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Serve fare il punto sulla questione fiscale nel nostro Paese. Cambiando metodo. È necessario coinvolgere i cittadini e le imprese, altrimenti sarà una continua lotta fra l’esigenza del recupero da parte dell’Erario delle somme non pagate o evase e la sopravvivenza stessa del sistema produttivo Italiano. Un vero e proprio tavolo di pacificazione fra contribuenti e Agenzia delle entrate, dove si individuino in maniera precisa i termini della sostenibilità dell’imposizione fiscale per imprese e cittadini e si vari un piano agevolato di rientro dei debiti tributari arretrati”. La proposta arriva da Confedercontribuenti e non potremmo esser più d’accordo: occorre rimaneggiare la materia, permettere agli imprenditori di sedere al tavolo da cui emergerà il nuovo volto dell’Agenzia delle entrate, perché di un nuovo volto c’è bisogno e questa è una delle cose su cui il Paese sembra vederla uguale da Nord a Sud. La frattura tra Stato e cittadini che Equitalia ha determinato non è roba sanabile, non in una manciata di anni. Gli evasori crescono, nonostante le campagne pubblicitarie pagate fior di quattrini, e il perché risiede in almeno un paio di fattori: – la pressione fiscale ha raggiunto livelli intollerabili; – chi per negligenza o errori non è in pari con i versamenti delle imposte ha paura dell’autodenuncia, il terrore delle ganasce vince sulla voglia di essere in regola; – in Italia, come nel mondo, esistono i disonesti; – molti italiani, specie al Nord, non sono in grado di pagare quanto dovuto e rateizzazioni e misure di sostegno non vengono contemplate, non come dovrebbe essere. Allora che si fa? Si rivede tutto, scavalcando la cieca burocrazia, riformando il Paese e ripartendo dalla logica. Indispensabile. Dunque appoggiamo, con convinzione, la proposta della Confederazione, sottolineando una lista di desiderata che speriamo siamo dettino le linee del dibattito. Bisogna radere al suolo quel che già esiste, perlomeno su piano teorico. L’attuale sistema tributario è stato appiattito sull’idea che sia il cittadino (o l’impresa) a dover dimostrare di non essere un bandito. Questo è uno dei molti possibili esempi di un pregiudizio che frantuma il rapporto Stato-cittadini. Abbattere le consuetudini, ripianare i rapporti, riscrivere un patto basato sulla realtà, a più voci è la priorità. “Un “patto” per sconfiggere l’evasione fiscale e per facilitare chi paga, di fronte alla grave situazione economica che vive il Paese. Bisogna evitare che la “questione fiscale” alimenti quelle tendenze anti Stato che rischiano di allontanare sempre di più i cittadini dalle istituzioni e portano le imprese a emigrare verso nazioni con sistemi fiscali meno costosi e con regole più’ semplici”. La guerra va fermata, lo chiede il presidente Carmelo Finocchiaro per primo, rivolgendosi direttamente ad Attilio Befera (che qui è andato in cortocircuito). Allora concordare vie di uscita, parlare della possibilità di compensare, per non leggere più di aziende che dallo Stato aspettano migliaia e migliaia di euro ma tu che stai fallendo per colpa di Roma, prima paghi Roma e poi ne riparliamo. La riforma della giustizia tributaria è un’esigenza, un obbligo che non può essere scavalcato. Farlo si tradurrebbe nel condannare a morte il Nord, leggasi anche la Nazione. E “la semplificazione normativa, per la determinazione del reddito in maniera analitica, per una vera progressività delle imposte, per una giusta tassazione delle rendite finanziarie e patrimoniali, per l’estensione del tutoraggio per tutti i contribuenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, sono alcune delle questioni d’affrontare per tutelare chi produce e lavora”. Amen. Siamo con Finocchiaro. A lui bisogna rispondere perché bisogna rispondere agli italiani.


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