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La curiosa crociata di un francese per salvare la lingua inglese

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E se la lingua inglese non fosse altro che il francese parlato male? La provocazione è del linguista Bernard Cerquiglini, che ora vorrebbe inviare a re Carlo III una copia del suo libro “La lingua inglese non esiste – è francese mal pronunciato”, scritto con umorismo, volutamente in malafede, arrogante e sciovinista.
Con questo titolo provocatorio, l’accademico, che ha ricoperto diversi incarichi all’interno di istituzioni legate alla lingua francese vuole evidenziare il groviglio linguistico d’oltre Manica dopo l’invasione del regno d’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore nel 1066, per meglio ridicolizzare la resistenza francese agli “anglicismi”.
“Il mio libro può anche essere trasformato in un omaggio alla lingua inglese, che ha saputo adottare così tante parole”, spiega all’Afp. “Ciò che mi colpisce è la flessibilità dell’inglese. Ci sono parole vichinghe, danesi, francesi, è sorprendente”, osserva il vicepresidente della Fondation des Alliances francaises, dedicata alla promozione della cultura e della lingua francese.
La conquista normanna introdusse nella lingua inglese il vocabolario della nuova aristocrazia regnante e dotò l’inglese di parole come “cabbage” (cavolo) che deriva proprio dal normanno caboche (testa), nei 150 anni che seguirono l’ascesa al trono di Guglielmo il Conquistatore.
I secoli XIII e XIV videro un’esplosione di prestiti dal francese, poi utilizzati nel commercio, nell’amministrazione e nel diritto. “Dalla padronanza” della lingua, scrive il linguista, “possono dipendere un lavoro, un patrimonio fondiario o monetario, il rispetto di un contratto, la libertà o anche la vita di una persona”.
La metà di questi ‘prestiti’ avviene tra il 1260 e il 1400, come ad esempio “bachelor” (scapolo) dal francese “bachelier” – giovane in formazione, in particolare nel mondo della cavalleria. Due secoli dopo, “il 40% delle 15.000 parole delle opere” di William Shakespeare (1564 – 1616) “sono di origine francese”, sottolinea Cerquiglini.
Ma oggi, da questa parte della Manica, alcuni si oppongono all’uso delle parole “anglosassoni” nel francese moderno, in particolare nell’Accademia di Francia, responsabile dal 1635 di preservare la lingua nella sua forma “pura”.
“La lingua in Francia è ufficiale, statale, nazionale. E quindi abbiamo necessariamente un’accademia” con “accademici che hanno un costume ridicolo, una spada, un palazzo sulle rive della Senna” a Parigi, ride Cerquiglini. L’Accademia ha lottato contro i nuovi termini tecnologici, come “big data”, non senza successo poiché il termine “logiciel” ha ora in gran parte eliminato dal francese la parola “software”, un tempo molto diffuso.
Ha protestato anche contro le nuove parole della pandemia di Covid-19, siano esse “cluster” o “test”. Ma spesso per il linguista l’arrivo di termini nuovi “non è un’invasione”. “Sono parole francesi che sono andate a formarsi in Inghilterra e che tornano da noi”, scherza.
Bernard Cerquiglini vede la ricca contaminazione tra inglese e francese come un esempio per La Francofonia, l’organizzazione che riunisce le nazioni francofone.
Il Madagascar usa il francese allo stesso modo dell’Inghilterra 800 anni fa, spiega. “Amministrazione, commercio, letteratura, tutto si fa in francese” perché “per il momento, con il malgascio, non possono parlare al mondo, fare commercio o fare scienza”.
Cerquiglini nutre grandi speranze nella traduzione automatica, che potrebbe preservare le lingue locali consentendo allo stesso tempo una comunicazione fluida “senza impoverire le lingue”.
Anche l’inglese, dice, è in pericolo: una forma semplificata parlata in tutto il mondo – “globish” secondo i suoi detrattori francesi – “è un inglese impoverito. Dobbiamo salvare l’inglese britannico, Carlo III deve agire perché la gente, invece di imparare l’inglese, questa bella lingua, imparerà una lingua povera. E impoveriremo le nostre conversazioni”. (AGI)
UBA