Type to search

Inflazione e debito pubblico rallentano la crescita e aumentano le disuguaglianze

Share

Dobbiamo essere consapevoli che l’alternativa non è tra pace e condizionatore ma fra pace e cosa mangiamo. Dobbiamo guardare con attenzione a chi oggi ha un reddito tra i 1.500 e i 2.500 euro al mese – e sono tantissimi – e ai pensionati. Per loro i rincari hanno una forte incidenza. Nei prossimi 12 mesi occorrono interventi aggiuntivi sia per favorire la crescita economica sia per evitare situazioni socialmente drammatiche

di Antonino Gulisano

Ripartiamo dalla notizia del nuovo record per il debito pubblico italiano. Secondo quanto comunicato dalla Banca d’Italia a fine marzo 2022 il debito pubblico aveva superato i 2.755 miliardi di euro.

Il periodo di forte instabilità economica impatta anche sull’Italia dove il debito pubblico continua a crescere e segna un nuovo record. Nello specifico, il debito pubblico è arrivato a 2.755,4 miliardi, con una crescita di 18,9 miliardi rispetto a febbraio 2022. A riferirlo è la nota mensile di Banca d’Italia che sottolinea come l’aumento sia dovuto “al fabbisogno (22,8 miliardi), che ha più che compensato la riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro (6,4 miliardi, a 95,6); l’effetto complessivo di scarti e premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio ha incrementato il debito per 2,4 miliardi”. Nel 2022 il debito pubblico è trainato dalla componente statale visto e considerato che le amministrazioni centrali si sono indebitate esattamente di 18,9 miliardi in più a differenza degli enti di previdenza e delle amministrazioni locali che invece non hanno contratto ulteriori debiti. Stabile, invece, è la quota di debito pubblico detenuta da Bankitalia, ovvero il 25,5%, così come la vita media residua del debito, ferma a 7,6 anni.

Se i dati relativi al debito pubblico italiano sono tutt’altro che rassicuranti, positivo sembra essere invece l’andamento delle entrate tributarie del Paese. A marzo 2022 sono stati raggiunti i 33,2 miliardi, con un aumento percentuale del 10,2% (+3,1 miliardi in valore assoluto) rispetto allo stesso mese del 2021.

L’andamento delle entrate tributarie italiane conferma dunque il trend positivo già riscontrato nel primo trimestre del 2022, con una crescita pari a 13 miliardi, ovvero il 13,5%, rispetto allo stesso intervallo temporale del 2021.

Questo nuovo record del debito pubblico nel rapporto con il PIL è salito dal 160 al 170%. L’aumento del debito pubblico impatta ancor di più in concomitanza con l’inflazione che determina l’aumento delle diseguaglianze e delle nuove povertà.

L’inflazione e l’attuale guerra tra Russia e Ucraina, che investe l’Europa lo stop al gas russo sarebbe una catastrofe per l’Italia. Dobbiamo essere consapevoli che l’alternativa non è tra pace e condizionatore ma fra pace e cosa mangiamo. Contro le disuguaglianze crescenti e per aumentare il PIL, servono «azioni non del solo governo ma anche di quelle aziende private che hanno una leadership. L’inflazione rallenta la crescita, ma non la ferma, anche se avremmo bisogno di altri interventi per sostenerla e per mitigare l’impatto sociale della crisi. A partire dai correttivi sui salari. Dobbiamo pensare ad un patto sul valore del lavoro ed, «è doveroso» alzarli soprattutto in alcuni settori economici, tra i primi il manifatturiero e i servizi sociali e sanitari.

Abbiamo dei punti di forza assoluti e se lavoriamo su questi punti di forza con una visione di medio periodo saremo in grado di uscire, anche da questa condizione, in una situazione migliore. Attenzione, però, serve grandissima cautela nei confronti di povertà e disuguaglianza. Questo è un punto che non possiamo permetterci di dimenticare.

Bisogna stare attenti a dare messaggi negativi, ovvero “avremo dei seri problemi”, credo occorra spiegare come l’Italia potrà continuare a crescere, pur avendo bisogno di altri fattori abilitanti per accelerare lo sviluppo.

L’inflazione è certa ma se riusciremo a impostare delle azioni in grado di sostenere la crescita e mitigare il disagio sociale, così come è stato fatto per superare la pandemia, saremo ancora in tempo per evitare quel rischio. Il problema è che interrompere il rubinetto del gas totalmente con la Russia significherebbe andare verso una recessione certa con una perdita di posti di lavoro significativa. Nel quadro di sanzioni attuale, rimboccandoci le maniche ce la faremo. Uno scenario di totale rinuncia al gas russo ci vedrebbe in sofferenza per qualche anno. Se riteniamo che questo sia il nostro contributo per fermare il conflitto, il Paese intero dovrà adeguarsi a quanto il governo indica, anche se credo sia una valutazione da fare con grandissima attenzione.

Dobbiamo essere consapevoli che l’alternativa non è tra pace e condizionatore ma fra pace e cosa mangiamo. «Tra pace e condizionatore io scelgo senza dubbio la pace, ma se dovessimo scegliere tra pace e cosa mangiamo, questo significherebbe uno scenario di guerra. Dovremmo affrontare picchi di disoccupazione con 500mila o 1 milione di persone che perdono il lavoro, si aggiungerebbero ai cinque milioni di poveri e ad altri cinque milioni di lavoratori in gravi difficoltà.

L’impatto del caro energia è stato devastante. L’area della povertà si allargherà già oggi.

Dobbiamo guardare con attenzione a chi oggi ha un reddito tra i 1.500 e i 2.500 euro al mese – e sono tantissimi – e ai pensionati. Per loro i rincari hanno una forte incidenza. Nei prossimi 12 mesi immagino interventi aggiuntivi sia per favorire la crescita economica sia per evitare situazioni socialmente drammatiche.

Il governo e i soggetti delle imprese e delle parti sociali devono dar vita ad un progetto dove, tutti insieme, attraverso donazioni o meccanismi di coordinamento con le fondazioni bancarie, contribuiscono ad ottenere questo doppio risultato: aumento del PIL e mitigazione sociale.

Concludendo credo che si può intervenire sulla riqualificazione della spesa lavorando sulla costruzione di nuove modalità con cui si finanzia il debito. Sapendo che l’Italia è un Paese con una ricchezza di 10 trilioni, queste risorse vanno messe sul tavolo con un risparmio delle famiglie maggiormente allocato sui titoli di Stato o sui fondi rappresentativi di beni immobiliari pubblici.

Però la svolta è che se siamo in una fase di emergenza, dobbiamo utilizzare bene le risorse disponibili. E non dobbiamo aspettare solo l’intervento pubblico, tocca anche alle grandi aziende, per prime. E poi dobbiamo chiederci se rispetto al lavoro svolto le retribuzioni sono corrette.

Varare un patto sul valore del lavoro e aumentare, anche se non tutti i settori,  l’aumento dei salari rafforzati, certo non agganciandoli automaticamente all’inflazione.

Questo deve essere la missione del governo e dei gruppi dirigenti di questa Italia e continuare a lavorare nei prossimi 12 mesi. Questo percorso può risolvere la gran parte dei problemi di fronte a noi. E chi prenderà in mano questo Paese, se lo farà in un quadro europeo, lo troverà in condizioni gestibili.