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L’India e il nucleare: il Buddha sorride

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Miscela Strategica – ‘Smiling Buddha’ fu il nome in codice assegnato alla bomba atomica Pokhran-I che l’India fece esplodere nel maggio 1974. Da allora l’India ha conquistato lo status di potenza nucleare. Con un excursus storico e un accenno alle prospettive future, vediamo il ruolo della deterrenza nucleare di Nuova Delhi.

C’ERA UNA VOLTA… – Il Pokhran I fu il primo test nucleare da parte di un Paese esterno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’ordigno venne fatto brillare nel poligono dei Pokhran, nello Stato del Rajasthan, e di per sé ebbe una potenza ridotta (circa 8 kt), ma la risonanza mondiale fu enorme. L’India di Indira Gandhi portò così a termine un progetto di sviluppo iniziato con l’Atomic Energy Act promulgato da Jawaharlal Nehru all’indomani dell’indipendenza dal Regno Unito (1948), ma che subì una fortissima accelerazione con la débâcle indiana nella guerra contro la Cina nel 1962. A seguito del “Buddha sorridente” l’India ha sviluppato una dottrina nucleare, ma soprattutto ha messo a punto tutta una serie di mezzi di lancio, compresi vettori intercontinentali (Agni V) che le hanno dato il rango di potenza nucleare asiatica all’interno del triangolo comprendente anche Cina e Pakistan. Il futuro dell’arma nucleare indiana, oltre che al vettore intercontinentale Agni V, si incentra sull’ottenimento di un missile balistico sottomarino in grado di montare testare nucleari (il K-4), una carta decisiva per spuntare il confronto nucleare contro il Pakistan e l’ultima arrivata Corea del Nord.

UN SORRISO – La convinzione dell’importanza dell’arma nucleare si rafforzò nelle classi dirigenti indiani dopo la cocente sconfitta che l’esercito di Jawaharlal subì contro la Cina per il controllo dell’Aksai Chin nel 1962. Il bruciante smacco ebbe infatti sugli indiani la risonanza della caduta di un macigno e la successiva implementazione dell’arma nucleare da parte di Mao annientò le velleità di potenza regionale che l’India poteva nutrire. La reazione immediata fu il perseguimento dell’arma atomica. I lavori di progettazione dell’arma cominciarono nel 1965 con gli ingegneri Homi J. Bhabha e Raja Ramanna. Il programma fu parzialmente rallentato sotto Lal Bahadur Shastri, che si concentrò piuttosto nel perseguire una supremazia regionale convenzionale sul nemico Pakistan. Soprattutto, però, si arrestò nello sviluppo a causa delle pressioni e del monitoraggio statunitense, molto insistente a quei tempi a causa della guerra in Vietnam. Si ripartì a spingere sull’arma atomica con il successivo esecutivo di Indira Gandhi, e il raggiungimento della fase conclusiva impiegò solamente settanta scienziati, per una questione di sicurezza delle informazioni. Tra il 1969 e il 1974 il team indiano visitò almeno dieci volte le nuclear facilities sovietiche, ricevendo assistenza, progetti e materiale. L’Unione Sovietica di Breznev fornì effettivamente all’India l’aiuto maggiore per la realizzazione dell’ordigno del 1974, assieme al Canada, che fu sfruttato per la sua appartenenza al Commonwealth per le importazioni. A settembre 1972, nel picco della sua popolarità dovuta alla vittoria della guerra contro il Pakistan, ma soprattutto all’abbandono statunitense del teatro vietnamita, Indira Gandhi autorizzò la costruzione della bomba vera a propria e l’approntamento del test. Di nuovo il livello di segretezza fu massimo, dato che solo due consiglieri politici di Indira furono informati con anticipo, e quando il Buddha “sorrise” con una detonazione di 8kt, alle otto del mattino del 18 maggio 1974, per molti fu un fulmine a ciel sereno. La segretezza consentì a New Delhi di acquisire l’arma, al contrario del Pakistan anni dopo, senza troppe opposizioni internazionali, a parte le sanzioni successive all’esplosione e rimosse dopo poco tempo. La situazione indiana, inoltre, fu vissuta meno negativamente dalla comunità internazionale, dal momento che l’intero progetto fu presentato come un test pacifico, effettuato solo allo scopo di verificare le potenzialità dell’energia nucleare. L’argomentazione era logicamente alquanto discutibile, ma parve funzionare. Gli Stati Uniti dichiararono addirittura che l’India non aveva violato alcun trattato e procedettero all’invio di un quantitativo di uranio arricchito per scopi energetici nel 1974. La Francia arrivò persino a mandare un telegramma di congratulazioni a Indira Gandhi, quasi immediatamente ritirato perché ritenuto troppo provocatorio nei confronti della comunità internazionale.

