Type to search

I concerti di Capodanno all’insegna della musica immortale

Share

Anche il 2022 s’è aperto all’insegna della celestiale musica risalente ad un’epoca ben difficile da ripetere, offerta dai due tradizionali e famosi concerti d’inizio anno, quello del Gran Teatro la Fenice di Venezia e quello del Musikverein, “tempio dorato della musica” di Vienna 

di Augusto Lucchese

Anche il 2022 s’è aperto all’insegna della celestiale e immortale musica risalente ad un’epoca ben difficile da ripetere, musica offerta dai due tradizionali e famosi concerti d’inizio anno, quello del Gran Teatro la Fenice di Venezia e quello del Musikverein“tempio dorato della musica” di Vienna.  Ambedue hanno avuto un clamoroso e meritato successo. Il nettare musicale, generosamente profuso dalla musa Euterpe, è tornato a primeggiare, purtroppo solo per qualche ora, sulle onde hertziane degli schermi televisivi. S’è potuto godere un esaltante momento di ritrovato appagamento musicale oltre che spirituale. Niente a che vedere con i vari festival stile “San Remo” o con altre anonime rassegne di pseudo musica generata dall’odierna inqualificabile produzione di massa, pur apprezzando talune eccezioni o le riconosciute virtù di qualche eccelso compositore.

Nel bene e nel male s’è attraversato un anno di incertezze, di rinunce, di pericoli, di ansie e si è ancora chiamati ad affrontare la nebulosa prospettiva dei venienti mesi. Il quadro pandemico del Covid 19 e delle sue varianti è ben poco migliorato e la prospettiva fornita dai dati di questi ultimi giorni, saturi di ulteriore preoccupazione per il presente e per il futuro, non lascia spazio all’ottimismo. Impone, anzi, una perseverante prudenza e parecchio spirito di accettazione, specie nel campo dei contatti sociali con il mondo esterno, con gli amici e, purtroppo, anche con gli stessi familiari. Chissà se in questo nuovo anno si avrà la possibilità di intravedere la fine del tunnel.

Essersi presentato all’ora zero del nuovo anno in assoluta solitudine, potrebbe sembrare, quanto meno, una anomala iniziativa. Non è stata una decisione adottata a fronte dei diktat da Covid 19, peraltro aggravati dall’inarrestabile “diluvio” di confusionarie notizie brutalmente scaraventateci addosso, in gran misura strumentalmente, dai mass-media e dalla incontrollata “rete”. È stata, viceversa, una convinta scelta dell’io interiore assetato di quiete e di silenzio, voglioso di intimo raccoglimento. Il rifiuto di vivere il passaggio da un anno all’altro secondo le vacue regole cui ubbidisce l’incorreggibile pochezza della cosiddetta “società civile”, può apparire come una incongruente sfida al conformismo, come una sorta di donchisciottesco attacco contro i “mulini a vento” degli odierni schemi di vita. L’avere scelto di dare, in assoluta solitudine, il benservito al triste e sconvolgente 2021 potrebbe essere scambiato, in definitiva, per un atto annoverabile fra eventuali turbe da esagerato isolazionismo. Scansare, magari ricorrendo a qualche veniale menzogna, gozzoviglie gastronomiche, insulse rassegne di luoghi comuni, ipocriti auguri, montagne di pacchi regalo, incivili frastuoni e botti esterni, oltre che la violenza del chiasso conviviale, talvolta ingigantito da grida quasi isteriche di qualche partecipante fuori di testa, potrebbe essere scambiato per un atteggiamento di preconcetta rinuncia alla pur indispensabile socialità. Ma non è così. In “beata solitudo”, nel silenzio dei propri vitali spazi casalinghi, viceversa, si riesce a trovare, volendo, una salutare pace interiore, un senso di intimo appagamento, un disiato equilibrio psichico.

