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   COP27, TRA BUONE INTENZIONI E CATTIVE AZIONI

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Pare dunque una sfida ardua riuscire ad individuare dei segnali positivi, considerando come il conflitto Russo-Ucraino, in un modo o in un altro ha costretto una ripianificazione quantomeno parziale dell’approvvigionamento energetico europeo.

di Giuseppe Accardi

Al via i lavori della COP27, vertice ONU sui cambiamenti climatici che si terrà in Egitto, a Sharm El-Sheikh, dal 6 al 18 novembre, contraddistinto dalle polemiche degli ambientalisti e dalle preoccupazioni per il proseguo della guerra in Ucraina.

La Convenzione delle parti sui Cambiamenti Climatici, meglio noto come Vertice Onu sul Clima, è una manifestazione annuale che dal 1992 riunisce i rappresentanti governativi di mezzo mondo, la società civile e le organizzazioni incaricate dall’Onu per discutere, prevenire e contrastare i problemi relativi al clima e le nefaste conseguenze a cui stiamo già adesso assistendo.

La precedente edizione, andata in scena a Glasgow poco meno di un anno fa, si era chiusa senza dei sostanziali accordi internazionali vincolanti, sia per quanto riguarda i sussidi da destinare ai paesi in via di sviluppo, sia per quel che concerne il limite all’utilizzo di combustibili fossili. Lo scarso atteggiamento e questi deludenti risultati hanno scatenato l’ira degli attivisti, da sempre in prima linea nella lotta contro l’aumento di emissioni di co2 e coscienti di un pericolo imminente che va affrontato attraverso una cooperazione forte, urgente ed ambiziosa.

Pare dunque una sfida ardua riuscire ad individuare dei segnali positivi, considerando come il conflitto Russo-Ucraino, in un modo o in un altro ha costretto ad una ripianificazione quantomeno parziale dell’approvvigionamento energetico europeo.

Il rischio di un pesante ritorno ai combustibili fossili, sembra essere tutt’altro che un’ipotesi da scartare, con in prima linea il continente africano pronto a rifornire i paesi occidentali soprattutto Europei, che valutano soluzioni di questo tipo per far fronte alle loro mancanze in termini di forniture di energia.

Difficile dunque riuscire a mantenere le promesse di emissione 0 da raggiungere entro il 2050 ribadite nella scorsa edizione, così come risulta arduo apportare un implemento finanziario al piano di sostegno per quei paesi che, come l’Africa, subiscono direttamente ed in maniera più significativa gli effetti dei cambiamenti.

Inoltre risulta sempre più evidente la mancanza di credibilità di questi meeting internazionali, dato che la realizzazione delle numerose iniziative presentate a Glasgow neppure un anno fa sembra procedere molto a rilento, come mostrato dalla mancata approvazione della tassazione minima globale al 15% per le multinazionali, oltre al già citato abbandono dei combustibili fossili entro il 2050.

Intanto, mentre continuano a scomparire migliaia di chilometri quadrati di foreste ed il proseguo del conflitto scarica una quantità incalcolabile di Co2 nell’atmosfera, l’orologio climatico scorre inesorabile ed il superamento della soglia di aumento della temperatura di oltre 1,5 gradi potrebbe manifestarsi ben prima del 2032. Dunque la possibilità di scongiurare l’apocalisse climatica rischia di diventare pura illusione, giacché anche il vecchio continente oltre ai soliti paesi orientali non è più disposto ad ulteriori rinunce in un contesto internazionale di forte tensione e di scarsa cooperazione.

Ad ogni modo ancor prima dell’inizio della conferenza, sono molte le criticità, le ambiguità e i nodi da sciogliere alla Cop27.

Infatti già da subito ha fatto discutere la scelta del governo egiziano di affidare la sponsorizzazione dell’evento alla Coca Cola, il più grande inquinatore di plastica al mondo grazie alle sue 120 miliardi di bottiglie di plastica immesse nel mercato ogni anno, di cui più del 90% risulta prodotto da combustibili fossili.

Tutto ciò rivela, se ancora ce ne fosse bisogno che questa sarà l’ennesima passerella internazionale che porterà ad un nulla di fatto, o meglio verrà utilizzata dai soliti noti per salvaguardare i propri interessi attraverso il cosiddetto “greenwashing” ovvero una sorta di ambientalismo di facciata, in grado di ritinteggiare di verde il vecchio modello di produzione, spacciandolo per una svolta ambientalista a beneficio dell’umanità ma che in realtà autotutela e preserva lo status quo.

Vedremo se gli ambientalisti e gli attivisti avranno modo di dar voce al proprio sgomento nei confronti della comunità internazionale o se troveranno una ferma opposizione e repressione da parte del governo Egiziano, magari subito dopo la conclusione della conferenza.

 

Giuseppe Accardi, studente universitario, osservatore delle politiche internazionale