IL CONFRONTO COL PAKISTAN – Il test indiano ebbe l’effetto maggiore, come abbiamo già visto nell’articolo dedicato, sul Pakistan, che si mise al lavoro ancora più alacremente nella sua corsa all’armamento nucleare. Zulfikar Ali Bhutto dichiarò letteralmente che non avrebbe mai permesso che il Pakistan soccombesse alla minaccia nucleare, né tantomeno accettato l’egemonia indiana nel sub-continente. Il primo pensiero pakistano fu quello della corsa agli armamenti, mentre l’India cominciò con preoccupazione a monitorare le mosse di Islamabad e a lavorare nel capo dei mezzi di lancio, pur continuando a proclamare la propria dottrina di deterrenza e No First Use. Così il Governo indiano mise a punto il programma di sviluppo dei missili balistici a Prithvi (testato nel 1988) e Agni I (primo di una lunga serie testato nel 1989), e acquisì i velivoli Mirage 2000 e Sukhoi-30MKI (inizio del progetto russo-indiano nel 1996, prime consegne 2002). Tuttavia si è rimasti nell’ambito di una capacità di lancio infra-continentale, come nota anche l’analista Ashley Tellis, fino al pieno successo del missile Agni V e alla progettazione del missile balistico sottomarino K-4. Nel 1998 si ebbe però un’altra svolta miliare: India e Pakistan, a pochi giorni uno dall’altra, effettuarono test nucleari, che ebbero stavolta una opposizione enorme, in quanto ormai al di fuori del contesto della corsa agli armamenti della Guerra Fredda, e come risultato di una spregiudicata rincorsa fra i due Paesi. Le elezioni del 1998 erano state vinte dal partito conservatore Bharatyia Janata Party, che aveva approfittato delle tensioni sociali e degli scontri veri e propri fra indù e musulmani e promesso una linea dura contro gli estremisti islamici e le presunte infiltrazioni di frange di mujaheddin dal Pakistan. Il Governo di Islamabad, guidato da Sharif, fronteggiava una situazione molto simile dal lato opposto (quello musulmano) e si preparava a testare la prima arma nucleare islamica. Nello scambio di dichiarazioni arroventate, il primo ministro Vjpayee arrivò addirittura a dichiarare, nel febbraio del 1998: «Strapperemo al Pakistan quella parte di Kashmir che occupa illegalmente»! Così si arrivò alla doppia serie di test: i cinque Shakti per l’India, il 13 maggio, che furono duramente condannati dal Pakistan, salvo poi portare a termine la propria serie di esplosioni controllate del progetto Chagai, il 28 maggio. Questa volta gli esperimenti, soprattutto per le condizioni da corsa agli armamenti/crisi nucleare nella quale erano maturati, incorsero negli strali di vari Paesi, ma soprattutto in pesanti sanzioni della comunità internazionale. Tuttavia, il clima di contrarietà, naturalmente, non riuscì a fermare la progressione degli armamenti atomici dei due nemici per la pelle.

UNO SGUARDO AL FUTURO – Il 15 settembre 2013 l’India ha testato con successo per la seconda volta il missile balistico intercontinentale (ICBM) con capacità atomica Agni V. Il lancio è avvenuto dall’isola di Wheeler di fronte alla costa di Odisha. Il missile è completamente prodotto in India e ha una gittata di 5.000 km, un vero salto di qualità. Come sanno bene gli analisti della deterrenza nucleare, il vero bandolo della matassa è il vettore: a che serve possedere un’arma atomica (come la Corea del Nord) se non si hanno dei vettori (aerei, balistici o navali) in grado di trasportarla e utilizzarla a seconda della dottrina? Bene, adesso si sa per certo che l’India ha un missile, prodotto in patria, in grado di portare le sue circa 110 atomiche in Cina, Pakistan e, perché no… Russia e Francia (che stavolta non ha scritto nessun tipo di congratulazione). Si sta sviluppando inoltre una analoga capacità di missile balistico sottomarino (lanciato da sommergibile), K4. Adesso rimane solo da aspettare quale sarà la risposta pakistana di fronte all’evidenza che l’avversario è ormai un gigante nucleare.

Di Francesco Valacchi

Fonte: ilcaffegeopolitico.net/