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Ddl Pillon sul diritto di famiglia: passi indietro «in the name of the father»

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di Rosanna La Malfa


No, no, tranquilli: non è una recensione del famoso film interpretato da Daniel Day-Lewis, “In the name of the Father”, ambientato tra l’Irlanda e l’Inghilterra degli anni ’70, tormentate  da attentati terroristici dell’I.R.A.

È solo un titolo pensato così. Ve lo traduco: passi indietro «nel nome del padre». Potreste dirmi:“Perchè?”.

Ho cominciato da ieri a leggere il ddl Pillon (Simone Pillon è il nome del senatore leghista che si occuperà della riforma del diritto di famiglia). È fondato su uno spirito apprezzabile che tutela il principio di bigenitorialità.

Ma rimugino e cerco di capire cos’è che non mi piace.

Punto Uno.

Il disegno di legge parla di «mamma e papà» escludendo ovviamente le famiglie rainbow. Coerentemente con le dichiarazioni bigotte di questo governo che dei diritti civili in Italia (siamo fanalino di coda in Europa) in particolar modo per la tutela dei figli arcobaleno, se ne frega.

Che ci piaccia o no, che siamo d’accordo o no, la tutela dei diritti, come sancisce l’art. 3 della nostra Costituzione (È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana) è uguale per tutti senza alcuna differenza.

Punto Due.

Pillon propone la definitiva eliminazione del mantenimento e dell’attribuzione della casa. Pensiamoci. L’Italia non è proprio un paese altamente paritario per i compensi lavorativi fra uomini e donne. Un po’ indietro siamo, rispetto ad altri Stati Europei. Pertanto, un’applicazione rigida della legge, otterrebbe una situazione così (probabilmente per una buona parte dei casi): il minore vivrà in ambienti non omogenei o addirittura totalmente differenti, perché ogni genitore farà quel che potrà.

Punto Tre.

La proposta impone che ci sia una spartizione aritmetica del tempo in cui il bambino vivrà con la mamma e con il papà: metà con uno e metà con l’altro o quantomeno per un periodo non inferiore a 12 pernottamenti al mese. Tipo hotel. E non ci sono deroghe: va salvaguardata la bigenitorialità in qualunque caso. In realtà non si tiene conto della vita familiare condotta fino alla separazione (età dei bambini, condizione economica del genitore e perché no forse anche età dei nonni, luoghi di frequenza di scuole e attività ludico sportive, servizi annessi e connessi). Non si può pensare di stabilire a priori un modello unico per tutti pensando che un bambino sia un numero.

Punto Quattro.

Il disegno di legge prevede l’obbligatorietà della mediazione familiare. Forse al senatore manca proprio la logica. O forse no. Nel suo sito internet (è avvocato, sapete, mica architetto), fra le sue competenze, c’è proprio la mediazione familiare, ampiamente spiegata ed esposta.

La mediazione persegue una duplice finalità:

  1. Sostenere la coppia nell’affrontare e dirimere le controversie insorte.
  2. Favorire eventualmente forme di separazione consensuale, meno traumatiche per il nucleo familiare.”

È un istituzione ben diversa. I soggetti qui trattati sono gli adulti. Non è chiamata in causa la vita dei bambini.

La divisione matematica è impensabile, ad esempio, nei casi in cui uno dei genitori sia violento. L’idea, quindi, di una mediazione familiare forzata e obbligatoria non solo è errata e controindicata, ma è solamente un aggravio economico. Chi ne trae giovamento? I centri di mediazione privati.

Inoltre nel suo sito, cita: “È in corso di approvazione una modifica al codice civile che conferirà grande rilievo all’attività di mediazione nel corso dei procedimenti per la separazione dei coniugi”

Qual è la modifica? Il suo Ddl? Sbaglio oppure è conflitto di interessi? Ogni cosa scritta sul sito web è per sua natura promozionale. Scrive ancora:  In vista di ciò in molti Atenei italiani si stanno realizzando corsi di alta formazione (Master) finalizzati alla creazione del profilo di  mediatore familiare.

Oh, ecco. E finalmente super Pillon “de no antri” dimostra che fa parte del governo del Cambianiente (cit.).

Altre le cose che non vanno. Se la bigenitorialità, sommo punto da difendere, non viene soddisfatta, il giudice può:

  • obbligare che il minore venga collocato in una casa famiglia;
  • togliere il bambino all’affidatario (solitamente la mamma) per assegnarlo a strutture esterne, se riscontra il condizionamento malevolo del minore da parte dell’affidatario verso l’altro genitore.

Tanti commi, tante parole. Si prolunga solo l’iter tortuoso, a volte cinico, del divorzio e si tutelano di più i padri.

Ma nella realtà dei fatti, se ci pensiamo bene, l’unico essere umano che ne paga le conseguenze è proprio il minore, che perde molti punti di riferimento, sicurezza, sensazione di essere amato sopra ogni cosa, stima per i genitori, serenità.

Oltre alle opinioni ed i valori sbandierati ai quattro venti sui cui non ammettono deroghe, io esigo sensibilità e lungimiranza, pretendo rispetto per anime in crescita e voglio che siano tutelate. È un dovere universale, della politica, della civiltà tutta…

Stiamo parlando di Bambini, del nostro stesso Futuro.