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MELONI FUORI DAL VERTICE, FRANCIA FURIOSA L’ITALIA È RIMASTA SOLA

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MELONI FUORI DAL VERTICE, FRANCIA FURIOSA L’ITALIA È RIMASTA SOLA

Claudia Fusani

A Bruxelles concluso il vertice Ue dei ministri dell’Interno. Nessun vero passo avanti sulla gestione dell’immigrazione. L’Italia assegna il porto di sbarco a due navi umanitarie cariche di naufraghi, il Viminale gestirà il meccanismo di distribuzione
Isolati sul dossier migranti. Isolati sul Mes. Anche sull’energia abbiamo perso lo smalto dei mesi passati. E sul Pnrr non siamo messi meglio. Giornata nera per il governo di Giorgia Meloni. Una di quelle che sono di per sé paradigmatiche per misurare lo stato di salute di un esecutivo. La giornata inizia con la cancellazione della presenza del premier al vertice EuroMed-9 di Alicante. Nonostante la delicatezza dell’agenda, la premier italiana ha dovuto dare forfait per via di una brutta influenza che palazzo Chigi ha però subito escluso essere Covid. Ad Alicante, sede del vertice, nei vari staff dei nove governi invitati serpeggia il dubbio che in realtà Meloni stia mettendo in atto una ripicca. È un fatto che il forfait arriva dopo una giornata in cui palazzo Chigi e l’Eliseo hanno ingaggiato un botta e risposta assai poco rassicurante sulla qualità dei rapporti diplomatici. Siamo in attesa di una conferma da parte loro” hanno ribadito le stesse fonti francesi, aggiungendo che “tra Italia e Francia restano le stesse divisioni sul tema dei salvataggi in mare”. Ma dallo staff della premier già presente ad Alicante, arriva una precisazione stizzita: “Non ci risulta alcun impegno assunto dal premier per una visita a Parigi. Determinati inviti non si facciano a mezzo stampa”.
Isolati sul dossier migranti. Isolati sul Mes. Anche sull’energia abbiamo perso lo smalto dei mesi passati. E sul Pnrr non siamo messi meglio. Giornata nera per il governo di Giorgia Meloni. Una di quelle che sono di per sé paradigmatiche per misurare lo stato di salute di un esecutivo.
La giornata inizia con la cancellazione della presenza del premier al vertice EuroMed-9 di Alicante. Era previsto un bilaterale con il premier spagnolo e padrone di casa Sanchez (tra i due c’è stata comunque una lunga e cordiale telefonata). All’ordine del giorno dossier di grande attualità e che vedono l’Italia in prima fila: la centralità ritrovata del Mediterraneo, dal punta di vista degli scambi commerciali e umanitari, sorta di hub energetico tra Europa e Africa, un tema antico – i primi a crederci furono La Pira e Mattei, erano gli anni cinquanta – su cui l’Italia, con Draghi, ha senza dubbio vantato una primazia nei mesi passati. Il secondo dossier all’ordine del giorno è quello dei migranti, il controllo dei flussi, la lotta agli scafisti, la gestione degli sbarchi e poi dell’accoglienza. Nonostante la delicatezza dell’agenda, la premier italiana ha dovuto dare forfait per via di una brutta influenza che palazzo Chigi ha però subito escluso essere Covid. Ad Alicante, sede del vertice, nei vari staff dei nove governi invitati serpeggia il dubbio che in realtà Meloni stia mettendo in atto una ripicca. Nessuno ufficializza nulla, per carità. E probabilmente c’è un eccesso di malizia in queste ricostruzioni circolate tra la stampa straniera accreditata. È un fatto che il forfait arriva dopo una giornata, giovedì, in cui palazzo Chigi e l’Eliseo hanno ingaggiato un botta e risposta assai poco rassicurante sulla qualità dei rapporti diplomatici. Come se le tre settimane trascorse dall’incidente della Ocean Viking, la nave della ong tedesca carica di oltre cento migranti a cui l’Italia ha chiuso in faccia i porti costringendola ad andare a Marsiglia, fossero passate invano. Nonostante gli interventi diretti – soprattutto telefonate – e gli appelli di Mattarella a Macron. Giovedì, in un briefing con la stampa intorno alle cinque di ieri pomeriggio ad Alicante, fonti dell’Eliseo hanno spiegato che “al momento non è previsto un incontro bilaterale formale” tra Meloni e Macron; che i due comunque “si sono visti anche due giorni fa a Tirana” e che “Meloni sta ancora cercando una data per la sua visita a Parigi e per la quale si è impegnata a lavorare”. “Siamo in attesa di una conferma da parte loro” hanno ribadito le stesse fonti francesi, aggiungendo che “tra Italia e Francia restano le stesse divisioni sul tema della responsabilità dei salvataggi in mare”. Pur essendo chiaro a tutti che quello degli sbarchi e della gestione dei migranti non può essere il problema tra Italia e Francia e che “tutti i paesi europei e anche paesi terzi dovrebbero sentire la propria responsabilità e impegnarsi in modo costruttivo”. Passano circa due ore e da palazzo Chigi, o meglio dallo staff della premier già presente ad
