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La morte di Antonio Canepa, un ricordo scomodo

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di Ettore Minniti

L’art. 116 della costituzione prevede che “Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.

Ma ognuna di queste regioni ha storie diverse e altrettanto diverse sono i motivi e le ragioni per cui la Costituzione riconosce le regioni a statuto speciale.

Una storia diversa da tutte le altre è quella della Sicilia. Lo statuto fu approvato con R.D.Lgs. n. 455 del 15 maggio 1946, ovvero diciotto mesi prima dell’approvazione della Costituzione della Repubblica italiana (22 dicembre 1947).

Perché i padri costituenti furono così magnanimi nei confronti dei siciliani? Lo Statuto Siciliano, traendo ispirazione dall’Estatut catalano del 1932, prendendo atto delle peculiarità storiche esistenti, riconosceva all’isola speciali poteri di autonomia, che la differenziavano dalle altre regioni a statuto ‘ordinario’ previste dalla stessa Costituzione.

Ora, senza voler entrare nei concetti del decentramento ‘politico amministrativo’ costituzionale, è interessante rileggere gli atti parlamentari di allora dell’Assemblea costituente. Da più parti si riteneva superato il modello di Stato centralizzato e si parlava di decentramento politico-ammnistrativo e, in quel contesto, il modello di uno ‘Stato regionale’, profetizzato da don Luigi Sturzo, antistatalista per eccellenza e fautore di un’ipotesi regionalista, doveva risultare concretamente realizzabile. Non era quindi casuale che già nel febbraio del 1945, anche per dare una risposta alle pressioni del Movimento indipendentista, venisse finalmente insediata, a Palermo, la Consulta Regionale per l’elaborazione dello Statuto.

La storia, però, ci racconta tanto altro ancora e non va sottovalutato il ruolo che ebbe il Movimento Indipendentista Siciliano, il cui motto era: “la Sicilia si è trovata male sotto qualunque governo che non fosse siciliano. E si è trovata malissimo sotto il governo italiano. E si è trovata ancora peggio, peggio che mai, sotto il governo fascista. Non si può continuare come per il passato. Per noi siciliani è questione di vita o di morte. Separarci o morire”. Tra i fautori dell’indipendentismo siciliano il professore palermitano Antonio Canepa.

Allo scoppio della guerra il Canepa era in prima linea nell’attività antifascista: rappresentava infatti i nuclei Sicilia e Libertà a Catania: si trattava delle prime organizzazioni di orientamento indipendentista, di cui era presidente Andrea Finocchiaro Aprile, convinte della necessità di azioni armate contro il fascismo. Egli pubblicò un opuscolo dal titolo “La Sicilia ai siciliani”, firmato con lo pseudonimo di Mario Turri. Canepa ipotizzava che l’indipendenza siciliana fosse lo strumento indispensabile per il progresso delle classi meno abbienti. Tale concezione sarà però destinata a scontrarsi con il separatismo reazionario degli agrari e sarà questa, molto verosimilmente, l’origine non solo della divisione del movimento indipendentista, ma anche della morte stessa del Canepa.

Dopo un periodo trascorso a Firenze il Canepa ritornò, alla fine del 1944, a Catania dove riprese il suo posto di professore universitario e il ruolo di capo del braccio armato del Movimento indipendentista, al quale egli affidò, in opposizione alla maggioranza moderata dell’indipendentismo siciliano, un ruolo decisamente rivoluzionario.

Rimane un mistero la sua morte. Così l’attuale segretario del Partito indipendentista siciliano FNS (Fronte Nazionale Siciliano – Sicilia Indipendente) Francesco Perspicace: “La morte di Antonio Canepa, il “professore guerrigliero” creatore dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana), avvenuta nel corso di un conflitto a fuoco con una pattuglia di carabinieri alle porte di Randazzo il 17 giugno del 1945, può considerarsi, a tutti gli effetti, un “caso ancora aperto”. In quell’azione militare, la cui dinamica non è mai stata pienamente chiarita, caddero anche due giovani militanti dell’EVIS, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, mentre un quarto ragazzo, Nando Romano, rimase ferito e venne arrestato. Incredibilmente i reali carabinieri, li avevano scambiati per banditi: un professore universitario e tre ragazzi?

Chi volle l’eliminazione di Canepa? Nessuna traccia nei documenti ufficiali.

Un anno dopo all’Isola verrà concessa un’Autonomia Speciale, quale compromesso tra la nuova Italia, nata dalle macerie della guerra, e la Sicilia che dal gioco fascista era stata liberata nell’estate del 1943, quando le sorti del conflitto mondiale ancora erano incerte. Il Movimento indipendentista siciliano venne non solo accettato ma anche alimentato dagli “alleati” angloamericani.

In un angolo assolato del cimitero di Catania, in quel “viale degli uomini illustri” dove riposano in pace anche Giovanni Verga ed Angelo Musco, quattro “giovani banditi” morti per la loro terra, riposano, sotto il sole cocente, all’ombra di una colonna spezzata a metà come le loro vite, mentre, la loro bandiera “da combattimento”, sventola adagio sopra i nostri fiori gialli e rossi. Sono in quattro e riposano lì, uno accanto all’altro, per l’eternità, come vicini avevano lottato per un unico scopo… per quella Indipendenza della Sicilia che aveva regalato loro la stessa sorte, la stessa morte (Daniela Giuffrida).

Il FNS ha fatto erigere nel luogo dell’uccisione a Randazzo una stele e commemora ogni anno la morte del professore.

Lo Statuto Siciliano non è frutto di grazia ricevuta, ma è stato concesso per il sangue versato da alcuni dei suoi giovani figli.