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COMPIE 20 ANNI SHREK, L’ORCO VERDE PUZZONE

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Nel giugno del 2001 appariva sugli schermi il film diretto da Andrew Adamson e Vicky Jenson, tratto dalla fiaba di William Steig, prima opera di animazione a vincere l’Oscar. Una insperata fortuna per la casa di produzione, la Dream Works, che ne girò quattro sequel e adesso ne prepara il quinto.

di Franco La Magna

La scommessa era davvero rischiosa, al punto che gli stessi produttori dell’allora ancora neonata Dream Works temevano che quell’orco verde scorbutico, misantropo e puzzone, difficilmente avrebbe potuto conquistare l’immenso pubblico dei cartoon sparso per il pianeta e già abituato a ben altro genere di personaggi. Ma lui, “Shrek”, andando al di la di ogni più rosea previsione, presentato in anteprima al festival di Cannes, toccò al box-office mondiale più di 500 milioni d’incasso (su 60 di budget), si aggiudicò per primo l’Oscar come miglior film di animazione, ebbe ben quattro sequel e divenne in breve un’icona della cultura pop. Esaltato dal New York Times, che lo ha compreso nella lista dei mille migliori film di sempre, l’orco verde gode adesso addirittura di un parco a tema, mentre perfino l’inarrivabile tempio di Broadway gli ha dedicato uno spettacolo live. Eponimo del cinema d’animazione tridimensionale, il film gode anche fama d’essere una metafora antirazzista (l’orco visto come diversità) e con il suo “politicamente scorretto” come afferma Jeffrey Katzenberg, capo della divisione della Dream Works ed ex dipendente Disney può “permettersi il lusso di sbeffeggiare la zuccherosità delle favole e dei personaggi disneyani (Sherk usa un libro di fiabe come carta igienica, Fiona canta come Biancaneve facendo esplodere un uccellino…ma gli esempi potrebbero essere decine” (“Il Mereghetti. Dizionario dei film”, pubblicazione annuale).
Incipit della sinossi affidata al tirannico nano Lord Farquaad, che vuole eliminare dai suoi feudi le creature fiabesche (Tre Porcellini, Pinocchio, il Lupo, l’Omino Biscottino, ecc…), sicché Shrek è costretto ad intervenire per salvaguardare la sua solitaria privacy liberando dalla torre in cui è rinchiusa la principessa Fiona (di cui inevitabilmente si innamorerà), che il Lord nano vuole sposare per diventare re. Compirà l’impresa (salvando la principessa assumendo i panni d’un inconsueto principe azzurro) non in solitaria, bensì in compagnia del personaggio più divertente e ciarliero della saga: il sagace e logorroico asino Ciuchino (altro stereotipo infranto), dotato del dono della parola
“Shrek” è tratto un libro per bambini di William Steig, i cui diritti erano stati acquistati dal fondatore della Dream Work Steven Spielberg ed è realizzato con una strabiliante computer animation che allora cominciava ad avviare le sue fortune, rendendo l’opera incredibilmente realistica.
Blasonato dalle voci di attori popolarissimi come Eddie Murphy e Cameron Diaz, con la regia affidata alla coppia formata da Andrew Adamson e Vicky Jenson, che saranno i primi ad essere sbalorditi dal clamoroso successo (“Essere assegnati a Shrek – avrebbe commentato da Jenson – sembrava come essere mandati in Siberia”), il film – sceneggiato proprio per catturare l’attenzione del pubblico dai sei agli ottanta anni – piacque in pratica a tutti, dilatando enormemente la platea mondiale. Perfino la cover dei Monkees “I’m a Believer” divenne in breve una hit, mentre l’irrefrenabile spadaccino Gatto con gli stivali, prima nemico e poi complice dell’orco puzzone e scorreggione, aiutato dal clamoroso successo di pubblico conquisterà uno spin-off come spavaldo protagonista d’un suo film (è considerato uno dei migliori personaggi dei cartoon di tutti i tempi)
Ma le fortune di Shrek non sembrano affatto tramontate (il primo dei sequel superò addirittura l’incasso dell’originale) se, proprio nella ricorrenza del ventennale, si sta preparando il sesto episodio, spasmodicamente atteso da milioni di fans, probabilmente nelle sale entro l’anno.