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L’ANOMALIA DELLO STATO BANCHIERE E CREDITORE

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Di FERRUCCIO DE BORTOLI

220 miliardi L’ammontare dei prestiti in carico al Fondo nazionale di garanzia gestito da Mcc. Di questi 170 hanno garanzia pubblica 2,6 per cento Il tasso di fallimenti registrato a fine dicembre 2022 Nel giugno scorso è risalito leggermente Alcune banche cedendo gli asset peggiori hanno guadagnato, senza dare finanziamenti all’economia
In un’intervista al Corriere, l’ex ministro dell’economia, Giulio Tremonti, ha richiamato l’attenzione sulle garanzie pubbliche per i debiti delle imprese, concesse nell’emergenza Covid. Quante sono? Tremonti ipotizza che si tratti di circa 300 miliardi. Una somma enorme, che con la crescita vorticosa dei tassi d’interesse e il rallentamento dell’economia, pesa come un’ombra inquietante sul futuro dei conti pubblici. Ovviamente si tratta soltanto di capitale garantito. Nessuno è in grado di ipotizzare quante garanzie verranno escusse pesando per cassa sul debito pubblico e, soprattutto, se la riserva accantonata dalle società a partecipazione statale sarà sufficiente a coprire gli esborsi. La Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) non dedica all’argomento alcun reale approfondimento. La «diligenza del buon padre di famiglia», principio generale del diritto più volte evocato dal ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, dovrebbe indurci a ipotizzarne l’evoluzione e a prepararci allo scenario peggiore. Invece il tema, non l’unico per la verità, si è inabissato nell’oceano della contabilità pubblica. Se la distrazione era giustificabile quando l’economia tirava (e di conseguenza si riducevano i rischi di insolvenza delle imprese) lo è assolutamente meno quando è in atto un rallentamento dell’economia.
Durante la pandemia il governo ha dato uno scudo alle imprese indebitate, che con i tassi più alti rischia di diventare un’altra mina per i conti. I fallimenti sono aumentati poco e la patrimonializzazione del sistema è molto più solida che in passato. Ma bisogna riflettere sul pubblico che si carica di passività, facendo sponda ad una distorsione rischiosa delle logiche di mercato
Ametà mese è attesa una relazione aggiornata della Commissione europea sugli aiuti di Stato, che comprendono ovviamente anche il delicato capitolo delle garanzie pubbliche, si capirà dunque meglio la reale portata degli impegni, soprattutto se paragonati alle decisioni di altri Paesi. Dopo il Covid, per esempio, rimanemmo tutti stupiti (e preoccupati) per le generose promesse del governo tedesco a favore delle proprie imprese. La realtà alla fine — come spiega l’economista Daniel Gros in un suo studio — è stata di tutt’altro genere. In rapporto al Prodotto interno lordo (Pil), i sussidi di varia natura italiani sono stati il doppio di quelli tedeschi.
Il segnale
C’è un segnale, fra i tanti che vengono dall’immenso mercato della gestione dei crediti in sofferenza ceduti dalle banche agli operatori del settore, da tenere in considerazione. Ed è significativo perché rappresenta una spia utile a comprendere la complessità del magma che avvolge la nostra economia reale oltre ad essere una dimostrazione di innovazione finanziaria.
Davis&morgan, investment bank, fondata da Andrea Bertoni, che ne è l’amministratore delegato (presidente è Hugh Malim) ha appena lanciato una app attraverso la quale emergono i pignoramenti immobiliari delle principali città italiane. Le immagini che risultano sono impressionanti per quantità e addensamento. Ovviamente sono anche beni di privati oltre che di aziende. La clientela minuta ha la possibilità in questo modo di partecipare all’acquisto e alla gestione dei beni pignorati, il cui rendimento dipende dalla qualità delle garanzie e dal tempo che intercorre prima dell’asta giudiziaria.
