di Fausto Fareri
Un romanzo di Alvaro ha sempre una qualità, la parola che stupisce per la sua plasticità. Per anni immeritatamente confinato nel suo regionalismo – “Gente in Aspromonte” la sua fatica più conosciuta – questo intellettuale “engagé” – tradotto in Francia, come Aniante, Ercole Patti ed altri scrittori esplosi a cavallo degli anni Trenta del Novecento visse un orizzonte di freschezza creativa che la dittatura non spense, anzi acuì.
Nel best-seller “L’uomo è forte” (Bompiani, Milano, 1938), sin dalla sua prima pubblicazione, gli echi dei totalitarismi si leggono tutti con il dibattito pubblico, già meritoriamente aperto negli anni Venti da Amendola e dal suo martirio, che l’uomo Alvaro fa suo, con un occhio che certo non disdegna atmosfere tipiche anche del cinema di quegli anni, tra i film francesi di maestri come Clair e Carné, in cui un eroe si scontra con una società sempre più disumana.
La trama si svolge sul ritorno di un figliol prodigo nel suo paese, l’Ing. Dale, in una nazione che ha superato le crisi borghesi e si avvia dopo la vittoria dei Partigiani ad una struttura sociale più efficiente e coesa, in cui il popolo acquista nuova sobrietà nell’arte e sperimenta la crescita civile uniforme. Il ritorno di questo esule è mosso anche dalla molla della seducente Barbara, a cui lo lega un’attrazione struggente, che man mano si ridimensiona, allorquando nelle varie cadenze di confronti, ricerca di un inserimento lavorativo, nuove gerarchie e delazioni, l’uomo tranquillo scopre l’altra faccia del “Nuovo Ordine” che crea quella alienazione che tanta letteratura porta al centro del dramma del Novecento.
Omologazione, sconfitta dell’umano, paradosso del conflitto e dell’inquisizione, censura, trovano una lettura quasi crepuscolare in Alvaro, un flusso di coscienza che ha l’andatura dell’incubo come in un film espressionista e mai si materializza in un sogno di libertà.
Strumento di questo Fato, nella fuga dopo l’omicidio del Direttore, creduto suo oppositore, ma in fondo vittima del Sistema, in un gioco di piani psicologici la qualità della lettura si stempera nell’angoscia per l’odissea di questo uomo apparentemente saldo, dubbioso, senza fede, sconfitto dalla delazione della “sua“ Barbara per conservare la sua riconoscibilità sociale e reputazione agli occhi dell’Inquisitore. L’uomo che passa all’atto più violento per fuggire… “Non poteva uscire: vibrava tutto ancora di quella violenza, come se la macchina che aveva abbattuto l’uomo la avesse staccata da lui stesso, forse dal suo cuore che gli sfuggiva ancora in avanti”…
Rileggerlo per comprendere che l’irrazionale è in noi, come forza primordiale che solo una tradizione di compassione può stemperare, in questa lucida follia dell’ossessione di controllo collettivo, come solo un Potere subdolo e pervasivo può miscelare ad una propaganda. Essere intellettuali e scetticamente rincorrere un orizzonte di distacco per una critica forte innanzitutto ai propri fantasmi interiori.