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L'inizio della dissoluzione dell'Urss nel diario di un "insider"

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Diario del precipizio. O, se si preferisce, istantanee di un tracollo. Di un impero in disfacimento. Quello sovietico. Con numeri, fatti, resoconti, rapporti, ma anche impressioni, ben prima della dissoluzione definitiva dell’Urss. “In due anni, il numero dei ladri è raddoppiato, il valore dei beni sottratti si è quadruplicato. Dalle 9 alle 11 mila automobili si stanno accatastando a Brest perché non possono essere consegnate agli acquirenti internazionali essendo tutte smontate. Il 25% dei trattori e del macchinario per l’agricoltura arriva privo di attrezzatura. Ogni anno le perdite arrivano a molti miliardi di rubli. Viene rubata sette volte tanta carne quanto due anni fa”.

È il 28 gennaio 1980. L’Urss aveva da poco invaso l’Afghanistan: Anatoly Sergheevic Chernayev – storico, ma soprattutto vicedirettore del dipartimento internazionale del Comitato centrale del Pcus, prima di diventare consulente per gli Affari esteri di Mikhail Gorbaciov – annotava passo per passo, con estrema precisione, quella che era l’incipiente dissoluzione dell’Unione sovietica: un punto di vista privilegiato, che offre un resoconto senza sconti dall’interno dell’impero, allora ancora nelle mani di Leonid Breznev.

Ora, in occasione di quello che sarebbe stato il 99esimo compleanno dello storico, il National Security Archive americano – al quale Chernayev aveva fatto dono di tutti i suoi diari – pubblica per la prima volta il diario integrale del fatidico 1980, segnato non solo dalla “insensata” guerra in Afghanistan, ma anche dalla previsione di un’invasione della Polonia, alle prese con gli scioperi ai cantieri navali di Solidarnosc.

Il quadro appare fosco sin dalla primissima pagina. “I negozi sono vuoti e nel corso dei passati giorni sono scomparsi persino i francobolli e le buste da lettera”, racconta il funzionario, aggiungendo di esser stato “personalmente testimone di una scena al telegrafo centrale” con la gente che esprime tutta la sua esasperazione: “Sabotaggio, inadeguatezza, chiunque ha permesso che accadesse questo dovrebbe essere decapitato”.

Il fatto è che questi diari – così dice la nota introduttiva del National Archive – non solo “mostrano il progressivo declino della leadership sovietica, l’emergenza degli scioperi e dei disordini in Urss nel mezzo di un’economia in via di deterioramento”, ma rappresenta anche “una di quelle fonti insostituibili (per dirla con le parole di un vincitore del Pulitzer, David Hoffman) che ci danno uno sguardo unico in questioni che all’epoca erano ben oltre la segretezza, una panoramica, dal piu’ alto livello, della vita sovietica da parte di un candido ‘insider'”.

Perché l’essere un “apparatchik” non impediva a Chernayev di resocontare con precisione quello che aveva sotto gli occhi. “Le banche hanno chiuso le linee di credito. Ho avuto una conversazione casuale con Ivanov, il vicepresidente della Gosbank, mi ha detto che non solo quelle americane, ma anche le altre banche, o rifiutano nettamente di darci prestiti per pagare precedenti debiti (come abbiamo fatto per molti anni), o tirano su gli interessi di almeno il 30%”.

Così annota l’analista il 28 gennaio. Aggiungendo: “Questo è essenzialmente l’annuncio di una bancarotta, con tutto ciò che ne consegue”. Ma non è solo il classico ritratto di un Paese che moltiplica i sintomi della propria malattia terminale (“le file sono diventate più lunghe, ma non ci sono più patate, non c’è cavolo, non ci sono cipolle, nè carote, nè formaggio le salsicce, appena compaiono, vengono eradicate dagli scaffali da gente di fuori città che hanno ancora una volta inondato la capitale”), è anche la fotografia del progressivo isolamento internazionale dell’Urss.

