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Il Gospel di Desmond Tutu

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A volte si sostiene che, mentre un tempo erano i partiti a orientare i cittadini, ora sono i sondaggi demoscopici a condizionare la linea delle forze politiche. C’è del vero. Ma un fenomeno analogo sta accadendo anche al livello dell’informazione. Un esempio. Per me non pochi giornalisti televisivi hanno rappresentato (e ancora rappresentano) dei maestri e degli educatori, nel senso vero e nobile del termine: da Piero Angela a Demetrio Volcic, da Pierantonio Graziani a Emmanuele Rocco. Oggi, invece, pare tutto confezionato a misura del “consumatore”.

Il servizio del Tg1 di prima serata dedicato alla morte dell’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, non a caso, era molto, molto condizionato dalle “lenti”, dai “filtri” delle nostre abitudini e del nostro modo di percepire la dimensione religiosa. Nel mio piccolo ho impiegato decenni per riuscire ad avvicinarmi alla prospettiva, alle prospettive delle chiese scaturite dalla Riforma. Non è affatto semplice, per noi che abbiamo un imprinting cattolico. Però in quel servizio – come in tanti altri – non riesco a scorgere lo sforzo, il tentativo di volgersi in quella direzione, di comprendere, di entrare in quel mondo, in quei mondi. Manca la tensione per provare almeno a compiervi un’incursione, come se ci si adagiasse sulla superficie, rifugiandosi talora, addirittura, nella caricatura. Desmond Tutu – come Martin Luther King e tanti, tanti altri e altre – non erano dei “religiosi” strani o eccentrici, dei capipopolo con un titolo ecclesiastico, dei tribuni camuffati da “preti”. E quando “gridavano”, gridavano semplicemente il Vangelo. Proprio come i cori Gospel, pur tanto ammirati. Erano (sono) uomini e donne di fede, persone animate dalla Parola del Signore (e magari dai Suoi silenzi). Da lì traggono la forza e l’intelligenza per pronunciare le loro parole, i loro sermoni.

Non dovremmo dimenticare neppure per un istante, infatti, che la sfera “religiosa”, l’ambito “sacro” si nutrono, per quel che riguarda l’area giudaico-cristiana, della Bibbia, più che di uno stile o di un “portamento”. Non è l’incenso a fare il culto, come non è lo stadio o qualsiasi altro luogo.

fonte: liberta’eguale