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Francia: Macron la discontinuita’ nella continuità

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Il nuovo governo Borne è lo strumento macroniano per completare il lavoro iniziato il 24 aprile. Ma solo il 20 giugno, a risultato delle legislative acquisito, si cominceranno a delineare le linee del Macron II

di Michele Marchi

La sobria serata di festeggiamenti per la rielezione di Emmanuel Macron ha avuto un momento di interesse quando il presidente ha annunciato di aver compreso le difficoltà dei francesi e di essere pronto per cinque anni in discontinuità rispetto al suo primo mandato.
A circa un mese dal voto presidenziale, dopo una lunga attesa, è giunto il nuovo governo guidato da Elisabeth Borne. Un primo segnale di discontinuità? Scetticismo e perplessità non sono mancati. In realtà la scelta del primo ministro e dei suoi ventisette colleghi di governo sembra avere un obiettivo, meno prosaico ma molto più concreto: condurre in porto con una vittoria chiara le elezioni legislative del prossimo 12-19 giugno, definite il vero e proprio terzo turno presidenziale.
Per valutare da questa ottica le scelte di Macron una volta rieletto, occorre fare un passo indietro e ragionare attorno a tre tempi forti del suo operato in questa primavera 2022.
Il primo momento ci riporta al 17 marzo, quando nella periferia Nord di Parigi, ad Aubervilliers, Macron presenta il suo programma presidenziale. Pensione a 65 anni, riforma del diritto di successione, assegno di disoccupazione vincolato, inasprimento delle condizioni per ottenere il diritto di asilo. La reazione dell’allora candidata de Les Républicains, Valérie Pecresse, non si fa attendere: il presidente sta rubando i principali punti del suo programma elettorale, tanto da coniare l’espressione “candidato fotocopiatrice”. Al netto delle formule, la sera del primo turno dimostra quanto proficua sia stata una campagna presidenziale tutta giocata per ottenere la più alta percentuale possibile di voti nel 2017 andati a François Fillon. Il misero 4,78%  ottenuto da Pécresse è la migliore dimostrazione del successo (a destra) della campagna elettorale macroniana per il primo turno.
Il secondo momento risale al 16 aprile. Siamo a una settimana dal ballottaggio contro Marine Le Pen e Macron è impegnato in una serie di comizi a Marsiglia. Mentre delinea le caratteristiche del suo futuro primo ministro, ricorda che Matignon avrà la diretta responsabilità della pianificazione ecologica. Si tratta di un tema fino a quel momento proposto dal candidato della France Insoumise, giunto terzo al primo turno. La strategia è tanto semplice quanto chiara: dopo aver vinto il primo turno a destra, muoversi verso sinistra per garantirsi la rielezione al ballottaggio. L’esito del 24 aprile è senza appello: circa due terzi dei voti raccolti da Mélenchon al primo turno sono confluiti sul presidente uscente, in funzione anti-Le Pen.
“Questo voto mi pone degli obblighi”, dice Macron. Ed ecco giungere il terzo tempo: “discontinuità nella continuità”. Al primo Consiglio dei ministri del 23 maggio si delineano le tre grandi priorità: sanità, educazione ed ecologia. Tutte e tre sovrastate dalla grande emergenza nazionale, la crisi del potere d’acquisto, che non a caso la neo premier ha annunciato riguarderà il primo provvedimento legislativo sottoposto alla nuova Assemblea Nazionale. Il terzo tempo macroniano, giocato sul crinale continuità/discontinuità, trova nella composizione del nuovo governo la sua plastica rappresentazione.  
Il crinale continuità/discontinuità trova nella composizione del nuovo governo la sua plastica rappresentazione
Partiamo dalla scelta del primo ministro. Elisabeth Borne, seconda donna a ricoprire questo incarico nella storia della V Repubblica (l’altra è stata la non memorabile Edith Cresson nella fase discendente della “monarchia mitterrandiana”) e soltanto quarta a giungere alla guida del governo senza essere passata da un mandato popolare (i precedenti sono Georges Pompidou nel 1962, Raymond Barre nel 1976 e Dominique de Villepin nel 2005), segna di sicuro una discontinuità. Peraltro, confermata dal fatto che Macron, dopo aver pescato nei ranghi della destra repubblicana per i due primi ministri del suo primo mandato (Edouard Philippe e Jean Castex) questa volta si è rivolto a sinistra (alcuni retroscena hanno parlato di una scelta presidenziale già caduta sulla chiracchiana Catherine Vautrin, bloccata dall’ala sinistra de La République en Marche e da François Bayrou, ascoltatissimo da Macron ). Definita dai detrattori in maniera sprezzante un puro prodotto della tecnocrazia transalpina, in realtà Borne, pur non essendo mai stata eletta, ha però lavorato nei gabinetti ministeriali di Lionel Jospin e Ségolène Royal. In questo gioco di alternanza tra discontinuità e continuità, rispetto alla seconda occorre anche ricordare che Borne è stata al centro del progetto macroniano sin dalle origini, avendo partecipato a tutti i governi tra il 2017 e il 2022, in ruoli chiave quali i ministeri dei trasporti, del lavoro e della transizione ecologica.