Non è detto che non si possa attendere il fatidico passaggio di testimone da un anno all’altro standosene silenziosamente assisi, da soli, dirimpetto alla TV e accanto alla tavola apparecchiata con un po’ di insolita ricercatezza, da festa comandata. Una tavola ricca di inusuali pietanze a base di lenticchia fumante e “cotechino”, di saporitissimi “carciofi alla diavola”, di roseo salmone cucinato a norma, di variopinta frutta di stagione. Il tutto arricchito, “dulcis in fundo”, da un variegato assortimento di frutta secca e da non tanto innocui dolcini natalizi ripieni di pasta di mandorle, i tradizionali “cucciddati” della nonna. Solo un assaggio, per tradizione, di una striminzita porzione di ipocalorici panettoni e niente liquori ad alto tasso etilico, convintamente sostituiti dal parco sorseggiare di un frizzantino Pinot rosè “12 gradi”, marca Italy. Poi, scoccata la fatidica ora zero del nuovo anno e dopo una buona abbuffata di caos televisivo, misto a vicini e lontani fragori e bagliori di fuochi d’artificio, subito a letto, fra le accoglienti braccia di Morfeo.

Al mattino, qualche ora in più sotto coperta ha rimediato all’insonnia della notte precedente, fra il 30 e 31, forse dovuta allo stress doviziosamente regalatoci dal morituro anno 2021. Che la Provvidenza lo perdoni, sperando che il suo nefasto lascito non produca, ancora per molto, sofferenze e lutti. Tuttavia, rispetto alla media delle normali levatacce mattutine, l’appressarsi con notevole ritardo all’atteso uno gennaio non è apparso meritevole di un auto elogio. Malgrado la dominante atmosfera festiva, non s’è potuto evitare, in ogni caso, di dedicare alle faccende di casa una buona porzione delle prime ore del nuovo giorno. Assumendo, come di consueto, le funzioni di “tutto fare”, s’è reso necessario rassettare la casa, principalmente la cucina, dovendo predisporre, fra l’altro, il pur modesto pranzo, più o meno adeguato alla particolare ricorrenza. L’acqua bollente della pentola era già pronta per accogliere una sufficiente razione di fresca pasta di casa, quando, d’un tratto, un improvviso pensiero è venuto alla mente. Non era certo finito nel dimenticatoio il proponimento di accendere la TV per seguire i due attesi “concerti di capodanno”. Dovendomi spostare da una stanza all’altra ne ho messe in funzione addirittura due.

Il primo concerto, dai connotati del tutto nostrani, è piuttosto giovane (anno di nascita 2004) e trova la sua collocazione nella splendida cornice del Gran Teatro “La Fenice” di Venezia. Quest’anno, la direzione della magnifica orchestra sinfonica del celebre e redivivo teatro veneziano, è stata affidata al valente direttore d’orchestra Fabio Luisi, subentrato a Daniel Harding. Scelta, a mio giudizio, parecchia azzeccata, sia per la bravura dimostrata che per la simpatia riscossa. È raro vedere un direttore d’orchestra che dirige il numeroso e variegato complesso a lui affidato senza la rituale “bacchetta”. Sono stati eseguiti parecchi celebri brani di un vasto repertorio operistico, dal Lohengrin di Wagner alla Gioconda di Ponchielli, dalla Traviata al Trovatore e al Nabucco (“va pensiero”) di Verdi, da Gounod a Rossini, da Puccini a Leoncavallo.

