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Con la guerra dei prezzi, si delinea un nuovo patto tra Opec e Usa

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Cambiano le alleanze nel mondo del petrolio fiaccato dal coronavirus. Dopo l’intesa tra Opec e Russia, naufragata il 6 marzo scorso, nata alla fine del 2015 per sostenere le quotazioni e limitare le compagnie shale americane, ora si delinea all’orizzonte un nuovo patto. È quello che potrebbe nascere tra il cartello e le compagnie petrolifere americane. 

Perché è scoppiata la guerra dei prezzi 

All’inizio del mese la Russia non ha accettato la proposta degli altri paesi produttori di fare tagli aggiuntivi di 1,5 milioni di barili al giorno. Ufficialmente la tesi di Mosca è stata quella di voler analizzare l’evoluzione del mercato alla luce della pandemia.

In realtà molti analisti sostengono che le intenzioni di Mosca sono quelle di affossare le compagnie Usa di shale oil che – con il sostegno del presidente Donald Trump – hanno di fatto annullato i tagli dell’Opec+ a partire dal 2016 portando la produzione statunitense ai massimi di sempre. 

La risposta dell’Arabia Saudita al niet russo tuttavia è stata dirompente. Riad ha deciso, a partire da aprile quando scadrà l’intesa Opec+, di inondare il mercato di petrolio, aumentando al massimo la propria produzione e l’export.

Ultima tappa di questa storia la proposta di ieri degli Stati Uniti di fare da mediatore tra Mosca e Riad. Proposta rispedita al mittente in modo anche abbastanza duro dal Cremlino (“i produttori americani sono in una situazione disperata”, ha detto il portavoce Dmitry Peskov). 

La possibile alleanza Usa-Opec

Arriviamo quindi alla proposta di questa notte. Gli Usa potrebbero tagliare la loro produzione di greggio per sostenere le quotazioni e Ryan Sitton, capo della Texas Railroad Commission, l’autorità che regola il mercato del petrolio e del gas nello Stato della stella solitaria, è stato invitato al vertice Opec di giugno a Vienna.

In una nota, Sitton ha fatto sapere di aver parlato al telefono con il segretario generale del cartello petrolifero, Mohammed Burkindo. La commissione, fondata nel 1891, non controlla più le ferrovie ma l’industria petrolifera e del gas in Texas.

Negli ultimi decenni ha anche fissato i tassi di produzione di petrolio nello stato. Il tutto mentre i prezzi del greggio si muovono sui minimi degli ultimi 20 anni per la ‘guerra’ tra Arabia Saudita e Russia e per il crollo dei consumi. 

“È stato molto gentile ad invitarmi al prossimo vertice Opec di giugno”, ha detto Sitton di Burkindo con il quale ha riferito di aver avuto “un grande colloquio sulle forniture globali e sulla domanda. Concordiamo tutti – ha a aggiunto – sul fatto che occorra un accordo internazionale per assicurare stabilità economica mentre ci riprendiamo dal Covid-19”.

Alcuni produttori, soprattutto le società shale che rischiano il fallimento, stanno facendo pressioni sulla Texas Railroad Comission perché ricorra agli speciali poteri che gli consentono di regolare le quote produttive nello Stato come non avviene dal marzo del 1972 quando le società ottennero il via libera ad estrarre al 100% della loro capacità.

Gli Stati Uniti sono il primo produttore al mondo di petrolio, il Texas estrae il 41% del totale Usa. “In teoria il Texas potrebbe tagliare la produzione del 10% e se l’Arabia volesse ridurla del 10% rispetto ai livelli precedenti la pandemia e la Russia facesse lo stesso – ha osservato Sitton – il mercato potrebbe tornare a livelli precedenti la crisi (solo in lieve sovrapproduzione)”.

“Pensiamo che imitare l’Opec sia la direzione sbagliata. Riteniamo che le quote finiscano per penalizzare una produzione efficiente”, ha aggiunto. 

Chi si oppone a questa alleanza

C’è da dire che come sottolinea il Financial Times che non tutti i produttori sono d’accordo all’alleanza con l’Opec. Tuttavia la decisione finale la prenderà direttamente Trump. Il presidente della Railroad Commission, Wayne Christian, ha spiegato di “essere aperto a tutte le idee per proteggere” l’industria texana ma “come sostenitore del libero mercato ho una serie di riserve su questo approccio”.

 L’idea non piace nemmeno all’American Petroleum Institute, di cui fanno parte anche major come ExxonMobil e piccoli produttori indipendenti. “Pensiamo che imitare l’Opec sia la direzione sbagliata. In definitiva, riteniamo che le quote finiscano per penalizzare una produzione efficiente”, ha dichiarato Frank Macchiarola, vicepresidente senior dell’Api sollecitando invece soluzioni diplomatiche. 

L’Arabia Saudita sarebbe pronta a riprendere i tagli di diversi milioni di barili al giorno ma solo se anche la Russia farà altrettanto.  Mike Pompeo, segretario di stato Usa, nei prossimi giorni, riferisce Ft, sentirà Riad esortandola a porre fine alla guerra dei prezzi con la Russia. 

Mentre Dan Brouillette, il segretario per l’Energia, ha già avuto colloqui con il principe Abdalaziz bin Salman, ministro dell’energia dell’Arabia Saudita, per discutere la situazione. 

Questa settimana gli Stati Uniti dovrebbero acquistare  77 milioni di barili di greggio nazionale per le scorte governative. L’amministrazione Trump sta cercando l’approvazione del Congresso per spendere 3 miliardi di dollari per l’acquisto dei barili alleviando così le difficoltà dei fracker. 
 

Vedi: Con la guerra dei prezzi, si delinea un nuovo patto tra Opec e Usa
Fonte: economia agi


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