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Dal finto bipolarismo al federalismo europeo

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di Antonello Longo
direttore@quotidianocontribuenti.com

La forza del governo Draghi è fondata sulla debolezza della politica italiana, in preda a disturbi della personalità piuttosto gravi. Forza del governo verso i partiti che, però, fatalmente si indebolirà all’avvicinarsi delle elezioni politiche, chiunque sia il nuovo (o la nuova) Presidente della Repubblica.
La maggioranza che sostiene il governo comprende partiti sia di centrodestra che di centrosinistra, con due ali, rispettivamente a destra e a sinistra, all’opposizione. Eppure ogni giorno il circo mediatico accredita l’immagine virtuale di un sistema politico basato sul bipolarismo, centrodestra versus centrosinistra. Nel mondo reale, stando ai sondaggi, il partito politico (potenzialmente) più grande naviga attorno al 20 per cento. Si ricorre allora, per dare una parvenza di bipolarismo, alle alleanze. Ma anche qui, a ben guardare nei due schieramenti, si vedono situazioni paradossali.
A destra, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si rivolgono agli italiani definendosi come schieramento compatto, e in quanto tale ne rivendicano il consenso, mentre in realtà una lacerazione profonda (o una profonda finzione) li vede divisi tra governo e opposizione, divisione che passa tra i partiti e dentro i partiti.
Dall’altra parte il Partito Democratico recupera un ruolo guida approfittando del declino del Movimento Cinque Stelle, in preda ad una drammatica crisi d’identità, e propone la formazione di un “campo largo”, da LEU a Renzi, per affrontare il futuro urto bipolare col centrodestra. Ma l’ipotesi di un’alleanza strategica tra PD, M5S e LEU provoca grandi mal di pancia all’interno di ciascuna di queste forze, mente Renzi e Calenda, che sognano di mettersi alla guida di un’area neocentrista di una certa consistenza, scagliano l’anatema contro i “populisti” pentastellati e mettono il PD di fronte all’aut aut: o noi o loro.
Il progetto neocentrista, difficile in sé da concretizzare alle elezioni politiche, malgrado il successo di Calenda nel voto amministrativo a Roma, va chiarito nella sua strategia: forza autonoma in grado di praticare la politica dei due forni o componente del centrosinistra in grado di condizionare le scelte del PD?
Nei contenuti, l’idea di un partito di Draghi senza Draghi, più pragmatico che liberaldemocratico, stenta a distinguersi in un contesto nel quale tutti, ormai, si dichiarano distanti dalle ideologie del Novecento.
Nel sistema politico, nelle leggi elettorali, nel funzionamento delle istituzioni repubblicane vanno recuperate la lettera e lo spirito della Costituzione, tutte incentrate sulla rappresentatività popolare, sul pluralismo della politica, sulla separazione e la diffusione dei poteri, sulla funzione sociale della proprietà privata e della libera iniziativa economica. La vera sfida per la crescita economica di tutto il Paese è il riequilibrio territoriale tra Nord e Sud d’Italia, una sfida rispetto alla quale il Pnrr rischia di rivelarsi l’ennesima occasione perduta. E su questa sfida si dovrebbe segnare una linea di demarcazione tra schieramenti politici.
Né la costruzione di un bipolarismo fittizio né forme di riformismo modernista senza ideali, lontane dalla storia e dalla cultura della sinistra europea, sono elementi validi per aprire nuovi, più ampi orizzonti all’economia ed alla società italiane.
Se guardiamo all’Europa, il dibattito nei prossimi mesi si farà sempre più serrato. Il problema è la condivisione del debito, la necessità di rendere strutturale la svolta del NextGenerationEu e degli eurobond, una politica fiscale e di difesa comune, cambiando l’impostazione di fondo delle scelte in materia di politica economica e di equità sociale.
Vanno cercati, a livello europeo, i mezzi più utili, più funzionali e meglio proporzionati al fine di estendere la giustizia sociale, la sfera delle libertà collettive ed individuali, il welfare, i diritti legati al lavoro ed alla cittadinanza, le prerogative, i bisogni e le vocazioni dei territori, di difendere il difendibile di quel che resta del mondo del lavoro e della produzione fuori dai grandi gruppi monopolistici.
Chi scrive questa nota è convinto che che senza rievocare una Costituzione Europea, senza mettere mano alla revisione dei trattati, senza, in una parola, una battaglia vera per la democrazia in Europa, la politica, qualunque politica, è destinata a girare a vuoto. È questo disegno che va contrapposto al cosiddetto (con la solita improprietà di linguaggio) populismo della destra xenofoba, antieuropea ed antieuro. Un disegno di cui molti cittadini vanno in cerca anche nelle piazze dove si protesta contro i vaccini e il green pass.
Una nuova stagione della politica progressista si può aprire con la lotta per trasformare l’Unione Europea (che oggi, in senso stretto, non è nemmeno una vera e propria confederazione), in uno stato federale, una vera entità statuale sovranazionale le cui leggi, emanate (nelle materie di competenza federale) da istituzioni democraticamente elette, siano rivolte direttamente ai cittadini e non ai singoli stati federati.