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L’ecologismo della bellezza

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Il Senatore Fiorello Cortiana delinea i contenuti e le finalità di un nuovo “Patto Ecologista Riformista-PER”, una pratica ed una proposta politica che può interessare i territori e le loro comunità, in alternativa all’atomizzazione sociale e ai leoni da tastiera e da share televisivo, attraverso la messa in rete, la condivisione di esperienze, l’attivazione di iniziative per armonizzare efficaci norme e procedure dei diversi livelli istituzionali

di Fiorello Cortiana

La presenza concomitante di tre crisi strutturali che interessano la Terra e i suoi abitanti, dentro e in fuga dalle nazioni in cui vivono, segna prepotentemente questo inizio del terzo millennio. L’emergenza climatica, la pandemia e una guerra di occupazione alle porte d’Europa, ingaggiata da una delle potenze militari mondiali, sono l’altra faccia della medaglia di una globalizzazione senza governo partecipato dai popoli della Terra.
L’omologazione consumistica, l’illusione dell’ “uno vale uno” sui social network, riflettono e accompagnano un analfabetismo politico che impedisce l’esercizio della Cittadinanza Attiva e, quindi, l’esigenza di una politica pubblica espressa da gruppi dirigenti capaci di visione e autonomia dalla deriva finanziaria dell’economia e del controllo dei Big Data. Eppure a fronte dei nodi devastanti dello sviluppo quantitativo illimitato che stanno venendo al pettine, combinati con la crisi pandemica e la guerra, la conversione ecologica dei consumi e nei costumi quotidiani e il cambiamento nello sguardo e negli orientamenti dei decisori, sono auspicabili quanto necessari. Però devono essere effettivi e non solo greenwashing di facciata perché si pensa di ‘tornare come prima’.
Non stupisce che sia in atto una operazione di marketing di comunicazione, da parte delle forze politiche più grandi, per ammiccare ad una sensibilità ambientale diffusa attraverso nuove formazioni. Una sensibilità ambientale che non ha oggi in Italia una rappresentanza credibile, indigna l’assoluta mancanza di un’etica della responsabilità e di azioni efficaci.
A proposito degli ecologisti credibili e autonomi: in Baden-Württemberg, nel 2021, i Gruenen salgono di due punti al 32,6% e si confermano il governo del Land con una partecipazione al voto del 63.8%, a Milano i Verdi, alle amministrative 2021 salutano come risultato eccezionale il 5,11% contribuendo alla conferma di Sala, ma la partecipazione al voto ha interessato solo il 47% dei milanesi. La percentuale più bassa dal dopoguerra. I verdi hanno salutato un risultato che non ha avuto corrispettivi nelle altre città italiane andate al voto, le quali non avevano goduto della presenza attiva di Greta Thunberg, che per una settimana aveva interessato con i suoi interventi la città e i suoi abitanti negli incontri internazionali, in tutti i media e i social e portando 50.000 giovani nelle strade e nelle piazze. Eppure l’Italia aveva conosciuto anch’essa una stagione di maturazione ecologista dell’ambientalismo locale e nazionale, frutto delle spinte dei radicali, delle femministe, dei giovani, a rivedere i presupposti dei movimenti degli anni ’70 andando oltre le antinomie destra/sinistra e guardando la concretezza dei rapporti di genere, di generazione, dentro ad un modello di sviluppo quantitativo illimitato che consumava più delle risorse disponibili e riproducibili sul Pianeta. Da queste tensioni esistenziali e culturali ha preso corpo l’ecologismo politico in Italia, con un arcipelago di esperienze locali e reti che hanno trovato una investitura politica nazionale con il referendum antinucleare post Chernobyl. Sullo slancio di questa relazione tra protagonismo locale e nazionale tra gli anni ’80 e lungo tutti gli anni ’90 ci sono state significative esperienze istituzionali di governo locale e nazionale. Significative perché capaci di innovare aspetti normativi, dai parchi ai rifiuti, dall’urbanistica ai trasporti, e indirizzi e scelte della politica pubblica. Una relazione tra espressione politica, esperienze sociali e lavoro intellettuale e di ricerca, che non è stata coltivata e strutturata, a differenza della Germania, alimentando così una autoreferenzialità della espressione politico elettorale.
