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Pescatori detenuti in Libia, la protesta dei familiari: “Il governo ci ha abbandonato”

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Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)


Il silenzio delle istituzioni e l’assenza di risposte ha spinto i familiari dei 18 pescatori detenuti in Libia ad un gesto clamoroso. Incatenati, per un giorno ed una notte, in Piazza Montecitorio, di fronte l’aula della Camera, allo scopo di far sentire la propria voce e di tenere alta l’attenzione sulla vicenda.

I marittimi, come vi avevamo raccontato qualche settimana fa, sono stati arrestati dalle milizie del generale Haftar nella notte tra il 31 agosto e l’1 settembre, con l’accusa di ingresso e pesca senza autorizzazione nelle acque della Cirenaica. Un’accusa non dimostrata pienamente e dai contorni oscuri, che potrebbe presto sfociare in un processo. Secondo quanto si apprende il tribunale di Bengasi vorrebbe processare i nostri connazionali ad ottobre, e il timore più grande è quello di un procedimento farsa e di una condanna scontata. L’atteggiamento libico in queste settimane, d’altra parte, non è stato certo limpido e rassicurante: prima la richiesta di uno scambio di prigionieri con scafisti e trafficanti di esseri umani detenuti in Italia, poi la nuova accusa di traffico di sostanze stupefacenti contro i pescatori.

In tutto ciò fanno un rumore assordante il silenzio ed il basso profilo del governo e, in particolare, del Ministero degli Esteri. La denuncia dei familiari, da questo punto di vista, è chiarissima: “Mio figlio mi ha chiesto aiuto, mi ha detto che lì non possono restare. Io ho già perso in mare un figlio – racconta la madre di uno di loro – devono liberarli Siamo tutti disperati, avevamo fiducia nel governo, ma ci hanno tradito tutti, ci hanno abbandonato“. Un angosciante dramma quello che stanno vivendo i parenti, con lo spettro del processo in suolo libico sempre più vicino.

Nel frattempo, anziché intervenire in maniera risoluta, seppur per via diplomatica, la Farnesina non fa altro che sconsigliare alle marinerie italiane di pescare nelle acque in cui è avvenuto il fatto… Una scelta “pilatesca” che, ancora una volta, certifica la debolezza delle nostre istituzioni e la loro incapacità di azione strategica nel consesso internazionale.


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