Il richiamo alla dimensione ecologica segna il secondo di tre elementi che ben si applicano a questa “svolta” macroniana in vista della sfida delle legislative. Al precedente ministero dell’ecologia si è sostituita una struttura a tre teste, con due ministre, Amelie de Montchalin (transizione ecologica e coesione dei territori) e Agnès Pannier-Runacher (transizione energetica), coordinate direttamente da Elisabeth Borne, incaricata della pianificazione ecologica ed energetica. Non sono mancate le critiche, in larga parte concentratesi sulla supposta scarsa esperienza sui temi “verdi” delle due nuove ministre e sulla potenziale scarsa efficacia di un sistema così tripartito. Il tempo potrà confermare o smentire tali criticità. Il messaggio all’elettorato giovane e sensibile ai temi dell’ambiente e della transizione ecologica è però stato inviato in maniera netta.
Con la scelta di Pap Ndiaye, Macron si presenta come vero punto di equilibrio tra le ossessioni identitarie e l’islamo-gauchisme
La terza e ultima “virata a sinistra” la si individua nella scelta del nuovo ministro dell’educazione nazionale. Dal giurista concentrato sulla lotta al comunitarismo, all’ideologia woke e al cosiddetto islamo-gauchisme Michel Blanquer si passa al professore di storia sociale e delle minoranze francesi e statunitensi, impegnato nel denunciare il razzismo strutturale della società francese Pap Ndiaye (di madre francese e padre senegalese). Anche su questo punto occorre fare però attenzione. La scelta è simbolica, ma non è né casuale, né improvvisata. Il professore di Storia di Sciences Po è da tempo ascoltato dal presidente. Lo stesso Macron nel febbraio 2021 lo ha voluto alla guida del contestato Museo nazionale di storia dell’immigrazione. Ecco allora che nell’ottica del presidente rieletto Pap Ndiaye diventa lo strumento perfetto da un lato per calmare un corpo docente, e soprattutto le principali sigle sindacali del comparto educativo, in prima linea nel criticare il verticismo ma anche l’assolutizzazione laicista del ministro uscente. Dall’altro lato il docente universitario, figlio di una professoressa di scienze naturali delle superiori, specializzatosi negli Stati Uniti, con un dottorato all’Ecoles des Hautes Etudes en Sciences Sociales ma anche con una frequentazione giovanile negli ambienti della sinistra radicale (con, tra gli altri, il futuro dirigente del Ps Jean-Christophe Cambadélis e il futuro storico della guerra d’Algeria Benjamin Stora), è il simbolo ideale per di una correzione a sinistra del “nuovo” Macron. Il presidente rieletto, attraverso Pap Ndiaye, si presenta come vero punto di equilibrio tra le ossessioni identitarie (Marine Le Pen ha definito il nuovo ministro dell’Educazione “indigenista convinto”) e l’islamo-gauchisme (Mélenchon ha parlato di fine intellettuale, disapprovando però la sua scelta di accettare l’incarico ministeriale).
Un’ultima avvertenza riguarda però l’idea di eccedere nella svolta a sinistra e di conseguenza nella discontinuità del Macron di inizio secondo mandato. Il nuovo esecutivo nei ministeri chiave di Economia, Interni e Giustizia vede la riconferma rispettivamente di Bruno Le Maire, Gérald Darmanin et Eric Dupond-Moretti, i primi due passati dal post-gollismo al macronismo sin dal 2017 e tutti i tre negli stessi dicasteri durante il primo quinquennato. Non mancano inoltre altre tre “compensazioni” a destra con l’arrivo al Quai d’Orsay della chiracchiana Catherine Colonna (portavoce dell’allora presidente della Repubblica dal 1995 al 2004), con Damien Abad al ministero della Solidarietà (già presidente del gruppo Les Républicains all’Assemblea nazionale) e con Christophe Béchu al ministero delle Collettività territoriali (segretario generale del nuovo partito Horizons, fondato dall’ex primo ministro Edouard Philippe).
In definitiva, se al ballottaggio presidenziale la parola d’ordine di Macron è stata “la Repubblica o l’estrema destra”, in vista delle legislative il nuovo slogan può essere riassunto nella formula “la Repubblica o l’estrema sinistra”. La Nouvelle union populaire écologique et sociale monopolizzata dal tribuno Mélenchon è attaccata frontalmente perché portatrice di parole d’ordine quali decrescita e comunitarismo, ma una parte del suo potenziale elettorato è corteggiato grazie ad alcune delle oculate scelte governative di Macron.
Il nuovo governo Borne è lo strumento macroniano per completare il lavoro iniziato il 24 aprile. Il 20 giugno, a risultato acquisito, si cominceranno a delineare le linee del Macron II. Solo a quel punto si potrà davvero capire come e se l’inquilino dell’Eliseo sarà in grado di dispiegare la sua discontinuità nella continuità.

Fonte: La rivista del Mulino