domanda, ma nessuno può rispondere con certezza. Quel che appare certo nella corsa alla Casa Bianca è che Biden può perdere e Trump può vincere, il che significa che tutta la narrazione preventiva sul vincente (democratico) e perdente (repubblicano) non c’è più, è stata rovesciata dalla realtà. La campagna presidenziale non è quel che si legge, ma quel che si vede e quello che si vede è Trump che corre e Biden che difende il vantaggio, resta favorito, ma danza su una lastra di ghiaccio sempre più sottile.

Il tempo gioca a favore di Biden (è poco) e a sfavore di Trump (è sempre poco), ma la “fortuna” politica del candidato dem era il coronavirus e lo storytelling del disastro si è indebolito, basta dare un’occhiata al declino del numero di americani disposti a fare il vaccino, dati di Morning Consult.

All’inizio di aprile, il 72% degli adulti era pronto a farsi vaccinare, all’inizio di marzo la quota era pari al 64%. Ora, all’inizio di settembre, solo il 51% degli adulti americani afferma di esser pronto a farsi vaccinare contro il coronavirus, un calo di 21 punti percentuali negli ultimi cinque mesi. Il tema del coronavirus non è più centrale nel dibattito americano.

Conseguenze? Per la prima volta dal 31 maggio scorso (nel pieno della crisi del coronavirus e con l’economia al collasso da lockdown) il distacco tra Biden e Trump è sotto i 6 punti (5,9) e le curve tra i due candidati sono opposte.

 

Biden è fuori dalla comfort zone e se osserviamo il quadro nei Battleground States la sfida appare più aperta che mai, il distacco è di appena 3,7 punti.  Biden potrebbe (ri)prendere il Wisconsin, ma Trump punta a sostituirlo con il Minnesota e l’Arizona, sta giocando il suo sudoku elettorale con un forcing di visite negli Stati incomparabile rispetto al candidato dem che continua a perseguire una strategia di conservazione, tutta puntata sul messaggio del coronavirus, dunque enfasi sul distanziamento, l’uso della mascherina, una rappresentazione plastica della minaccia pandemica.

Basterà? I numeri dicono che continua a mantenere un discreto vantaggio, ma è tutto sulla carta e se la campagna è quello che si vede (e lo è), allora le immagini dicono che c’è una forte mobilitazione della base repubblicana contrapposta a una presenza virtuale di quella dem, a meno che non si pensi che il voto per Biden sia rappresentato dalle manifestazioni del Black Lives Matter e sarebbe un pensiero errato, i dem hanno bisogno di allargare il consenso.

Dove è finita Kamala Harris? 

Domanda sul taccuino: dov’èfinita Kamala Harris? La sua candidatura è efficace sul fronte della raccolta dei fondi per la campagna (Biden ha superato Trump in agosto e quest’ultimo pensa di mettere mani al portafoglio personale per la modica cifra di 100 milioni di dollari), ma sul piano del messaggio politico i dubbi sono molti e preoccupano il Partito democratico. Se c’è si vede poco e quando si vede il tono è tale che diventa la conferma del partito schiacciato a sinistra.

Trump sa che probabilmente perderà nel voto popolare, la sua strategia insegue il percorso del 2016, far cascare i birilli negli Stati in bilico, ma non può trascurare il risultato complessivo e dunque la campagna punta a erodere il consenso dei dem anche nei fortini del voto blu. In California (55 grandi elettori che andranno certamente a Biden-Harris) un quarto dei voti è per i repubblicani e la gestione degli incendi e i blackout elettrici sono un elemento di insoddisfazione sul quale il Gop punta per far meglio del 2016, l’entusiasmo della base secondo gli analisti c’è, il resto (forse) seguirà. Sfida difficile, sarebbe una gran sorpresa vedere crescere i voti tra San Francisco e Los Angeles, il fortino delle Big Tech e l’Eldorado di Hollywood.

Non ti sogno California

La California è una partita persa sul piano del voto, ma è importante se si guarda il videogame della cultura politica e del messaggio elettorale: per Trump è la metafora di ciò che nella visione dei repubblicani non possono e non devono diventare gli Stati Uniti, un luogo governato dall’elite ultra-liberal, prigioniero dei miti del politicamente corretto, lo Stato di Kamala Harris, soprattutto il ritratto che emerge dalle pagine iniziali di “The Stakes”, il libro di Michael Anton che ne descrive la parabola da sogno a incubo, da luogo onirico dell’American Dream a striscia di terra sovra-popolata, tempio dell’ineguaglianza con un costo della vita impossibile, dal traffico congestionato, le infrastrutture cadenti, incapace di costruire qualcosa di nuovo che non crolli o costi troppo, pericolosa e violenta, rapace sul piano fiscale, dal clima culturale soffocante, colma di pregiudizio e teocratica, patologicamente altruista (quindi egoista), balcanizzata, feudale, naturalmente avvolta dalla distopia delle Big Tech, dai mostri dell’architettura che rovinano il gusto europeo di un tempo e le radici della California, le chiese delle missioni cattoliche spagnole fondate da Fra Junipero Serra. Il Paradiso è perduto, l’inferno è servito, non ti sogno California.

