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Quanto vale la tua libertà? Storia di un ideale sopravvissuto al compromesso

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Di Daiana De Luca (Responsabile Comunicazione Confedercontribuenti)


 

Ho sempre creduto che le date che ti hanno segnato in un modo o nell’altro, per questo o quel motivo, non necessariamente devono essere ricordate nel loro consueto anniversario per riuscire a suscitare dentro di te la voglia di non dimenticare… Per questo, ad un mese esatto dal XXVIII anniversario dalla Strage di via d’Amelio, il mio personale ricordo di quel pomeriggio, vuole diventare il modo più semplice e diretto per sottolineare che  la “Mafia”, di cui spesso si tende a banalizzarne o estremizzarne il concetto , in fondo altro non  è che”una montagna di merda”.

 

Che l’estate del 92 si presentasse come una stagione macchiata di sangue, appariva già chiaro quando quel 23 Maggio alle 17.58  la Mafia decideva di riscrivere la storia della nostra silenziosa Sicilia. A sette anni non è facile capire cosa sia davvero il “bene” ed il “male”, al massimo ci si limita a scrivere alla lavagna, quando la maestra non c’è, la lista dei buoni e dei cattivi. Così pensi che al di là di quel bene e di quel male niente ti possa turbare.

L’edizione straordinaria del TG5 si prese tutta la mia attenzione di bambina che, amava giocare nel quartiere sotto gli occhi vigili della propria famiglia. Ricordo che quel pomeriggio mi incollai davanti alla televisione e lì restai fino a tarda sera. Fu quella la prima volta in cui sentii parlare di Mafia. Immagini di morte ed inaudita violenza, immagini di devastazione e disperazione passavano davanti ai miei occhi e venivano fotografate nella mia mente. Lì sarebbero rimaste, per sempre. Mia madre sostiene che il mio progetto ambizioso di diventare Magistrato sia iniziato allora. Incominciai, a seguire i telegiornali ed i vari programmi di cronaca con un interesse che poi non mi ha più abbandonato; seguii in diretta il funerale del Dott. Falcone, della Dott.ssa Morvillo e degli agenti della scorta che avevano perso la vita nell’adempimento di un dovere che era anche morale: quello verso lo Stato, non solo inteso come un insieme di Istituzioni. Ricordo una folla commossa fatta, più che da politici  dall’aria contrita che mi infastidiva già al tempo, da giovani con occhi lucidi e una voglia di riscatto sociale che oggi posso dire appartenere anche a me.

I giorni passavano veloci e ricordo, in particolare, un approfondimento giornalistico nel quale venne commentata questa frase: “ La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità” (Giudice Paolo Borsellino).

Devo ammettere che ogni tanto rivedo le immagini di quella fiaccolata palermitana organizzata dal Dott. Borsellino in memoria del suo amico Giovanni  ed ancora oggi mi commuovo per la presenza di tutti quei ragazzi uniti dal comune sentire, in assoluto silenzio ma soprattutto in ascolto. Il 19 Luglio del 1992 era un’afosa domenica di mezza estate. Solitamente le domeniche d’estate erano tutte un po’ uguali. Ero stata al mare con i miei genitori; di ritorno per pranzo, il pomeriggio lo passavamo in completo relax, a casa, noi tre. Una nuova Edizione Straordinaria interrompeva il palinsesto ed anche il resto dei nostri programmi. Il messaggio era chiaro: la Mafia aveva ammazzato anche il Dott. Borsellino e la sua scorta, lasciando vivo solo uno degli agenti, a meno di due mesi di distanza dall’agguato al Giudice Falcone.

Cosa Nostra, governata allora dai Corleonesi, lanciava con spavalderia un nuovo e gravissimo monito alle istituzioni, e lo faceva con la più vile delle soluzioni: l’eliminazione  fisica dei due Giudici simbolo dell’antimafia. Piombai, per la seconda volta nel giro di poco tempo, nel mio silenzio introspettivo. Osservavo e pensavo che alla fine il male, quello vero, è qualcosa di più serio dell’ingenuo dispetto di un bambino. Decisi negli anni di finalizzare tutto il mio percorso istruttivo verso il raggiungimento di uno scopo: “ Diventare come quei due signori”.

