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Mediorientale – La newsletter sul Medio Oriente a cura di Francesca Gnetti

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Yemen Le Nazioni Unite hanno annunciato il 2 giugno che il governo e i ribelli huthi hanno prorogato per altri due mesi la tregua in vigore dal 2 aprile. La tregua prevede anche la riapertura dell’aeroporto della capitale Sanaa ai voli commerciali, la rimozione degli ostacoli agli approvvigionamenti di carburante e la revoca dei blocchi imposti ad alcune città.

Israele Il 6 giugno il governo non è riuscito a far passare un progetto di legge che avrebbe prolungato l’applicazione del diritto israeliano nelle colonie della Cisgiordania occupata. Dal 1967 la legge che consente ai coloni di beneficiare degli stessi diritti dei cittadini residenti in Israele è rinnovata automaticamente dal parlamento ogni cinque anni. Ma questa volta molti deputati hanno usato la votazione come uno strumento per indebolire la coalizione al governo. Almeno, nota l’editoriale di Haaretz, “il pubblico ha compreso la verità che rende possibile l’impresa delle colonie: l’esistenza di due sistemi legali separati nello stesso territorio, uno per gli israeliani (cioè gli ebrei) e uno per i palestinesi, e anche di due sistemi di giustizia diversi”.

Siria L’ottavo ciclo di colloqui su una nuova costituzione siriana si è concluso il 3 giugno senza progressi, ha annunciato il mediatore delle Nazioni Unite. Le discussioni tra quindici rappresentanti del governo, dell’opposizione e della società civile si sono arenate su alcune questioni di principio come il rafforzamento delle istituzioni dello stato, l’importanza degli accordi internazionali e la giustizia. Una nuova sessione è stata fissata per il 25 luglio a Ginevra.

Archeologia A causa della grave siccità che ha colpito l’Iraq sono riaffiorate dalle acque del fiume Tigri le rovine di una città risalente a 3.400 anni fa. L’insediamento si trova in un sito noto come Kemune, nella regione del Kurdistan iracheno, ed è stato individuato da un gruppo di ricercatori a dicembre quando l’acqua nella diga di Mosul si era abbassata più del solito. Le prime rovine erano state scoperte nel 2013 e altre ricerche erano state svolte tra il 2018 e il 2019 da un gruppo di archeologi curdi e tedeschi. Si tratterebbe dell’antica città di Zakhiku, risalente all’epoca dei mitanni, che regnarono sul nordest della Siria, sul sud della Turchia e sul nordovest dell’Iraq tra il 1.500 e il 1.300 aC.

Libano Proseguono le manovre politiche nel paese in seguito alle elezioni del 15 maggio. Il 31 maggio è stato riconfermato come presidente del parlamento Nabih Berri, 84 anni, alleato del movimento sciita Hezbollah, al suo settimo mandato consecutivo. Questa settimana si tengono invece le consultazioni per designare un primo ministro che dovrà formare il nuovo governo. Ufficialmente l’esecutivo avrà una durata di qualche mese, fino all’elezione di un nuovo presidente della repubblica, quando a ottobre scadrà l’incarico di Michel Aoun.

Femminismi

Attivisti di Shovrot kirot nel quartiere di Givat Amal a Tel Aviv, l’11 aprile 2022 (Oren Ziv)

È possibile rendere Israele un paese più giusto per tutti i suoi abitanti? Un nuovo movimento di attiviste ci sta provando, proponendo un metodo di lotta che unisce il femminismo alla giustizia sociale. Si chiama Shovrot kirot (“abbattere i muri”, in ebraico) e ne parla un articolo del sito +972 Magazine pubblicato questa settimana su Internazionale e gratuito per le lettrici e i lettori di Mediorientale. È stato fondato alla fine del 2019 da Sapir Sluzker Amran e Carmen Elmakiyes Amos, da anni in prima linea in una serie di lotte legate alla povertà e all’edilizia pubblica. Il nome rende omaggio a una poesia di Vicki Shiran, una delle fondatrici del femminismo mizrahi (termine con cui ci si riferisce agli ebrei immigrati in Israele da paesi arabi o musulmani), che racconta la storia di una donna desiderosa di abbattere i muri che la imprigionano per volare nel cielo. Ma è anche una frecciata polemica nei confronti del femminismo “liberale” tradizionale, accusato di ignorare il razzismo e le difficoltà economiche vissute da molte donne non bianche.

