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Il pianeta non è in pericolo, lo è l’uomo “sapiens”

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“Non abbiamo il potere di distruggere il pianeta, o di salvarlo. Ma abbiamo il potere di salvare noi stessi” (Micael Crichton)

di Pietro Benina

Al netto dei “Mercanti di dubbi” (ben descritti nel libro di Naomi Oreskes ed Erik Conway, 2009, pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente) che dagli anni cinquanta del secolo scorso hanno fatto gli interessi delle aziende, da quelle del fumo a quelle petrolifere e carbonifere, la comunità scientifica è ormai unanime sull’origine antropica del riscaldamento globale, e la maggioranza dell’opinione pubblica chiede di intervenire per contrastarne gli effetti. La politica è titubante, ma il tempo per cambiare la traiettoria peggiore dell’innalzamento delle temperature globali (5 gradi) entro fine secolo, c’è e va colto ora per non lasciare nei guai le generazioni future.
La rivoluzione culturale verso la rinaturalizzazione ha molti protagonisti dal basso per arrivare al magistero di Papa Francesco con l’enciclica ecologica “Laudato Si” e la recente “Fratelli Tutti” che esorta al cambiamento del paradigma economico verso un’economia generativa, seguita dall’evento globale “The economy of Francesco” protagonisti giovani professori e ricercatori da ogni parte del mondo.
I giuristi aperti alla sfida dei beni comuni (diritti umani, patrimonio culturale, biodiversità, preservazione del clima, risorse energetiche, genoma, cibo, e non ultima l’acqua) stanno provando a ripensare radicalmente il loro strumentario concettuale, non solo riguardo il concetto di proprietà (meglio custodia per questa categoria di beni), ma anche relativamente alle forme di democrazia partecipativa, capaci di tenere il passo con le conquiste tecnologiche e le aspettative della società contemporanea. Nel diritto internazionale la preoccupazione per la tutela delle risorse naturali ed energetiche è fortemente sentita (17 Goals di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030). La cooperazione internazionale molto può fare per la tutela di questi beni. Per la soluzione di conflitti piuttosto che pensare a strutture giurisdizionali tradizionali bisognerebbe puntare a istituzioni “ad accesso ampio” per raccogliere segnalazioni di molti soggetti che tengono alla loro cura. La regolamentazione per accordi è consona a questi beni e potrebbe influenzare la regolamentazione dei beni comuni nei singoli ordinamenti nazionali.