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Le pensioni in Italia: tutti i numeri di una nuova povertà

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Di Antonino Gulisano

Dal dopo l’approvazione della legge Fornero, formalmente legge 28 giugno 2012, n. 92, è permesso l’accesso ad un trattamento pensionistico anticipato al raggiungimento di 41 anni e 10 mesi di contribuzione per le lavoratrici e di 42 anni e 10 mesi di contribuzione per i lavoratori. Successivamente, con l’approvazione della nuova legge detta “Quota 100”, la questione delle pensioni e dei pensionati è nuovamente balzata al centro del dibattito, sia nella politica, con la consueta litigiosità, che nella società civile, dove cresce la sensazione di uno scontro generazionale.

Andiamo a vedere qual è la situazione, analizzando i numeri più importanti.

Secondo i dati Istat più recenti, diffusi il 15 gennaio 2020 e contenuti nel report “Condizioni di vita dei pensionati”, nel 2018 in Italia i pensionati erano 16 milioni (16.004.503), cioè il 26,5 per cento circa della popolazione residente,  più di un quarto del totale. Un numero rimasto stabile rispetto il 2017.

I pensionati maschi erano 7.644.630 (47,8 %) e le femmine 8.359.873 (52,2 %).

Il rapporto tra pensionati e lavoratori è fondamentale per la sostenibilità del sistema pensionistico. Infatti, in Italia vige un sistema “a ripartizione”, o a” imbuto” per cui sono i lavoratori attualmente in attività a pagare le pensioni che vengono oggi erogate: non è vero che il pensionato incassi quanto lui stesso ha versato nel corso della propria vita, come se avesse un conto personale e separato presso l’Inps.

Nel 2018, secondo l’Istat, c’erano 606 pensionati da lavoro – con pensione diretta o indiretta – ogni mille persone occupate. Nel 2000 il rapporto era di 683 pensionati da lavoro ogni mille occupati.

Nel 2018 le pensioni erano quasi 23 milioni (22.785.711), ossia più del numero dei pensionati. Questo perché a volte accade che un unico pensionato abbia diritto a più di una pensione. Come scrive l’Istat, “complessivamente più di due terzi dei pensionati (67,2 per cento) beneficiano di una sola prestazione, un quarto ne percepisce due, il restante 8 per cento tre o più”.

Nel 2018, la maggioranza delle pensioni erano di “vecchiaia” (11.844.013), il 52 per cento circa del totale.

Nel 2018, quasi la metà delle pensioni (il 46,7 per cento), come risulta dall’Istat, era erogato al Nord, il 20 per cento al Centro, il 21,3 per cento al Sud e il 10,1 per cento nelle Isole.

La spesa per le pensioni aveva percentuali leggermente diverse: il 50,5 per cento della spesa avveniva nelle regioni del Nord, il 21,1 per cento nel Centro, il 18,7 per cento nel Sud e il 9,1 per cento nelle Isole.

Seguivano a distanza quelle spettanti, a certe condizioni, ai familiari superstiti di un pensionato deceduto (4.696.874), quelle di “invalidità civile” (3.366.104), “invalidità” (1.158.073), pensioni “sociali” (843.253), “indennitarie” (716.213) e “di guerra” (161.181).

Dividendo la spesa dello Stato per il numero di pensionati si ottiene come risultato che nel 2018 l’Italia ha speso mediamente più di 1.500 euro al mese per pensionato. Questo dato nasconde però una grande varietà di situazioni, molto diverse tra loro.

Nel 2018, il 12,2 per cento dei pensionati, secondo le tavole dell’Istat, non arrivava a ricevere 500 euro al mese di pensione e il 24,1 per cento non arrivava a mille euro. Dunque più di un terzo dei pensionati non arrivano a ricevere mille euro mensili.

Qual’è  l’incidenza della povertà tra i pensionati?

In passato, l’esplosione della povertà tra il 2009 e il 2017 – quando i poveri assoluti sono passati da 3 a 5 milioni – non ha riguardato la fascia più anziana della popolazione.

L’incidenza della povertà assoluta nella fascia di età over 65 è passata, in questi otto anni, dal 5,5 per cento al 4,6 per cento, riducendosi quasi di un punto percentuale. Per i giovani (under 34) è successo il contrario: l’incidenza della povertà assoluta è passata dal 4,8 per cento al 10,4 per cento, dunque si è più che raddoppiata.

Nel report dell’Istat si legge, in proposito, che “il rischio di povertà delle famiglie con pensionati (15,9 per cento) è circa 8 punti percentuali inferiore a quello delle altre famiglie, confermando l’importante ruolo di protezione economica che i trasferimenti pensionistici svolgono per le famiglie”.

La presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari ‘vulnerabili’ (genitori soli o famiglie in altra tipologia) – prosegue l’Istat – consente quasi di dimezzare l’esposizione al rischio di povertà (rispettivamente dal 31,6 per cento al 16,1 per cento e dal 28,2 per cento al 18,7 per cento)”.

In Italia nel 2018 c’erano circa 16 milioni di pensionati, più di un quarto della popolazione residente, e c’erano 606 pensionati ogni mille lavoratori. Questo rapporto è andato però migliorando dopo la riforma Fornero. Le pensioni erano circa 23 milioni, la metà circa (11,8 milioni) di vecchiaia e il resto di altre categorie meno consistenti.

Il Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, presentato alla Camera il 12 febbraio 2020, fotografa la situazione delle pensioni in Italia facendo emergere luci e ombre: al di là degli importi medi, 6,4 milioni di cittadini, circa il 40% dei pensionati, non raggiungono i 1.000 euro al mese. Di questi 2.258.000 persone percepiscono un assegno che non supera i 507,42 euro mensili. Sono poi importanti le differenze tra uomini e donne, risvolto della medaglia di un problema ancora più profondo: il divario di genere sul fronte occupazionale.

Per i 16 milioni di pensionati con un importo medio 1.410 euro, l’INPS eroga in Italia 293 miliardi di euro nell’arco di 12 mesi.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla tassazione IRPEF sui redditi pensionistici pari a 51,5 miliardi di euro con un’aliquota totale del 17,6%. Tra entrate e uscite, dunque, la spese per le pensioni ammonta a 241,820 miliardi di euro netti.

Le pensioni di vecchiaia hanno il valore più alto: 208.855 miliardi di euro, una cifra in crescita di circa 5 miliardi rispetto al 2017.

In generale, il reddito pensionistico medio pro-capite ammonta a 18.329 euro all’anno lordi, considerando 13 mensilità: 1.410 euro lordi; 1.162 euro netti.

Al di là delle singole cifre, il report invita a una lettura lucida dei dati, sottolineando che “sarebbe utile una comparazione tra prestazioni di identica tipologia”.

In conclusione, per un’auspicabile ripensamento del sistema pensionistico, possiamo avanzare alcune proposte di non difficile attuazione.

– La differenziazione dell’età di uscita dal lavoro in relazione alla tipologia dei lavori svolti;
– Giungere ad una netta separazione tra la previdenza sociale e il sistemaassistenziale
– Rivedere il sistema della tassazione del reddito delle persone fisiche, IRPF, rideterminandone meglio, in modo progressivo, gli scaglioni
– Introdurre l’assicurazione pensionistica complementare a favore dei lavoratori attraverso il versamento di una percentuale delle plusvalenze aziendali, da versati in un Fondo speciale.


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