Si è passati rapidamente dalla verifica di efficacia delle azioni, delle alleanze, delle capacità amministrative, alla preoccupazione della rielezione. Quest’ultima preoccupazione ha guidato e piegato le competenze e l’abilità di essere nella cordata giusta al momento giusto: feudi, corti e cortigiani, sono stati la deriva antropologica scontata.
Dato che i verdi sono stati un indicatore delle intuizioni e degli sviluppi della forma e dei contenuti della partecipazione e della rappresentanza politica, il loro carattere residuale riflette stagioni dal carattere negativamente personalizzato. Caratteristica che interessa tutto il confronto politico italiano e che Berlusconi ha sapientemente cavalcato e plasmato. Berlusconi che non è stato la causa di questo processo, bensì il prodotto più probabile dato il peso mediatico delle sue aziende di comunicazione. Pensiamo alle derive personalistiche-plebiscitarie per le quali il centro sinistra italiano si è impegnato alacremente, dall’elezione diretta di sindaci e governatori, con la relativizzazione delle assemblee elettive, alla permanenza del conflitto di interessi, alle leggi elettorali incostituzionali, fatte per “nominati” dalle segreterie.
Si pensi al paradosso sfacciato della legge 56/2014 la “Del Rio” che nei fatti ha tolto la polizia provinciale, ha avviato alla consunzione le Province, attuato solo nominalmente le città metropolitane e al comma 5 dell’articolo 1 legittimava questi intenti sulla Costituzione che sarebbe stata riformata. Pensiamo allo zapping elettorale che vede lo spostamento di milioni di elettori da Berlusconi a Renzi, da Grillo a Salvini, alla Meloni e intanto aumentano i non votanti.
Non ci sono scorciatoie: la crisi dell’istituto della democrazia interessa i paesi che l’hanno conosciuta e noi ne siamo particolarmente colpiti avendo un giovane stato democratico. Non si rigenera il campo democratico, non si produce la conversione ecologica che Papa Francesco ha ben delineato nella Laudato Sì, se non si cerca di capire il contesto sociale e non si mette il naso oltre la buvette e non si mette in rete un significativo blocco sociale della innovazione qualitativa che, in modo consapevole a ogni livello, pratica il cambiamento dei consumi e dei costumi ed esige politiche pubbliche coerenti e abilitanti. Occorre mettere in rete esperienze amministrative, professionali, imprenditoriali, accademiche, associative, affinché condividano esperienze e soluzioni efficaci legate alla partecipazione informata al processo deliberativo e all’esercizio di protagonismo nelle soluzioni del cambiamento. Le Comunità Energetiche, che si stanno diffondendo lungo la penisola, hanno queste caratteristiche.
Questa azione di messa in rete, di condivisione di esperienze, di attivazione di iniziative per armonizzare efficaci norme e procedure dei diversi livelli istituzionali, è la pratica e la proposta politica che può interessare i territori e le loro comunità, in alternativa alla atomizzazione sociale e ai leoni da tastiera e da share televisivo. Questo è ciò che sta praticando il Patto Ecologista Riformista-PER in una chiave federativa, rispettosa delle identità e collocazioni, ma attenta alla coerenza delle azioni e delle scelte con la volontà di condividerle https://www.pattoecologistariformista.it/
La natura dell’istituto della democrazia non conosce unti del signore o demiurghi ma persone che per autorevolezza ed efficacia costituiscono classe dirigente, senza scorciatoie ma senza rinvii perché, come ha ripetutamente detto il segretario generale dell’Onu, António Guterres, non un integralista del pauperismo naturalistico, ‘siamo sull’orlo dell’abisso’. Nei Colloqui di Dobbiaco, nel 1994, Alex Langer ammoniva ‘La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile’ e proponeva che ‘una politica ecologica potrà aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate – come è ovvio – in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate, cioè, nella storia e nell’identità dei popoli). Dalla politica ci si potrà aspettare che attui efficaci spunti per una correzione di rotta ed al tempo stesso sostenga e forse incentivi la volontà di cambiamento: una politica ecologica punitiva che presupponga un diffuso ideale pauperistico non avrà grandi chances nella competizione democratica.’. Una comunità responsabile e sobria, non pauperistica, che partecipa alla vita pubblica: la qualità istituzionale e dei rappresentanti è una diretta conseguenza. Questo è l’ecologismo della bellezza.