Secondo Shovrot kirot riconoscere le differenze tra le varie comunità oppresse – donne, mizrahi, etiopi e ovviamente palestinesi – e creare connessioni tra loro aiuta a portare avanti le battaglie di tutti. Ed è proprio questo l’impegno delle attiviste, come raccontano loro stesse a Ben Reiff, lo scrittore e attivista autore del pezzo: far capire agli israeliani che questioni come la povertà, il diritto a un tetto e all’elettricità sono una parte inseparabile della lotta per i diritti umani, contro l’occupazione dei territori palestinesi e a favore della democrazia.

Ohad Amar, avvocato esperto di diritti sociali di Shovrot kirot, illustra molto bene la peculiarità e le contraddizioni dell’attivismo israeliano parlando di una “tensione” tra chi promuove i diritti sociali e chi quelli politici, innanzitutto la causa palestinese. Parte di questa tensione, spiega, deriva dalla natura particolare della divisione tra destra e sinistra in Israele: quella che è considerata sinistra rappresenta prevalentemente i benestanti, per lo più ashkenaziti (ebrei discendenti dagli immigrati provenienti dall’Europa centrale e orientale), della società, mentre quella che è considerata destra tradizionalmente rappresenta i più poveri, in maggioranza mizrahi. “Non abbiamo ancora trovato una base per unire le campagne e le lotte”, sostiene Amar. “Non sono sicuro che siamo pronti per mettere insieme la lotta per i diritti dei palestinesi e quella contro il capitalismo”.

Ma l’attivismo di gruppi come Shovrot kirot dimostra l’importanza di promuovere la consapevolezza sulla giustizia sociale in modo da poter combattere allo stesso tempo il capitalismo e il colonialismo. E dimostra anche che, nonostante una politica sempre più dominata dalla destra, paralizzata dai litigi tra i partiti e incapace di qualunque azione verso una soluzione della questione palestinese, la società civile israeliana è effervescente e in cerca di nuovi modi di portare avanti lotte diverse ma unite dalla volontà di rendere Israele un paese migliore per tutti.

Società

Cartoni animati arabi
Come nel resto del mondo, anche in Medio Oriente negli ultimi decenni i bambini sono cresciuti guardando i cartoni animati importati dall’estero, soprattutto dagli Stati Uniti e dal Giappone. In qualche caso nella traduzione e nell’adattamento sono stati inseriti alcuni elementi per rendere le storie e i personaggi più vicini e conformi alle tradizioni e ai costumi arabi. Ma fin dalla prima metà del novecento alcuni cartoni animati sono stati prodotti localmente e sono stati usati come strumento educativo e anche di propaganda per diffondere nelle società ideali e valori del momento. Middle East Eye propone una carrellata tra le produzioni animate più famose degli ultimi decenni, i cui personaggi hanno accompagnato l’infanzia di milioni di bambini.

Il più antico cartone animato arabo è Mish Mish Effendi, il Topolino egiziano. Questo personaggio con il papillon e il fez in testa, accompagnato da un’amata in stile Betty Boop, debuttò in un episodio di quattro minuti nel febbraio del 1936. Era stato creato dai fratelli Frenkel – David, Herschel e Shlomo – che si erano trasferiti in Egitto (prima ad Alessandria e poi al Cairo) da Jaffa, in Palestina, nel 1914, dopo che l’amministrazione ottomana aveva espulso gli ebrei russi che temeva potessero diventare spie. Dato il suo grande successo Mish Mish Effendi fu usato a scopi propagandistici dal ministero dell’interno egiziano, che nel 1938 commissionò un episodio in cui il protagonista va in guerra con il suo asino. Ci furono poi film e pubblicità, fino al declino, che coincise con il trasferimento dei fratelli Frenkel in Francia, a causa dell’ondata antisemita in Egitto seguita alla creazione di Israele nel 1948.