Il volo 93 di Michael Anton

Provocazioni? Anton racconta la California (che è solo il primo degli otto capitoli di “The Stakes”) che non trovi nei depliant del Futuro, un’immagine sfaccettata e tagliente che emerge dal libro di questo eccezionale polemista, un intellettuale fuori dal coro in un’America che si auto-compiace di essere così uguale sui media per poi scoprirsi così diversa con la vittoria di Trump nel 2016. Fu proprio Michael Anton nel settembre del 2016 a pubblicare sulla Claremont Review of Books un articolo intitolato “The Flight 93 Election” che fece scalpore: paragonava l’elezione presidenziale al volo United Airlines 93 dirottato l’11 settembre 2001 dai terroristi islamici e poi precipitato nella campagna di Shanksville dopo una rivolta dei passeggeri. Anton chiamava i passeggeri dell’America repubblicana alla rivolta contro i dirottatori dem di Hillary. Seguirono feroci polemiche. E in pista atterrò il jumbo di Trump. Anton 4 anni dopo si chiede: il 2020 è un altro voto a bordo del volo 93? Per lui e altri intellettuali conservatori lo è ancora.

Questo è il punto della campagna del 2020, ci sono due Americhe in rotta di collisione e quella che vince il 3 novembre cancellerà l’altra. In questo senso Anton vede il voto del 2020 come “un punto di non ritorno”. Una sconfitta di Trump secondo Anton spianerebbe la strada a una nazione governata con il partito unico, mentre una vittoria di The Donald metterebbe fine alla deriva a sinistra dei dem, costringendoli (forse) a cambiare strada.

E la spirale della purezza di Roger Kimball

Gli Stati Uniti diventerebbero “lo Stato Unito” dal conformismo liberal e da un’ideologia iconoclasta che non si ferma con l’abbattimento delle statue, ma punta a distruggere tutto ciò che è “diverso” dunque naturalmente insano ai suoi occhi, gli unici che vedono, si capisce. E’ quello che Roger Kimball sull’ultimo numero di “The New Criterion” chiama “spirale della purezza”: “Prendiamo la frase “spirale della purezza” dal giornalista Gavin Haynes. “Si verifica una spirale di purezza”, scrive, “quando una comunità si fissa sull’attuazione di un unico valore che non ha un limite superiore e non ha un’unica interpretazione concordata. Il risultato è una furia di nutrimento morale”.

Gli studenti di storia sapranno tutto su questa specie di perversa sovra-indulgenza gustativa. La Rivoluzione Francese è un locus classicus. In quel macabro carnevale, i Montagnardi più estremi divoravano i più moderati (un po’) Girondini prima di volgersi a consumare se stessi. Nessun cittadino, nemmeno lo stesso Robespierre, poteva essere abbastanza virtuoso da soddisfare le inesorabili esigenze dello zelo rivoluzionario”.

La rivoluzione mangia i suoi figli. Il Black Lives Matter e i movimenti della “cancel culture” faranno un sol boccone di Joe Biden e del Partito democratico? Non è detto che accada anche oggi, ma il tema esiste e la storia a volte funziona come una sveglia. E’ la parabola del più puro che ti epura. E’ sempre Roger Kimball sull’edizione americana dello Spectator a scrivere una lettera d’addio di Donald Trump dalla Casa Bianca che è un pezzo spettacolare di giornalismo politico, finale beffardo: “C’è ancora molto lavoro da fare, e Mike avrà le mani occupate. Ma dovrebbe ringraziarmi per aver reso il suo lavoro molto più facile. Siamo in pace. Siamo più prosperi che mai. C’è un nuovo rispetto per la libertà religiosa e la libertà di parola. Il politicamente corretto si è spento con l’Antifa nel 2020. Il compito di Mike è di mantenere grande l’America. Io ho fatto la parte più difficile e l’ho resa di nuovo grande”. Due mandati di The Donald, l’incubo di ogni nevertrumpista.

Gli strateghi della campagna di Trump si attendono una reazione degli elettori repubblicani di fronte a tutto questo, dentro e fuori dalla California e, dunque, un risultato del voto popolare con un margine di distacco inferiore rispetto al “successo” di Hillary Clinton nel 2016. Andrà cosi’? Presto lo scopriremo, in ogni caso la campagna non si vince sulla costa del Pacifico, ma nel cuore del’America, Trump deve centrare il risultato nel Midwest, negli Stati della Rust Belt e in Florida.

Biden vs Hillary Clinton

La corsa è pazza e le analisi cercano di inseguirla con gli insufficienti strumenti della razionalita’, mentre qui navighiamo nel campo delle emozioni, è la politica. Come andrà il voto popolare, chi vince, chi perde, quali sono le quotazioni al totalizzatore del Gran Premio della Casa Bianca? Larry Sabato nel suo Crystal Ball oggi ha presentato un’analisi del professor James E. Campbell sulla corsa presidenziale che si conclude così: “Le quattro versioni delle previsioni sono abbastanza coerenti nel prevedere un margine di voto popolare ancora più ristretto per il candidato democratico Joe Biden rispetto a quello che Hillary Clinton ha guadagnato nel 2016 quando ha vinto il voto popolare, ma ha perso il voto elettorale.

