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La storia infinita dell’Alitalia, da orgoglio italiano a zavorra di Stato

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di Antonino Gulisano

Sarà l’ultimo atto della storia infinita di fallimenti, incapacità gestionali e condizionamenti esterni: l’avvento delle compagnie aeree low cost, la concorrenza dell’alta velocità e l’attentato alle Torri Gemelle, con le conseguenti nuove norme sulla sicurezza.

Con l’accordo con l’Ue per l’avvio della nuova compagnia ITA nell’ambito del confronto sul dossier Alitalia, si è aperta – a quanto pare – una nuova fase. “Si è conclusa positivamente – ha annunciato il ministero dell’Economia – la discussione con la Commissione Europea sulla costituzione di Italia Trasporto Aereo (ITA). La nuova società sarà pienamente operativa a partire dal prossimo 15 ottobre, data in cui è previsto il decollo dei primi voli”.

Il ministero dello Sviluppo economico ha posto l’accento sull’impegno a tutelare i cittadini che hanno acquistato i biglietti e i lavoratori della compagnia. I lavoratori Alitalia che “potrebbero essere assunti nella nuova compagnia sono 2800 nel 2021 e 5750 nel 2022”, ha spiegato in una nota il Mise.

All’avvio, ITA (Italia Trasporto Aereo) opererà con una flotta di 52 aerei che crescerà nel 2022 fino a 78 aeromobili, con l’inizio dell’inserimento di apparecchi di nuova generazione. A fine 2025 la flotta salirà a 105 aerei, 81 dei quali di nuova generazione (il 77% della flotta) per ridurre significativamente l’impatto ambientale e ottimizzare efficienza e qualità dell’offerta. Lo prevede il piano industriale della società, in cui si conta nel 2021 un numero di dipendenti per gestire l’Aviation pari a 2.750/2.950, che salirà a fine piano (2025) a 5.550/5.700 persone. Previsto un nuovo contratto di lavoro per maggiore competitività e flessibilità.

Il Piano Industriale approvato dal Cda di ITA prevede un fatturato che nel 2025 raggiungerà i 3.329 milioni di euro, con un risultato economico (EBIT) di 209 milioni di euro e un pareggio operativo da realizzarsi entro il 3° trimestre del 2023. È quanto indica la società nel comunicato diffuso al termine del consiglio di amministrazione.

La nuova compagnia partirebbe dunque con una miniflotta di soli 52 aerei, senza prospettive sul lungo raggio. È inaccettabile che su 10.500 lavoratori Alitalia ne vengano assunti nella nuova compagnia, per il primo anno, solamente 2.750/2.950. Anche il brand messo a gara prefigurerebbe evidenti danni commerciali. “È un piano debole anche in prospettiva ricavi fino al 2025. Sono errori gravissimi che rendono inaccettabile questa impostazione”. Lo affermano in una nota Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl TA.

La storia di Alitalia merita una riflessione: da orgoglio italiano a zavorra dello Stato. Nel 1959 Alitalia raggiunse il traguardo dei 3 milioni di passeggeri trasportati. L’azienda negli anni ’60 visse un periodo di crescita vertiginosa. Nel 1969 era l’unica compagnia aerea in Europa a muoversi con aerei a reazione. Nel 1982 superò i 10 milioni di passeggeri trasportati. La compagnia aerea era diventata la terza d’Europa, dietro solo a Lufthansa e British Airways per numero di voli.

Alitalia era un orgoglio per la Penisola. Una compagnia aerea efficiente ed elegante, con uno dei migliori servizi a bordo. Delia Biagiotti disegnava le divise del personale negli anni ’60, negli anni ’90, invece, il compito passò a Giorgio Armani.

Poi, l’inizio del declino. Un insieme di fattori hanno inciso sull’inizio del declino di Alitalia: l’avvento delle compagnie aeree low cost, la concorrenza dell’alta velocità e l’attentato alle Torri Gemelle, con le conseguenti nuove norme sulla sicurezza. A questo vanno sommati gli errori interni all’azienda, in particolare la riduzione delle tratte intercontinentali e gli scarsi investimenti sull’innovazione.

Nel 1993 ebbe inizio un dialogo per la fusione con Air France ma il risultato non fu quello sperato. A causa del piano di taglio del personale, di 4.000 unità, i sindacati bloccarono la trattativa. Dopo essere stata per 50 anni un’azienda pubblica, nel 1996 Alitalia fu privatizzata. Il governo Prodi quotò in Borsa il 37% della compagnia. La privatizzazione non portò i benefici sperati e, perciò, si cercò di portare a termine una nuova fusione. Iniziarono, così, nel 1997 i dialoghi con la compagnia aerea olandese Klm. L’accordo prevedeva lo spostamento dell’hub da Roma Fiumicino a Milano Malpensa, potenziandolo in maniera consistente. Il 28 aprile del 2000 Klm, stanca di aspettare la troppo lenta trasformazione di Malpensa come hub, comunicò ad Alitalia l’interruzione delle trattative. Uscendo dall’accordo, Klm pagò una penale da 250 milioni di euro alla società italiana.

