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La spesa per le armi: un fiume che tracima

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A seguito della crisi ucraina e su pressione USA e NATO, malgrado le non poche e motivate contestazioni, è stata assunta la decisione, in corso di definitiva approvazione, della elevazione della spesa per armamenti dall’attuale 1,4% al 2% del Pil. I precedenti 24 miliardi circa, seppure gradatamente, passeranno a 38; la spesa militare italiana salirà, quindi, da 68 a 104 milioni di euro al giorno

di Augusto Lucchese

L’apparato delle Forze Armate italiane appare per molti aspetti obsoleto e farraginoso, appesantito da uno stragrande numero di Generali, Ammiragli e Ufficiali Superiori. Tuttavia non si è al cospetto di un sistema di stampo esclusivamente o prettamente italiano. È un sistema che alligna un po’ dappertutto nel mondo, specie nei Paesi in cui difetta una vera e propria democrazia e ove i militari hanno il gusto e la predisposizione mentale ad inscenare colpi di stato e rivoluzioni a base di “carri armati” e “reparti speciali”.

Anche negli Stati Uniti – grande Nazione più o meno considerata baluardo delle libertà – si registrano, e non da ora, casi di diffusione di un potere trasversale di provenienza militare.

Già negli anni ’50 (vedi “Tempo” n°16 del 19/04/1956, pag.65) il valente scrittore e giornalista Carl Santburg (vincitore nel 1959 del Premio Pulitzer per la storia e insignito, nel 1964, della “medaglia presidenziale della libertà”) aveva scritto che i militari del suo Paese “costituitisi ormai in casta chiusa, tiranneggiano su quella che fu la più grande democrazia della storia; abbiamo generali dappertutto che per la specifica mentalità acquisita, incidono sulla coscienza e sulla cultura del popolo”.

Non sembra fuor di luogo, a questo punto, avventurarsi nel tratteggiare sommariamente un non secondario aspetto delle problematiche di cui sopra: quello del tracimante fiume in cui, vorticosamente, scorre la rilevante spesa pubblica destinata agli apparati militari ed equiparati:

  • la “spesa annuale per le Forze Armate” (Esercito, Aviazione e Marina) si aggira complessivamente e malgrado i ritocchi di facciata della “spending review” all’italiana, sui 24/miliardi di euro, cui vanno sommati i 18 miliardi destinati alle forze di polizia e carcerarie;

  • a seguito della crisi ucraina e su pressione USA e NATO, malgrado le non poche e motivate contestazioni, è stata assunta la decisione, in corso di definitiva approvazione, della elevazione dei citati oneri dall’attuale 1,4% al 2% del P.I.L. (prodotto interno lordo). Questa impennata trae origine dalla intesa a suo tempo raggiunta in ambito NATO e poi confermata, nel 2014, dai singoli Governi aderenti; in conseguenza i precedenti 24 miliardi circa, seppure gradatamente, passeranno a 38; la spesa militare italiana salirà, quindi, da 68 a 104 milioni di euro al giorno;

  • ove si pensi che ogni punto di PIL corrisponde all’incirca allo 0,4 – 0,5 della complessiva pressione fiscale apparente (quella reale non è rilevabile), si può facilmente dedurre quanto la spesa pubblica per le Forze Armate gravi sulle tasche dei contribuenti.

  • è stato ampiamente accertato, oltretutto, che all’incirca il 60% dei complessivo stanziamento di bilancio è assorbito dagli oneri del personale (stipendi, oneri integrativi, contributi);

  • sono da tenere in conto, inoltre, i rilevanti esborsi per parate, manifestazioni, anniversari d’Arma, sontuosi arredi d’ufficio, auto di rappresentanza, trasferte, ecc. ecc.

  • è da porre in risalto che, mentre l’onere d’ingresso per ogni singolo nuovo arruolato ammonta mediamente a circa 1.280 euro pro-capite, mano a mano che si sale nella scala gerarchica, il costo retributivo lievita in maniera esponenziale sino a raggiungere, da colonnello in su, cifre ragguardevoli, oltre ad eventuali spettanze aggiuntive e agli oneri fiscali e previdenziali, in base a quanto indicato nel D.P.C.M. del 13 novembre 2021.

Le anomalie del sistema, di massima, riguardano ben poco e solo di riflesso le strutture operative di base, mentre sembrano alquanto rilevanti nei disattenti e pigri organi decisionali di vertice, a parte quelli politici e istituzionali di competenza che, parecchio dediti alle beghe di attribuzione di incarichi e di potere, oltre che pesantemente condizionati da una sorta di trasversale predisposizione corporativa, più che altro volta a difendere a spada tratta compensi di carriera, privilegi di grado, funzioni di rilievo, ecc., non attenzionano a dovere le problematiche connesse al loro campo d’azione. Permangono così i molti ben noti sciupii, lo stato di abbandono di parecchie obsolete strutture (fra cui alcuni mostruosi “cimiteri” di armamenti pesanti non più in uso), le duplicazioni di compiti, la disarmonia fra i gravosi oneri per nuovi sofisticati armamenti, oltretutto quantitativamente inadeguati per il caso di effettiva occorrenza a copertura di tutto il territorio nazionale, pur se a fronte delle finalità esclusivamente “difensive” (art. 11 della Costituzione) che dovrebbero avere le FF.AA.