La divisione del voto elettorale nel 2020 potrebbe facilmente andare in entrambi i sensi. Con un’elezione così ravvicinata, il nostro clima politico surriscaldato e le polemiche che seguiranno sicuramente le ulteriori adozioni delle votazioni per corrispondenza e i numerosi e attesi eventi della campagna elettorale a venire, l’intera nazione potrebbe essere sotto l’effetto di farmaci per la pressione sanguigna prima che tutto questo sia finito (…). Fanno il Maalox in rosso e blu?”.

Jay Powell e la medicina economia

In attesa dell’apertura della farmacia (bipartisan) per curare il bruciore di stomaco e andare a nanna senza incubi, l’altra medicina si chiama economia. Come vanno le cose? Ieri la Federal Reserve ha dipinto il quadro, è positivo, naturalmente con una serie di avvisi sul futuro, il primo dei quali è la necessità di un nuovo intervento di politica fiscale da parte del Congresso e il memento sulla fragilità di alcuni settori del business, l’incertezza non è svanita. I dati sull’ingresso negli uffici pubblicati dal Wall Street Journal sono illuminanti: sono ancora vuoti al 50% nel settore dei servizi, va un po’ meglio nella manifattura e nel retail, ma siamo lontanissimi dall’era pre-Covid, è un altro segnale del “new normal” che normal non è, se non vai al lavoro ci sono interi settori collaterali che finiscono al tappeto (vedere alla voce bar, ristoranti, trasporti). A questo elenco si aggiungono i dati delle iscrizioni alle liste per i sussidi di disoccupazione, sono sempre a quota 860 mila, un numero elevato nonostante i buoni segnali che sono giunti dal mercato del lavoro. Bene, male, luci e ombre. Il futuro è un mestiere difficile.

Il governatore Jay Powell con la prudenza necessaria ha detto che la politica monetaria sarà per lungo tempo “altamente accomodante fino a quando l’economia non sarà in ripresa” e confermato che il recupero e’ “più veloce” di quanto previsto dalla Fed all’inizio della crisi del coronavirus. 

Le proiezioni della Federal Reserve sono buone, con la crescita nel 2020 a -3,7% (contro il -6,5% di giugno), un balzo a +4% nel 2021 e nel 2022 a quota +3%; il tasso di disoccupazione al 7,6% (era proiettato a +9.3% a giugno) e a quota 5,5% nel 2021.

Tradotto nella campagna elettorale, Trump potrà dire che la ripresa c’è, ma dovrà anche sollecitare il segretario al Tesoro Steve Mnuchin e il Gop a trovare un accordo con i democratici per un nuovo pacchetto di aiuti all’economia, come ha detto lo stesso Powell. Il presidente ieri ha invitato i repubblicani riluttanti a agire: “Alcuni repubblicani non sono d’accordo, ma penso di poterli convincere ad accettarlo, voglio che la gente abbia i soldi”. Attendiamo notizie da Mitch McConnell e Nancy Pelosi. Il governatore della Fed ieri ha ribadito che la banca centrale e’ pronta a sostenere l’economia, ma di fatto ha passato la palla al Congresso dicendo che i rischi al ribasso derivano (anche) dalla mancanza di uno stimolo fiscale. La politica monetaria da sola non basta. Non basta a Wall Street (che si aspettava un intervento della Fed sulle obbligazioni e mentre scriviamo punta l’indice S&P sul rosso fisso), non basta a Trump che per vincere le elezioni deve muovere la leva dell’economia sulla quale ha un consenso nettamente superiore a quello di Biden.

Denaro e voti

Economia elezioni, denaro e voti. La trama è fitta, sulla scrivania dello Studio Ovale ci sono dossier da risolvere in fretta e ogni soluzione è un messaggio per gli elettori. Trump deve decidere su Tik Tok e l’accordo con Oracle nelle prossime ore, il suo capo di gabinetto, Mark Meadows, ha detto che se i cinesi continuano a mantenere il controllo della società, allora la vendita non va incontro alle condizioni poste dall’amministrazione. E’ un avviso, nonostante la presenza di due giganti della Corporate America come Oracle e Walmart, la Casa Bianca ha davanti la sagoma di Xi Jinping e qui il contesto è quello del confronto con il paese del “virus cinese”. Raccontare agli elettori che si lascia Pechino al volante non e’ una gran trovata e sarebbe facilmente criticabile dai dem. L’altro fascicolo aperto riguarda la crisi del trasporto aereo, la Casa Bianca punta a un disegno di legge singolo da 25 miliardi di dollari per salvare le compagnie americane, sono a mezz’aria circa 30 mila posti di lavoro e bisogna evitare il crash landing prima del voto.

La campagna presidenziale è in alta quota, sta per iniziare la discesa, si atterra di notte, vince chi fa scendere il carrello e vede la pista illuminata. Allacciate le cinture. 

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Fonte: estero agi


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