Alicante, arriva una precisazione stizzita: “Non ci risulta alcun impegno assunto dal presidente Meloni per una visita a Parigi. Né al presidente è giunto alcun invito ufficiale, immaginando che determinati inviti non si facciano a mezzo stampa”. Allusione al fatto che a suo tempo Meloni seppe “a mezzo stampa” della decisione francese di far sbarcare la nave della ong. E questo sarebbe stato il suo più grave errore. Quindi Parigi aspetta che Meloni vada in visita ufficiale, in pratica a Canossa, e che dica la data. Roma replica dicendo di non essere stata invitata. Ad Alicante quindi Meloni non avrebbe comunque interloquito con Macron in un bilaterale ufficiale per chiudere l’incidente. La ripresa dei rapporti passa da un faccia a faccia a Parigi. Che deve essere Meloni a chiedere. L’influenza ha però solo rinviato il problema. La prossima settimana c’è il Consiglio europeo di fine anno, il primo di Meloni, e sono tanti i dossier da discutere. Dai migranti all’energia passando per il Pnrr. È chiaro che l’Italia non può presentarsi con un livello di relazioni diplomatiche ridotte così al lumicino.
Ad Alicante comunque è volato il vicepremier Tajani. Che ha già avuto un buon bilaterale con von der Leyen mercoledì a Milano. Ed è di casa in questi vertici essendo stato a lungo il presidente del Parlamento europeo. Un approccio diplomatico, il suo, che è quello che serve in momenti come questi. Il ministro degli Esteri italiano ha glissato, almeno con la stampa, su quasi tutto: l’energia «è il cuore di questo vertice insieme con il ruolo strategico che il Mediterraneo e i paesi del sud Europa possono avere in questa fase»; sull’immigrazione l’Italia «pone un problema globale, europeo, non certo italiano o francese»; e anche le tensioni con Parigi sono state derubricate a “questioni secondarie”. A dimostrazione che l’influenza c’è ma forse non è così obnubilante, a metà mattinata palazzo Chigi recapita un altro messaggio puntato a Bruxelles (dove era in corso il vertice dei ministri dell’Interno dei 27) e su un tema diverso come il tetto del contante. «Piena sintonia del governo con la decisione del Consiglio Ue di stabilire un ragionevole tetto al denaro contante quale misure di antiriciclaggio. Nonostante la soglia prevista sia pari a 10 mila euro, allo stato attuale il Governo fissa tale soglia a 5mila euro». Della serie, fine della discussione sull’Italia che non fa abbastanza per combattere l’evasione fiscale. Già così potrebbe bastare per misurare il nostro isolamento a livello europeo. Ma c’è dell’altro. Sempre ieri infatti è rimbalzata da Berlino la notizia che la Corte costituzionale tedesca ha dato via libera all’adozione del Mes sanitario. L’Italia finora è sempre stata contraria e Meloni, già quando era all’opposizione, ha sempre detto e ripetuto che “mai e poi mai avremmo ratificato il Mes”. C’era comunque l’alibi tedesco, l’unico governo europeo che insieme a quello italiano non ha proceduto con la ratifica. La Germania era in attesa di questa sentenza nata da un ricorso di nove parlamentari tedeschi del partito liberale. Il ministro Giorgetti in questi mesi, in cui la criticità della spesa sanitaria pesa fortemente sul rendimento del servizio sanitario nazionale, ha sempre preso tempo, “vediamo cosa farà la Germania”. Ora però la Germania ha deciso: nessun rischio di incostituzionalità. E l’Italia? Il Mef non replica, “ci stiamo occupando della legge di bilancio”. Tajani, interpellato su questo punto in una pausa del vertice ad Alicante, ha ammesso che «nella maggioranza ci sono opinioni diverse e comunque il regolamento presenta criticità». Il Terzo Polo, da sempre convinto della necessità di utilizzare i 37 miliardi del Mes, ieri ha presentato il conto. “Cosa aspetta ancora l’Italia?”, ha subito twittato la capogruppo al Senato Raffaella Paita. “In gioco ci sono risorse per la vita e la salute degli italiani”. Il capogruppo alla Camera Matteo Richetti ha fatto altrettanto: “Siamo rimasti solo noi: invece di parlare di pos e contanti questa maggioranza riesce a farsi carico dei bisogni del Paese?”. C’è da dire che ratificare il Mes non vuol dire attivarlo. È un fatto che a questo punto restiamo gli unici a non averlo fatto. Isolati, ancora una volta.
Una giornataccia, sì. Anche a Bruxelles dove ieri pomeriggio si è concluso il vertice Ue dei ministri dell’Interno. Sulla gestione dell’immigrazione non si registrano veri passi avanti. E una volta di più è venuto fuori, allo stato dei regolamenti vigenti a cominciare da Dublino, che l’Italia è quella che non rispetta le regole perché troppo di manica larga sulle migrazioni interne. Troppi migranti identificati in Italia, e in base a Dublino quindi in carico al paese del primo sbarco, sono liberi di andarsene in giro per l’Europa. Nessun controllo alle frontiere italiane che sono un colabrodo. Sembra di essere tornati al 2015. Il ministro Piantedosi ha dovuto promettere maggiore sorveglianza. Che è un po’ un’ammissione di colpa. In generale, dobbiamo sperare che lo stato dei rapporti migliori. Peggiorare sarebbe difficile. Intanto proprio Tajani ha dato la notizia che due navi cariche di naufraghi “stanno per entrare nel porto di Salerno”. E che il Viminale gestirà il meccanismo di distribuzione.

fonte: IL RIFORMISTA