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Il nuovo Pd schiacciato a sinistra metterà in fuga gli elettori moderati

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La vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito Democratico provocherà un effetto domino sulla politica italiana con la conseguenza di una parziale ristrutturazione delle forze in campo.

Il primo effetto riguarda proprio il Pd. Rispetto all’elezione di Nicola Zingaretti del 2019, la partecipazione ai gazebo si è ridotta: mancano all’appello almeno 500 mila voti. Un numero consistente di elettori delle primarie (pari a un terzo dell’elettorato del 2019) non è stato attirato dalla sfida tra Bonaccini e Schlein. Allo stesso tempo, la composizione del ‘popolo delle primarie’ del 26 febbraio (circa un milione e centomila) è parecchio diversa rispetto al passato. Stavolta, all’elezione di Schlein hanno contribuito gruppi diversi, provenienti dal M5s, da Articolo 1, da altre formazioni di sinistra, da movimenti civici come le Sardine e dalla sinistra diffusa che nel recente passato si è astenuta dalle competizioni elettorali e non aveva partecipato in passato alle primarie del Pd.

Il merito di questo ritorno di partecipazione va giustamente attribuito a Elly Schlein, capace di trascinare una folta schiera di militanti ispirati dai suoi messaggi sul lavoro, le diseguaglianze, l’ambiente e i diritti. L’altra faccia della medaglia è che quegli stessi slogan hanno allontanato una larga fetta di elettorato riformista e moderato, vuoi perché disinteressato alle sorti del Pd, vuoi perché respinto dai protagonisti della competizione. La somma algebrica di questo voto (grossolanamente: un po’ più di elettori di sinistra radicale, molti meno elettori di sinistra liberale) dà un risultato chiaro: la partecipazione alle primarie diminuisce e l’area dei votanti si tinge sempre più dei colori arcobaleno del radicalismo ecologista e del socialpopulismo.

Questa trasformazione del profilo valoriale del Pd ci dice che l’elettorato dem e quello pentastellato si assomigliano sempre di più. Dopo la divisione alle elezioni del settembre 2022, ciò comporterà un rapido riavvicinamento dei due partiti. Che costituiranno la base di partenza dell’unità delle sinistre in vista delle prossime competizioni elettorali. Tuttavia, proprio a causa delle sempre più evidenti somiglianze, i due elettorati (insieme con quello di Articolo1 e delle altre piccole formazioni di sinistra) tendono a sovrapporsi. Con almeno un paio di conseguenze. La prima: che uno dei due partiti tenderà a fagocitare l’altro. Più probabile che sia il Pd a risalire, recuperando quegli elettori di sinistra radicale delusi che avranno dei buoni motivi per ritornare a quella che considerano la casa madre. Un processo che di fatto si è già realizzato con i gruppi dirigenti e con gli iscritti di Articolo 1, attraverso lo strumento delle agorà di Enrico Letta e con la riscrittura delle regole delle primarie modificate proprio per favorirne la confluenza. In secondo luogo, se è vero che questo elettorato si avvita su se stesso, la forza espansiva di Elly Schlein si rivela per quello che è: una distorsione ottica. L’apparenza dice che il Pd si allarga a un nuovo elettorato che in parte è davvero nuovo e in parte ritrova la sua “casa”. L’impatto sulle elezioni europee del 2024 potrebbe essere pertanto molto positivo e l’anno prossimo il Pd potrebbe tornare a essere quantomeno il primo partito del centrosinistra. Ma questa casa diventa sempre più stretta e perde definitivamente la capacità attrattiva verso quel centrosinistra più largo (che, a seconda dei gusti, si può definire democratico in senso lato, moderato, riformista, centrista, liberal, progressista) che non vota per la destra ma è insofferente verso una sinistra sempre più utopistica e radicaleggiante.

Si tratta di un punto dirimente. Bisogna ricordare infatti che – escluse le elezioni europee che si basano su un sistema totalmente proporzionale che stimolerà tutti i partiti a correre in proprio per misurarsi – il sistema politico italiano conserva una connotazione maggioritaria e bipolare, a partire dalle elezioni comunali, passando per le regionali, per finire con le elezioni nazionali (in tal caso, anche a dispetto della quota proporzionale prevista dalla legge Rosato). Proprio quest’anno si celebrano i 30 anni dalla riforma del sistema elettorale dei comuni che introdusse, nel 1993, alla luce della vittoria referendaria, l’elezione diretta del sindaco e lo schema bipolare. Un sistema che continua a funzionare egregiamente – nessun politico sano di mente potrebbe pensare di modificarlo – e che, per le sue caratteristiche, non premia gli estremismi. Un Pd a trazione radicaleggiante e socialpopulista, specie in alcune realtà territoriali, rischia sempre di partire già battuto. Stesso problema per il livello nazionale, dove, almeno per un po’, a partire da queste premesse, sarà assai complicato ipotizzare un’alleanza tra la sinistra corbyniana di questo Pd e il riformismo liberalprogressista del Terzo Polo.

Per tutti questi motivi, dopo le primarie di sabato scorso, riparte il percorso di fondazione del nuovo partito unico liberal-democratico (che potrebbe chiamarsi Italia in Azione). Molti ritengono che se i dem si rinchiudono nel fortino del massimalismo contemporaneo si apriranno quelle praterie dove Renzi e Calenda potranno scorrazzare in libertà. Attenzione però, perché in politica non c’è nulla di scontato e anche questa prospettiva potrebbe ridursi a un wishful thinking. Le recenti elezioni regionali stanno lì a ricordarcelo: approfittando della crisi del Pd, il Terzo Polo avrebbe potuto sfondare sia nel Lazio che, soprattutto, in Lombardia. Ma non è andata così. Nulla per ora garantisce che il progetto di una Renew Europe italiana possa avere lo stesso successo dell’esperimento francese di Emmanuel Macron.

Infine, non bisogna sottovalutare che, nella fisica dei vasi comunicanti del sistema politico, la ristrutturazione del proprio campo dipende anche dal modo in cui si ristruttura il campo dell’avversario. Giorgia Meloni, attraverso l’azione del suo esecutivo e in dialogo con le istituzioni europee, sta cominciando a costruire il profilo di una destra di governo che, nel tempo, potrebbe creare un inedito mix tra il populismo missino, il conservatorismo liberale e quel che resta della tradizione popolare cattolica, spostandosi sempre più verso il centro. Ciò potrebbe comportare non soltanto l’assorbimento di quel che resta di Forza Italia – sia in termini di ceto politico che di elettorato – ma anche una influenza magnetica su un elettorato sempre più indifferente alle sirene estremiste del nuovo Pd. Il risultato? Uno scacco matto che potrebbe lasciare i dem all’opposizione per un ciclo molto più lungo del previsto.

Fonte: Liberta’ Eguale