Imparai all’Università la definizione accademica della Mafia: “ Il termine Mafia è in genere attribuito a quel fenomeno di criminalità organizzata che muove le sue origini in Sicilia. La Mafia è un fenomeno antico e mutevole nel tempo. E’ un fenomeno che cerca di rendersi invisibile, che si nutre della paura, della compiacenza e della connivenza. E’ un fenomeno camaleontico e mimetico che si adatta alle specificità culturali e sociologiche in cui radicarsi”.  Da giovane ed entusiasta neo Dottoressa, figlia non di Avvocati, non di Magistrati ma di semplici e onesti operai, accettai di seguire un consiglio estraneo: iniziare immediatamente la pratica forense per diventare Avvocato, prima, e Magistrato, poi. Così accadde. Capii ben presto che quello che appare non è mai quello che realmente è. Capii quanto fosse difficile districarsi ed uscire indenne da un ambiente, quello Forense, che nulla paga e poco appaga se non il tuo ego, e giusto ogni tanto.

Credevo ancora nel valore del mio sogno ma capii che le difficoltà oggettive che si frapponevano tra me e lui erano tante e difficilmente superabili. Capii anche che non tutti nasciamo per diventare il Giovanni Falcone o il Paolo Borsellino della situazione, ma che tutti dentro di noi abbiamo il potenziale giusto per fare delle nostre buone idee una strada da seguire senza temere di perderci. Decisi che esercitare la professione forense non apparteneva, davvero, alle mie ambizioni ed ascoltai, allora, una frase che mi risuonava dentro come un dictat :“ C’è una differenza tra essere Avvocato e fare l’Avvocato”; ciononostante ricordo il giorno del conseguimento dell’abilitazione alla professione come una delle esperienze più emozionanti della mia vita.

Presi tutto il coraggio che avevo dentro di me per cambiare direzione e ricominciare tutto da capo: una specie di gavetta senza fine e di difficile prosecuzione. Non è facile per una giovane donna ricominciare da capo e non perdersi. Capita, poi, nel percorso di incontrare persone che fanno della loro inferiore condizione intellettuale ed intellettiva uno strumento di sfogo alla loro inutile frustrazione. E così capita, anche, di avere a che fare con chi usa il tuo essere umile come un’arma contro di te, per umiliarti fino a farti sentire quasi inutile. Capii allora che la Mafia è uno stato d’animo, uno stile di vita, una concezione della società oltre che un codice morale. La Mafia è un “modo di essere” che appartiene non solo a chi fa parte integrante di una determinata organizzazione criminale ma, ahimè, che attraversa l’intero tessuto sociale in modo trasversale. E’ li che ti guarda e prova a sopraffarti con ego ed arroganza. E’ li che si prende gioco delle tue paure e le usa come un’arma contro di te. Si nutre del silenzio, si nutre del favore ed anche della voglia naturale di ottenere “tutto e subito”. Si serve del ricatto, della sofferenza generando attorno a se ed a te indifferenza. Prova ad ammaliarti, a prospettarti soluzioni semplici. Vuole importi la sua personale strada da seguire ad un prezzo molto alto: la tua libertà.

Ed è li che mostri a te stesso quanto peso hanno le tue idee, quanto importanti siano i valori morali a cui sei stato educato e che ti hanno insegnato a vivere. Così sei tu a scegliere: puoi cedere al “compromesso morale” pagandolo con il prezzo caro della libertà o aspettare che la vita si mostri per quello che in fondo è, un mare immenso di ragioni inattese che all’improvviso ti fanno sentire viva. E allora non perdi l’abitudine di far valere le tue idee, i progetti onesti e quei sogni riposti gelosamente in un cassetto che all’occorrenza apri per ricordarti davvero chi sei.

“I mafiosi non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e Borsellino, il loro esempio e i valori da loro manifestati, sarebbero sopravvissuti, rafforzandosi oltre la loro morte”. È questa la strada che conduce al sogno…

 


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