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Il repentino crepuscolo dei vecchi autocrati in Africa

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È un periodo nero per i ‘satrapi’ africani: dal 95enne Robert Mugabe, per 37 anni alla guida dello Zimbabwe, ad Abdelaziz Bouteflika che il mese scorso ha dovuto lasciare il potere algerino rimasto nelle sue mani per due decenni, fino al sudanese Omar al-Bashir, travolto dalle proteste di piazza e costretto a dimettersi, questi padri-padroni cadono come pedine, cacciati da una rabbia popolare incontenibile.

L’ultimo in ordine di tempo è stato il signore di Khartoum, per 30 anni alla guida del Paese africano, sopravvissuto ‘indenne’ alla guerra civile che per oltre 19 anni ha dilaniato il Paese fino alla proclamazione d’indipendenza del Sud Sudan nel 2011 e al successivo conflitto in Darfur che gli è valso nel 2009 un’incriminazione per crimini di guerra e contro l’umanità da parte della Corte penale internazionale. Innescate dall’aumento del prezzo del pane, le proteste nate lo scorso dicembre lo hanno costretto alla resa dopo quasi quattro mesi di manifestazioni.

A nulla è valso il tentativo di placare la collera popolare offrendo la testa del ministro della Salute e del premier, alla fine l’esercito si è schierato con la piazza e ha messo fine al suo regime trentennale, inaugurato nel 1989 con un colpo di Stato.

 Non è andata meglio all’ormai ex presidente algerino, Bouteflika: la decisione di ricandidarsi per il quinto mandato gli è stata fatale, aizzandogli contro larghissimi strati della società e innescando delle proteste che alla fine gli sono costate il palazzo presidenziale.

Vi era arrivato nel 1999 dopo essere stato eletto con oltre il 70% dei consensi e l’aperto sostegno dell’esercito. Nel 2013 però un ictus lo ha colpito e da allora è costretto su una sedia a rotelle, lontano praticamente da tutti gli eventi pubblici. Una situazione insostenibile che è sfociata in proteste settimanali.

A nulla sono valsi i tentativi di Bouteflika di placare la folla, rinviando le elezioni, ritirando la candidatura e promettendo riforme: alla fine la pressione della piazza l’ha portato a dimettersi. Ma non è ancora abbastanza per i manifestanti che sono tornati in piazza per protestare contro il nuovo presidente ad interim, Abdelkader Bensalah.

Un anno e mezzo fa era stata la volta di Mugabe, l’inossidabile padre-padrone dello Zimbabwe, arrivato al potere come primo ministro nel 1980 e da allora rimasto per 37 anni aggrappato alla poltrona, accentrando tutto nelle sue mani e quelle della sua famiglia.

Il 15 novembre 2017 era stato preso in custodia dall’esercito senza essere destituito ufficialmente; le dimissioni sono arrivate solo il 21 novembre dopo aver negoziato un accordo di immunità per lui e la famiglia.

La difesa dell’Islam ed un certo senso per gli affari

Omar al-Bashir, il presidente sudanese spodestato in queste ore, aveva preso a sua volta il potere con un colpo di Stato militare nel 1989, quando era un colonnello dell’esercito. Fu un intervento volto a sventare la possibilità della firma di un trattato di pace con il Movimento di liberazione del popolo sudanese del carismatico John Garang: il compromesso, infatti, avrebbe consentito l’applicazione del diritto secolare, anziché della Sharia, nel sud cristiano e animista.

Da allora Bashir, oggi 75enne, ha controllato ininterrottamente il Paese, spingendolo sempre più verso l’adozione di una dottrina integralista dell’Islam e flirtando con il terrorismo jihadista.

Negli anni ’90 aveva dato ospitalità a Osama bin Laden fino a quando non venne espulso su pressione degli Stati Uniti.

Nato nel piccolo villaggio di Hosh Bannaga il 1 gennaio 1944, ma cresciuto a Khartoum da una famiglia di agricoltori, nel 1966 Bashir entrò nell’accademia militare.

Nel 1973 combattè nelle file dell’esercito egiziano contro Israele nella guerra del Kippur. Tornato in Sudan fu posto a capo delle operazioni militari contro il Fronte di Liberazione Popolare per l’indipendenza del Sudan del Sud.

Promosso generale negli anni ’80, conquistò il potere con un golpe nel 1989 rovesciando il primo ministro Sadiq al-Mahdi. Al-Bashir mise immediatamente al bando ogni partito politico, censurò la stampa e sciolse il Parlamento, assumendo su di sè il totale controllo della nazione. Si autonominò capo di Stato, primo ministro, capo delle forze armate e ministro della Difesa. Nel 1991 fece adottare la Sharia.

Nel 1998 gli Stati Uniti bombardarono l’industria farmaceutica di al-Shifa che avrebbe dovuto produrre segretamente armi chimiche per bin Laden. Il Sudan fu inserito da Washington nella lista dei paesi sostenitori del terrorismo.

Per più di 19 anni il Sudan fu dilaniato da una violenta guerra civile che vedeva contrapposta la parte settentrionale, araba e musulmana, e quella meridionale, cristiana e animista. Guerra finita, ma con episodici episodi di violenza per il controllo delle ricche regioni petrolifere con l’indipendenza del Sud Sudan nel luglio del 2011.

Nel 2003 scoppiò nella provincia occidentale del Darfur un nuovo conflitto che vedeva gli agricoltori animisti attaccati dai pastori arabi appoggiati dalle milizie Janjaweed aiutate dal governo di Karthoum. Nell’ottobre 2004, Bashir negoziò gli accordi che portarono alla fine della sanguinosa guerra civile tra Sud e Nord, con la concessione di una limitata autonomia al Sudan meridionale.

L’isolamento del presidente sudanese ha raggiunto l’apice nel 2009, con l’incriminazione per crimini di guerra e contro l’umanità in Darfur da parte della Corte penale internazionale. Un mandato di arresto fu emesso il 4 marzo 2009, ma non sono state riscontrate prove sufficienti per perseguirlo per genocidio.

Il mandato fu comunicato al governo sudanese, ma è improbabile che ne venga fatta esecuzione. Capo del Partito nazionale del Congresso, Bashir è stato rieletto alla guida del Paese nelle consultazioni dell’aprile 2010, le prime multipartitiche, e nuovamente nell’aprile 2015 quando ha ottenuto uno schiacciante 94,5% dei voti, tra le aspre contestazioni dell’opposizione.

Il 16 settembre 2015 l’Alta Corte sudafricana ne ordinò l’arresto per le accuse di genocidio e crimini di guerra in Darfur ma Bashir, che si trovava in Sudafrica per un summit, riuscì a lasciare il Paese.

Vedi: Il repentino crepuscolo dei vecchi autocrati in Africa
Fonte: estero agi


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