Il diffuso “silenzio” sullo scabroso argomento è forse da attribuire alla inconscia paura correlata al detto: “chi tocca i fili muore”?

È notorio, purtroppo, che il muro di gomma dei privilegi acquisiti dalla numerosa casta militare, l’autorevole influenza di “poteri” più o meno occulti, talvolta di provenienza estera, i vessatori accordi e trattati internazionali (in gran parte da “rottamare” o almeno da revisionare), l’autorevole ma un po’ ricattatoria politica del “do ut des” d’oltre oceano, impediscono, già in partenza, ogni approfondito e attento esame del complicato quadro operativo delle FF.AA.

L’analisi concerne i vari settori delle Forze Armate (Esercito – Marina – Aviazione) in atto dotate di blindati e carri armati, di camion e autovetture a bizzeffe, di sofisticati elicotteri, di costosissimi aerei di vario tipo, magari in gran parte confinati in “depositi” o negli hangar data l’onerosità dei consumi e della relativa manutenzione.

Senza dire delle tre grandi unità “portaereomobili” (V/STOL – a decollo corto ed atterraggio verticale) o “portaerei”, che dir si voglia, denominate “Garibaldi”, “Cavour” e “Trieste”, costate fior di miliardi di euro e la cui gestione grava sul bilancio per cifre astronomiche a fronte di una limitata potenzialità, rispetto agli standard internazionali peraltro in continua evoluzione.

Una trattazione a parte merita la storia senza fine dei famosi super “F 35” che si protrae ormai da circa un decennio. Inizialmente il governo Monti ne aveva ordinati 131, mentre quelli di Enrico Letta e di Matteo Renzi avevano ridotto tale cifra a 90. Sembrerebbe che la linea del governo attuale sia quella di dimezzare l’ordine, passando da 90 a 45 e si presume che si possano risparmiare circa 7 miliardi. In atto, pur a fronte del massiccio onere già sostenuto – anche in relazione al difficile addestramento del personale di volo e di quello addetto alla manutenzione, effettuabile solo negli USA – sembra che il totale degli aerei operativi sia ancora relegato alla modesta cifra di 18.

  • Stando a dati forniti da Lockheed Martin, il costo iniziale di ogni singolo “F 35” varia da 77,9 milioni di dollari per un F35-A a 101,3 milioni di dollari per l’F35-B e a 94,4 milioni di dollari per l’F35-C, mentre l’onere di un’ora di volo si valuta attorno a 36.000 dollari, più del 50% di un F16. L’onere complessivo del “progetto” F 35, graverà sul bilancio italiano (pur se frazionato in più esercizi) per una gravosa cifra che va dai 14 ai 17 miliardi.

  • Aggiungasi altre dispendiose dotazioni tecnologiche fra cui i “droni” d’ultima generazione, i “sistemi d’arma a controllo distanziato” – singoli e di gruppo – (programma di carattere cibernetico riguardante il “soldato del futuro”, il cui costo previsto in circa 14 miliardi, pur se frazionato in più anni, è da molti considerato talmente “avveniristico” da non essere giustificato dalle reali necessità “difensive” del nostro esercito), i vari tipi di “missili a media e lunga gittata”, i moderni “radar a codifica separata OFDM”  (Ortogonal Frequency Division Multiplexing), per citare solo alcune delle tipologie di armamenti in dotazione alle FF.AA. e il quadro complessivo delle multiformi e onerose esigenze dell’apparato delle tre Armi si completa alla stregua di vasto e complicato mosaico.

  • Manca solo la velleità di arricchire lo scenario con armi nucleari tattiche e il gioco è fatto: l’Italia, portatrice di un debito pubblico ultrastellare (2.760 miliardi di euro), per stare al passo con le vedute della NATO (della quale risaputamente fa parte come fondatrice), deve ogni anno accrescere gli stanziamenti (diretti e indiretti) destinati a fronteggiare le sempre maggiori esigenze del comparto militare.

Non sarebbe male che le alte gerarchie militari e i politici addetti al settore Difesa, spesso avulsi dalla realtà, si soffermassero sulle considerazioni di cui sopra, adoperandosi responsabilmente per meglio contemperare gli oneri della complessa macchina militare con le effettive esigenze della Nazione.

Non dimenticando, per rispetto dei contribuenti che ne sopportano il rilevante costo, l’inderogabilità di evitare i molti sprechi, le tante inutili ostentazioni, i tanti formalismi di facciata, e, perché no, qualche più o meno veniale abuso.