Sotto l’Iraq di Saddam Hussein i bambini sono cresciuti con El Amirah wel nahr (La principessa e il fiume), l’adattamento in stile Disney di una favola mesopotamica, che aveva l’obiettivo di rafforzare la mitologia e l’identità dell’antica Babilonia e, già che c’era, anche i sentimenti anti-iraniani. Andato in onda per la prima volta nel 1982, il cartone racconta la storia di tre principesse che dopo la morte del padre intraprendono un’avventura per riconquistare il trono e sconfiggere il perfido sovrano del paese vicino, non a caso chiamato Eiran.

Negli anni tra il 1998 e il 2007 il più famoso eroe egiziano è Bakkar, un ragazzino nubiano (una popolazione che discende dai primi abitanti dell’Africa subsahariana, della valle centrale del Nilo) che con la sua capretta Rashida promuove una narrativa di unità, armonia e moderazione per contrastare le derive islamiste nella società. La sigla, realizzata dal famoso cantante nubiano Mohamed Mounir, è diventata un classico della musica egiziana. Gli episodi del cartone sono stati trasmessi in una versione in 3D durante il Ramadan del 2021.

Le protagoniste di Freej

La prima sitcom animata araba risale invece al 2006, quando negli Emirati Arabi Uniti andò in onda per la prima volta Freej, che in dialetto locale si riferisce a un quartiere tradizionale. Le protagoniste sono quattro donne che rappresentano la diversità della società di Dubai prima del boom petrolifero e simboleggiano un misto tra la proiezione verso il futuro e la promozione dei valori e dell’identità tradizionali. Umm Saeed ha un accento beduino, Umm Allawi origini persiane, Umm Khammas viene dall’Africa orientale e Umm Salloum, sovrappeso e svanita, è l’incarnazione degli anziani emiratini.

Dopo il successo di Freej, in tutta la regione sono state prodotte più di trenta sitcom animate. Una delle più affermate e longeve è Yawmiyat Bu Qatada wa Bu Nabeel (La vita quotidiana di Bu Qatada e Bu Nabeel), prodotta in Kuwait tra il 2006 e il 2014. I tre protagonisti – Bu Qatada, Bu Nabeel e Bu Meshal – rispecchiano gli stereotipi della società del Kuwait: uno ossessionato dalla sharia, l’altro simbolo dell’assimilazione e della perdita del retaggio culturale e il terzo ammaliato dal consumismo statunitense.

Dalla metà degli anni novanta la televisione egiziana ha investito nella realizzazione di serie animate a tema religioso. Tra queste Qisas al Anbiya (Dalle storie dei profeti), del 1999, e Storie del Corano, andato in onda nella prima decade degli anni duemila, in cui ogni stagione ruota intorno a un tema, promuovendo un islam della tolleranza e di accettazione delle diversità.

Infine anche gli anime sono arrivati in Medio Oriente. Nel 2017 Jeem tv, in Qatar, ha trasmesso la prima serie anime araba, Badr, prodotta dal Bein Media Group, di proprietà di Al Jazeera. Racconta le avventure di un ragazzo in una città di pescatori di perle nel Golfo prima della scoperta del petrolio, mescolando il fantasy con una narrativa tradizionale e di promozione dell’identità locale.

Consigli

Da vedere Divided Jerusalem è un video interattivo di Al Jazeera che porta lo spettatore attraverso le contraddizioni e le disuguaglianze di una città simbolo del conflitto tra israeliani e palestinesi e delle differenze nelle condizioni di vita delle due popolazioni. La prima parte è un confronto tra le strade, i mercati, le università e le stazioni della parte ovest e della parte est di Gerusalemme. La seconda è un tour dei luoghi santi della religione islamica, ebraica e cristiana.

Fonte: Internazionale