Situazione che si aggrava, ovviamente, con l’invasione dell’Afghanistan: “Il diavolo sa cosa sta succedendo nel mondo”, commenta Chernayev. “Tutto il mondo ci condanna e ci maledice: alle Nazioni Uniti 104 nazioni hanno votato contro di noi e solo 17 erano con noi. Siamo stati condannati da governi e parlamenti, ogni tipo di comitati e anche singoli politici, partiti e organizzazioni sindacali. Persino alcuni partiti ‘fraterni’, come il Pci e il Pce, i giapponesi, i belgi, gli svedesi. Per aggressione, per aver violato le norme internazionali, per l’occupazione, per aver provocato la corsa al riarmo, per aver invaso il mondo islamico”.

Quel che Chernayev mette in risalto senza alcuna forma di sudditanza è l’inadeguatezza della leadership sovietica. “Un commentatore occidentale ha scritto: o si tratta di un terribile errore di valutazione o si tratta di semplicemente di una valutazione terribile. Io temo neanche ci avviciniamo all’ultima. È stata la semplice rozzezza della persona che alla fine ha preso la decisione: come osano andare contro di me, io glielo faro’ vedere se non mi tengono in considerazione!”.

È chiaro a chi ci si riferisca: Leonid Breznev. Il quale – Chernayev lo dice senza grandi complimenti – ormai è già “completamente senile”. Anzi, “probabilmente il segretario generale non sa neanche cosa stia succedendo intorno a noi”, scrive il 9 febbraio. Nessuno sconto: “Non è mai stato il più luminoso intelletto, anche se era una persona ben intenzionata. Ora è completamente senile (…). Come dice Arbatov, “l’ho sempre paragonato a mia zia. Aveva gli stessi sintomi, sia esterni che interni la tendenza all’ostilità, l’alienazione, animosità anche nei confronti di persone a cui era attaccata. L’Enciclopedia medica descrive questi ovvi sintomi come ‘psicosi senile'”.

Non sembra aver grandi speranze, il funzionario di alto livello, sempre impegnato in defatiganti riunioni al Comitato centrale del Pcus. Il 3 marzo annota che “la situazione e’ peggiore che durante la guerra (mondiale, ndr). Allora solo le citta’ necessitavano di approvvigionamenti, ora doppiamo rifornire anche i villaggi”.

Oppure: “Neanche la Russia zarista e nessun’altra nazione civilizzata ha mai visto niente del genere” (28 gennaio). Il problema è che i vertici al Cremlino come nel Pcus evidentemente stentano a rendersi conto di quello che sta succedendo in Unione sovietica: in una riunione di cui Chernayev riferisce, è tutto un “com’e’ possibile? È una disgrazia? Dove sono le organizzazioni di partito, quelle dei lavoratori?”, è quello che “tutti si chiedono i con l’aria di chi è completamente impotente”.

Il sistema è preoccupato solo di preservare se stesso, fa intendere lo storico, secondo il quale “la senilità sta colpendo tutta la struttura, il meccanismo del potere al massimo livello, a causa della senilità dei suoi leader e l’età media del resto del vertice, che è di quasi 75 anni. Sta diventando pericoloso per l’esistenza del nostro Stato, non solo per il suo prestigio”.

Uno dei risultati è che “l’Afghanistan e’ una piaga che si mangia la consapevolezza pubblica e la vita internazionale”, spiega ancora Chernayev il 5 febbraio 1980. “Si diffondono voci che gli ospedali sono pieni zeppi dei nostri ragazzi feriti, che ogni giorno arrivano aerei con bare sigillate (…). Perché? Per cosa? Per chi? Nota bene: se i nostri ragazzi devono morire per questo, se dobbiamo provare vergogna in tutto il mondo, se l’odio antisovietico rovinerà quel che rimane del nostro ideale socialista, finirà per collassare finanche l’apparenza del rispetto per gli interessi nazionali?”. Aggiunge, pochi giorni dopo, Chernayev: “Se tenessimo un referendum mondiale, il nostro prestigio sarebbe il più basso di sempre”. È l’affresco di un disastro.

Vedi: L'inizio della dissoluzione dell'Urss nel diario di un "insider"
Fonte: estero agi


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