La soprano Pretty Yende (sudafricana) ha brillantemente interpretate pagine come “Je veux vivre dans le reve” da Romeo e Giulietta di Gounod e “Una voce poco fa” dal Barbiere di Siviglia di Rossini. Il giovanissimo tenore Brian Jadge (americano) ha riscosso un entusiasmante consenso cimentandosi con successo in “Vesti la giubba” dai Pagliacci di Leoncavallo e nel famosissimo brano “Nessun dorma” dalla Turandot di Puccini. Ha riportato alla mente, di getto, l’indimenticabile superlativo Pavarotti che ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia. Quasi alla fine dell’ora di estasi musicale, è stato eseguito un altro brano dalla Turandot – “Padre Augusto” – e, come ormai d’uopo di anno in anno, il concerto s’è chiuso con “Libiam nè lieti calici”, dalla Traviata, il conosciutissimo brano nato 1853 dalla eccelsa mente musicale dell’eclettico Verdi e magnificamente in grado di trasmettere un vivace e commovente augurio sia ai presenti che ai telespettatori. Per la cronaca la prima esecuzione della Traviata avvenne proprio nel Teatro La Fenice, nel marzo dello stesso anno 1853. Il pubblico in sala, al completo dotato di mascherine, ha accompagnato la musica con il cadenzato battere delle mani. Uno spettacolo meritevole di ogni riconoscimento, sia per la celestiale musica che per la bravura dell’orchestra e del coro del Teatro la Fenice preparato e diretto da Alfonso Caiani.

Ogni cosa è andata a meraviglia sino alla fine, se non fosse stato per l’incresciosa gaffe commessa da qualche stolto operatore della traligna mamma RAI nel chiudere di getto il collegamento, prima che terminasse il BIS di “libiam nei lieti calici”. La mercantile mentalità di taluni settori della Televisione di Stato, probabilmente succubi della spregevole tendenza a dare priorità alla pubblicità, ha infierito senza scrupoli sull’aspetto culturale e formativo della trasmissione in onda.

L’altro concerto d’inizio anno, quello di Vienna, più tradizionale e blasonato, è nato circa 80 anni addietro e quasi mai è mancato all’appuntamento del primo gennaio. Si dice che sia il più conosciuto e rinomato in tutto il Mondo. Il vasto repertorio è stato magnificamente eseguito dalla  Neujahrskonzert der Wiener Philharmoniker  che ha offerto, come sempre, un eccellente e superbo spettacolo. Quest’anno è stata diretta, non tanto brillantemente in verità, dal quasi ottantenne maestro Daniel Barenboin.

Oltre alle mai dimenticate musiche dell’impareggiabile compositore Johann Strauss, fra le melodie in repertorio, brillantemente interpretate, sono state inserite alcune “prime assolute” di altri autori pressoché coevi della feconda dinastia musicale degli Strauss. Brani di polke, valzer, galop, marce, si sono susseguiti in un crescendo d’entusiastico consenso del pur ridotto e contenuto pubblico presente nella monumentale sala. Non poteva mancare, in chiusura, la strabiliante Radetzky Marsch, composta nel 1848 da Johann Strauss in onore del famoso Generale che aveva sconfitto i Piemontesi di Carlo Alberto di Savoia e aveva riconquistato il lomabardo-veneto, rientrando trionfalmente a Milano. L’irrefrenabile apporto di cadenzati applausi da parte del pubblico ha integrato, come del resto accade ogni anno, la marzialità del notissimo brano musicale che per gli austriaci rappresenta una sorta di secondo inno nazionale.

Sono state, nel complesso, circa tre ore di autentico intimo e appagante godimento. Come se, in quel lasso di tempo, si fossero dischiuse le porte del Paradiso. Come se le brutture del periodo che si sta attraversando fossero per un momento scomparse. Come se per controbattere la solitudine, pur se non paventata, fosse insperatamente sopraggiunta la citata Musa che, offrendo un intenso avvicendarsi di celestiali motivi, ha ridato coraggio, serenità e fiducia.

Un solo triste pensiero ha offuscato il complessivo stato di grazia del momento: il ricordo di periodi ormai lontani, sicuramente irrecuperabili, quando era oltremodo gioioso condividere con altri l’entusiastico apprezzamento delle tante struggenti melodie che i geni della musica dei tempi passati ci hanno tanto generosamente lasciato in eredità.

Non nascondo che l’invadente malinconia e il dominante stato d’animo di partecipazione e di appagamento spirituale, ha fatto sì che qualche lacrima di commozione rigasse le guance.