Alitalia era di nuovo in cerca di un nuovo partner. La compagnia tornò da Air France per una partnership. Entrò così a far parte di Skyteam, una delle principali alleanze aeree. Questo non risolse però i problemi di Alitalia, che nel 2006 puntò su una seconda privatizzazione. L’obiettivo era di cedere il 39% della società. Il governo scelse di procedere attraverso la procedura della gara d’appalto. Quando i concorrenti videro i bilanci di Alitalia, però, si ritirano tutti.

Una considerazione a parte meritano gli errori dettati dall’influenza politica. Nel 2006, dopo il fallimento della seconda privatizzazione, Air France era disposta a rilevare il 49,9% di Alitalia. L’accordo prevedeva un aumento di capitale da un miliardo, il ridimensionamento della flotta aerea ed il taglio 2.100 posti di lavoro. Tuttavia c’era l’ombra del veto da parte dello Stato. Infatti, nella campagna elettorale, Silvio Berlusconi aveva promesso di mantenere per Alitalia “l’italianità della compagnia”. Nel frattempo, a causa degli esuberi richiesti, i sindacati si opposero al piano d’acquisizione di Air France. Berlusconi divenne Presidente del Consiglio, così i francesi ad un passo dall’acquisizione furono tagliati fuori.

Nel 2009, dopo la defilazione di Air France, entrò in gioco la Cai (Compagnia Aerea Italiana), una holding di imprenditori italiani “i capitani coraggiosi” promossa dal governo Berlusconi. Il Premier realizzò quindi la sua promessa. Il piano di Alitalia Cai era quello di sviluppare il business sui voli nazionali, aumentandoli del 50% e tagliando 30 destinazioni internazionali. Si ridusse il numero di velivoli, che passarono da 175 a 109. Competere sulle brevi tratte era però una speranza anacronistica. Le compagnie aeree low cost ed i treni ad alta velocità mandarono in fumo i piani di Alitalia. I famosi “capitani coraggiosi” mostrarono soltanto il coraggio che viene dal lasciare gli utili ai privati e i debiti allo Stato.

A quel punto si registrà l’entrata in campo di Etihad. Nel 2011 la Cai chiuse il bilancio con 69 milioni di euro in perdita, meglio rispetto agli anni precedenti. Questo paradossale ottimismo durò poco: nel 2012 la nazione era in piena crisi. Alitalia subì il colpo perdendo oltre 600.000 euro al giorno. Il bilancio del 2012 si chiuse con 280 milioni in rosso. Nel 2013 Alitalia perse oltre 500 milioni.

La compagnia era per l’ennesima volta in cerca di un acquirente, questa volta si fece avanti Etihad. Nel 2014 si arrivò ad un accordo: nasceva la joint venture Alitalia Sai, con il 51% in mano alla compagnia del Medio Oriente. Etihad per il rilancio spese 565 milioni di euro. Il colosso arabo ridusse subito le tratte brevi, in quanto su queste dominava Ryanair e le altre low cost. Le nuove strategie porteranno le perdite di Alitalia sotto i 200 milioni nel 2015. Il CEO della società italiana era Luca Cordero di Montezemolo, grande “capitano coraggioso” di fallimenti. Il piano di rilancio industriale aveva fatto vedere una luce in fondo al tunnel. La speranza di un ritorno ai tempi prosperosi era viva.

Ma il punto d’arrivo fu l’amministrazione straordinaria. Nel 2016 le aspettative crollarono, Alitalia registrò una perdita di oltre 400 milioni di euro. Si optò per un salvataggio di Alitalia per mezzo dei soldi pubblici, con un investimento di circa 2 miliardi. Per approvare la misura si utilizzò un referendum. La vittoria del no al salvataggio fu schiacciante, con il 67% dei voti. Così il consiglio d’amministrazione di Alitalia prese due decisioni importanti. Furono tagliati fuori Etihad Airways e tutti i soci di minoranza dalla società e si passò ad un’amministrazione straordinaria in attesa di un nuovo acquirente. Il Mise erogò, a questo punto, un prestito ponte di 900.000 euro all’azienda per tirare avanti fino alla prossima vendita. Tale operazione, tuttavia, ha attirato diverse denunce rivolte all’Unione Europea, per aiuto di Stato illegittimo.

In conclusione, torniamo all’inizio della storia infinita. Una nuova mini società di Stato, ITA (Italia Trasporto Aereo), con un piano industriale che prefigurerebbe lo spezzatino aziendale, con nessuna certezza per le attività a terra di handling e di manutenzioni, con un piano industriale che prevede un pareggio operativo da realizzarsi entro il 3° trimestre del 2023. Ma non si indicano strategie operative, specie sulle tratte di lungo raggio e per un accordo sulle tratte brevi. Inoltre, non si indicano strategie di innovazione tecnologica di medio e lungo periodo.