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La crisi del comparto fieristico e l’immobilismo del governo

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Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)


L’Istat ha recentemente rivisto, in negativo, le stime sul PIL italiano nel secondo trimestre del 2020, prefigurando un ulteriore calo dello 0,4%, che assesterebbe il crollo del nostro prodotto interno lordo intorno al 12,8. Dati che, tuttavia non preoccupano né il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri né il suo vice Antonio Misiani, i quali confidano in un rimbalzo nel successivo trimestre e dicono di vedere già incoraggianti segni di ripresa.

Come spesso accade, però, sono i dati di realtà che cozzano e fanno a pugni con gli ottimistici punti di vista governativi. Una discrasia che emerge con forza guardando alla drammatica situazione vissuta dalle imprese itineranti ed, in particolare, da quelle che operano nel comparto fieristico. Stiamo parlando di un settore chiave per la nostra economia, come evidenziano i numeri che andremo ad elencare. All’interno di esso, infatti, operano 183 mila imprese, corrispondenti circa al 22% degli esercizi commerciali italiani, quasi tutte (95%) identificabili come microimprese individuali. Gli addetti del settore sono all’incirca 350 mila, ma l’indotto crea lavoro per altre 100 mila. Il tutto si traduceva, secondo le risultanze del 2019, in un giro d’affari oscillante tra i 22 ed i 25 miliardi di euro.

Dicevamo che, all’interno del settore, il comparto più colpito è quello fieristico, praticamente fermo da febbraio. Le restrizioni e le chiusure dovute all’emergenza Coronavirus, infatti, messo in ginocchio i tanti lavoratori itineranti, che svolgevano le loro mansioni prendendo parte a questo o quell’evento su tutto il territorio nazionale. La difficile situazione è stata denunciata, nei giorni scorsi, da una lettera firmata da Rossella Ramenghi, presidente nazionale CDA Fiere: “Siamo a portare alla vostra attenzione la condizione di totale assenza di lavoro nella quale la nostra categoria staziona in modo costante dalla prima chiusura sanitaria di marzo ad oggi e che, stante gli annullamenti subiti tende a procrastinarsi a lungo. (..). Le fiere sul territorio italiano sono state annullate in data 7 marzo e nonostante i protocolli sanitari delle varie regioni – ad esempio le Marche – che ne prevedono lo svolgimento ogni comune a suo volere, mediante semplici delibere, ne predispone l’annullamento, ignaro o forse disinteressato dalla compromissione dell’interesse legittimo degli operatori stessi”.

 

Nessun supporto economico è stato previsto per le imprese operanti in questo settore, le quali hanno dovuto, per di più,  corrispondere tasse ed obblighi fiscali attualmente in essere. Sebbene non fatturino da mesi, infatti, le aziende devono essere in regola con il Durc (Documento Unico di Regolarità Contributiva) e quindi rispettare le scadenze fiscali. Altro capitolo scottante, da questo punto di vista, quello relativo al pagamento della Tosap (Tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche), rispetto alla quale le associazioni di categoria chiedono una sospensione annuale. Sospensione che, visto il disinteresse istituzionale, sembra ad oggi pura utopia… Ciò determina situazioni paradossali ed incredibili, denunciate con forza nella missiva di cui sopra: “Va sottolineato, non per spirito di polemica ma per chiarire anche il modus operandi di tali amministrazioni, che negli ultimi casi ricorrenti, sia il comune di Fano che di Senigallia e di Pesaro, hanno annullato l’evento dopo averne dato conferma dieci giorni prima esigendo il pagamento della Tosap”.

L’attuale fase di crisi, lo abbiamo detto tante volte, imporrebbe di ridurre ai minimi termini gli sfavillanti annunci, l’autoreferenzialità e le previsioni ottimistiche laddove mancano i fatti e la concretezza. Lo stato di abbandono che ha riguardato, tra gli altri, il settore fieristico è un esempio ahi noi perfetto, di ciò che non ha funzionato in questi mesi. L’auspicio è che, al più presto, possano arrivare le risposte rassicuranti attese da tanto, troppo tempo.

 


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