«Un aumento delle sofferenze e dei pignoramenti — spiega Bertoni — è perfettamente visibile. Noi ci limitiamo a fornire un quadro complessivo dei beni sotto sequestro, con la relativa due diligence, e le opportunità di partecipare a eventuali operazioni di acquisto e gestione». L’algoritmo di Davis&morgan apre uno sguardo del tutto particolare sulla coda lunga del fenomeno dell’indebitamento privato. La sensazione che se ne ricava è che gli operatori professionali del mercato degli Npl (Non performing loans) o degli Utp (Unlikely to pay) e in generale delle crisi aziendali abbiano una conoscenza più approfondita di quella delle istituzioni pubbliche. Il loro carotaggio va più in profondità.
I dati ufficiali
In ogni caso i dati ufficiali di Mediocredito centrale (Mcc) e Sace sono incoraggianti. Ma se così è, e non abbiamo motivo di dubitarne vista la serietà delle società coinvolte, perché non c’è una più ampia comunicazione sul peso delle garanzie che rischiari l’orizzonte nuvoloso della nostra finanza pubblica? Il Fondo nazionale di garanzia, gestito da Mcc — sulla base dei dati aggiornati al 30 giugno scorso — ha un ammontare di prestiti di circa 220 mi
liardi con garanzie pubbliche per 170, a fronte delle quali ne sono stati messi 24 a riserva. I piccoli prestiti, inferiori ai 30 mila euro, sono stati accesi da un milione e centomila posizioni per un totale di 18,5 miliardi. Quasi tutti a tasso fisso e calmierato all’1 per cento. Condizioni assolutamente vantaggiose vista l’attuale risalita dei tassi. Il periodo di preammortamento è terminato. E non emergono particolari criticità. A dimostrazione che le sofferenze, sui piccoli importi e sulla clientela più minuta, sono tradizionalmente più basse.
Ma, si potrebbe aggiungere, ci mancherebbe altro! La situazione è diversa per i prestiti garantiti di taglia maggiore (la media è 250 mila euro) che costituiscono l’80 per cento del Fondo di garanzia, con circa 130 miliardi di garanzie pubbliche. La metà è a tasso variabile. Entro la fine dell’anno l’intero portafoglio dovrebbe essere in ammortamento. E così anche per i crediti concessi alle start up per 8,3 miliardi. Mcc, il cui amministratore delegato è Francesco Minotti (presidente Ferruccio Ferranti), non segnala evidenze particolarmente negative. Il tasso complessivo di default era a dicembre del 2022 al 2,6 per cento. È risalito leggermente nel giugno scorso. Anche Sace, la società che assicura il credito all’export, di cui è amministratrice delegata Alessandra Ricci, (presidente Rodolfo Mancini) non segnala particolari criticità nei prestiti concessi alle imprese con garanzie pubbliche. Né variazioni di rilievo sulle sofferenze. Tra Garanzia Italia e Garanzia Supportitalia, Sace ha garantito 60 miliardi. L’ultimo dato utile è di fine 2022. Le imprese sono più patrimonializzate oggi che in passato.
La situazione rispetto all’esplodere della crisi del 2008 — all’origine dell’ondata di crediti in sofferenza degli ultimi anni — è del tutto imparagonabile. Inoltre, segnala sempre la Sace, nonostante il rallentamento dell’economia, le esportazioni continuano a crescere in volume, non solo in valore per effetto dell’inflazione.
Se la resilienza del sistema è quella che emerge da queste cifre, non abbiamo motivo di preoccuparci. In termini più generali, però lo Stato si è trasformato — sotto la spinta soprattutto della pandemia — in un animale assai strano, metà banchiere e metà creditore. Molte banche gli hanno rifilato i crediti peggiori, liberandosi da fastidiosi assorbimenti di capitale, senza resistere alla tentazione di realizzare profitti grazie alla differenze tra tassi attivi e passivi, anziché peritarsi di dare ulteriore credito all’economia. Una distorsione evidente delle logiche di mercato, forse persino più grave della stessa ombra, inquietante o meno, dell’insieme delle garanzie.

Fonte: corriere economia