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La crisi del caucciù potrebbe far risorgere il pregiato cacao della Costa d’Avorio

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Tempi bui per i coltivatori di Hevea in Costa d’Avorio, primo produttore africano di caucciù, settimo su scala mondiale. La crisi globale della materia prima sta travolgendo il Paese dell’Africa occidentale, che da solo fornisce il 60% della gomma naturale di tutto il continente, con una produzione in forte crescita, da 468 mila tonnellate nel 2016 a 603 mila l’anno scorso.

L’aumento inarrestabile della quantità di lattice prodotto anche su scala mondiale – da 9 a 13 milioni di tonnellate tra il 2014 e il 2017 – andato di pari passo con il calo della domanda ha fatto crollare i prezzi di vendita della materia prima, da 5 mila dollari la tonnellata ai tempi d’oro a mille oggi.

Inoltre i produttori ivoriani hanno dovuto fare i conti con la concorrenza della Malesia, che rifornisce il 90% del caucciù mondiale. I prezzi di vendita del caucciù vengono stabiliti alla borsa di Singapore dalla società Olam, uno dei giganti del settore, proprietario di piantagioni in tutto il mondo, anche in Costa d’Avorio.

Un quinto dello stipendio

“A causa della sovrapproduzione siamo rimasti senza niente. Ben 160 mila produttori devono far fronte alla crisi. Per di più nel 2011 lo Stato ha introdotto un’ulteriore tassa del 5% sul fatturato, che sta aggravando ulteriormente la nostra situazione” ha deplorato Eugène Kremien, presidente dell’Associazione dei professionisti del caucciù naturale ivoriano (Apromac). In un decennio il reddito medio dei produttori locali di Hevea è stato diviso per cinque, facendo sprofondare un settore di attività finora fiore all’occhiello dell’agricoltura ivoriana, oltre al cacao, di cui il Paese è il primo produttore africano.

L’eredità del Vietnam

L’introduzione della coltura della pianta di Hevea in Costa d’Avorio nasce da una sconfitta militare: quella della Francia a Dien Bien Phu, nel 1954. Perdendo l’Indocina la potenza coloniale perde anche le sue piantagioni di caucciù destinate al produttore di gomme d’Oltralpe, la Michelin.

Così i semi di Hevea vengono introdotti nel Paese dell’Africa occidentale, allora sotto il dominio di Parigi, per compensare il tramonto della posizione di forza in Asia. Un’attività agricola rimasta in sordina per 55 anni, esplosa nel 2009 sulla scia di un ambizioso piano governativo – il Fondo di sviluppo della coltura dell’Hevea (Fdh) – con 40 milioni di euro di investimenti su nove anni.

Più di 110 mila ettari di nuove piantagioni sono stati creati con relativi sentieri rurali di accesso e percorsi di formazione degli agricoltori.

Ritorno al cacao

E’ nata la professione del ‘saigneur’, un lavoro di minuzia che consiste nell’intagliare l’albero al momento e nel punto giusto per estrarne la preziosa linfa bianca che confluisce in contenitori legati al tronco. Un’attività che faceva gola a molti in quanto l’Hevea cresce 10 mesi su 12, assicurando redditi costanti e cospicui. La cosiddetta ‘febbre del caucciù’ ha spinto i coltivatori del cacao a sradicare molte piantagioni nelle regioni storiche di produzione nell’ovest e dell’est. Con la crisi, scoppiata nel 2011, sono in tanti a voler abbandonare l’Hevea, come nella regione di Alépé (sud-est), per tornare al cacao, in pieno boom.

C’è chi invece chiede un sostegno allo Stato per puntare all’industrializzazione del settore. Il sindacato dei produttori di caucciù rivendica la soppressione delle tasse per poter acquistare impianti industriali e produrre delle gomme made in Costa d’Avorio, già entro il 2025.

Vedi: La crisi del caucciù potrebbe far risorgere il pregiato cacao della Costa d’Avorio
Fonte: estero agi


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