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Così McCarrick ingannò la Santa Sede

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AGI – Due anni di lavoro, 450 pagine di resoconto, decine di testimoni oculari ascoltati e migliaia di documenti esaminati. Conclusione: Theodore McCarrick, già cardinale, già vescovo di Newark e poi di Washington, uomo di rara influenza all’interno della Chiesa d’America e non solo di quella, è responsabile di abusi sessuali su minori e seminaristi.

Ma questo già lo si sapeva: sono quasi due anni che prima ha perso il cardinalato, poi è stato ridotto allo stato laicale. La novità contenuta nel Rapporto McCarrick, pubblicato oggi dal Vaticano con un ritardo sui tempi previsti di una dozzina di mesi causa complessità della materia e difficoltà legate alla pandemia, è semmai un’altra, e consiste nella risposta – implicita ma non troppo – alle accuse mosse da alcuni settori dissidenti della Chiesa allo stesso Papa Francesco.

Questi, è stato detto e scritto dai suoi accusatori, avrebbe agito tardi e male, di fatto divenendo corresponsabile almeno moralmente di quanto successo. E’ quanto accaduto prima che l’attuale Pontefice assurgesse al Soglio, pare invece suggerire il dossier, che svela la vera natura della vicenda.
Si guardi bene al passato più remoto sembra dire il Rapporto, di cui alcuni stralci sono stati anticipati alla stampa.

Primo punto: nessuna accusa nei confronti dell’allora porporato era stata mossa in modo formale, serio e circostanziato prima del 2017 (un anno prima della sua decadenza da cardinale per volere di Bergoglio). Al massimo voci ricorrenti, lettere anonime generiche e non circostanziate. Quando è stata mossa una accusa precisa il meccanismo si è messo in moto e in pochi mesi la responsabilità di McCarrick accertata, la sentenza emessa e la pena comminata.

Secondo: le varie tappe della carriera di McCarrick sono state segnate dai normali controlli che vengono eseguiti in loco prima di una nomina. Nessuno, tra il 1977 a quarant’anni dopo, aveva fornito informazioni che facessero insorgere difficoltà alle varie promozioni.

Quando Giovanni Paolo II si recò in visita negli Usa, soffermandosi nella Newark di cui McCarrick era vescovo, una ricognizione venne eseguita in via preventiva dall’allora cardinale di New York, O’Connor, senza che emergessero elementi ostativi alla tappa.

Poi però – e anche questa circostanza viene messa in evidenza – lo stesso O’Connor espresse per iscritto le sue perplessità di fronte all’ipotesi di nominare McCarrick titolare della sede di Washington, cosa che gli avrebbe permesso di accedere prima o poi al cardinalato. Era il 1999. O’Connor alla fine non venne ascoltato, nonostante i dubbi e le perplessità ai livelli più alti.

Giovanni Paolo II infatti dette disposizioni affinché una verifica venisse eseguita nel New Jersey, dove si trova Newark. Qui il Rapporto sembra puntare l’indice: tre dei quattro vescovi locali ascoltati nell’occasione riposero in maniera ora ritenuta deficitaria se non recalcitrante. Nonostante ciò, Wojtyla segue il suggerimento di chi gli sussurra di desistere dalla nomina: sono l’allora nunzio apostolico negli USA Gabriel Montalvo, e l’allora Prefetto della Congregazione per i vescovi Giovanni Battista Re.

Si noti il dettaglio, perché è nei dettagli che si esplicitano molte cose: oggi Re, su nomina di Francesco, è decano del Sacro Collegio Cardinalizio, mentre Monsignor Viganò (il grande accusatore di Bergoglio) sarebbe andato di lì a qualche anno a occupare proprio la nunziatura a Washington.

Un anno dopo la bocciatura, McCarrick scrive all’allora segretario particolare di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz. Giura e stragiura l’innocenza, riesce a convincere. Wojtyla lo rimette nella short list. Alla fine, lo nomina. Del resto erano solo voci: nessuna accusa era stata formalizzata, per non dire provata.

Segue un periodo di relativa calma, finquando – è il 2005 – si torna a parlare di abusi sessuali. Nelle Sacre Stanze ora c’è Benedetto XVI, che avvia i primi veri provvedimenti per contrastare la pedofilia nella Chiesa. Ratzinger chiede a McCarrick di rinunciare all’episcopato, cosa che lui fa. Viganò, si legge a questo punto, redige due memorandum sulla faccenda.

Lancia sì l’allarme, ma quando il suo diretto superiore Tarcisio Bertone, cardinale segretario di Stato, ne parla con Benedetto si conclude che piuttosto di un processo sarebbe bastato – viste anche le circostanze anagrafiche, l’essere McCarrick uscito da Washington e il fatto che non vi fosse nulla di comprovato – bastasse chiedere all’interessato di tenere un profilo basso e rinunciare a viaggi ed apparizioni in pubblico.

Questa volta McCarrick non ubbidisce. Non sono indicazioni cogenti, del resto, quelle che ha ricevuto, ma raccomandazioni. Così quando nel 2012 ancora Vigano’, che adesso occupa la nunziatura a Washington, riceve l’incarico di indagare per l’ennesima volta sul prelato riottoso spedisce a sua volta a Roma una relazione che ora si giudica insoddisfacente.

Al momento dell’elezione di Francesco, si sottolinea, McCarrick non era nemmeno in conclave: troppo anziano per parteciparvi. Non per essere sottoposto ad un vero processo canonico, cosa che accade quando arriva la prima vera accusa.

“Pubblichiamo il Rapporto con dolore per le ferite che la vicenda ha provocato alle vittime, ai loro familiari, alla Chiesa negli Stati Uniti, alla Chiesa Universale”, scrive in una dichiarazione, adesso, il segretario di Stato Pietro Parolin. “Tutte le procedure, compresa quella della nomina dei Vescovi, dipendono dall’impegno e dall’onestà delle persone interessate”, prosegue.

“Nessuna procedura, anche la più perfezionata, è esente da errori, perché coinvolge le coscienze e le decisioni di uomini e di donne. Ma il Rapporto avrà degli effetti anche in questo: nel rendere tutti coloro che sono coinvolti in tali scelte più consapevoli del peso delle proprie decisioni o delle omissioni”.

Ma soprattutto “guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato”. Sono parole di Bergoglio.

Vedi: Così McCarrick ingannò la Santa Sede
Fonte: cronaca agi


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