Antonella Di Bartolo, preside innovatrice “Costruire il futuro con il sorriso”


di Rosanna La Malfa

Antonella Di Bartolo, dirigente scolastica all’istituto Sperone-Pertini, da più di 6 anni. Si dedica ogni giorno ad abbattere la dispersione scolastica, in uno dei quartieri più difficili di Palermo, Brancaccio, che passa, con la sua dirigenza, dal 27,3 al 3 per cento. Decide di attuare una strategia per riportare i bambini tra i banchi di scuola, attraverso bellezza ed attività innovative, coesione ed interazione tra docenti e genitori, con tre semplici ingredienti: speranza, etica ed azione.

Con tutto lo staff scolastico mira a tre grandi obiettivi: 1) sfatare il luogo comune che chi vive nelle periferie non può aspirare a grandi traguardi, 2) creare una scuola scuola viva che genera indipendenza e libertà di scelta, 3) fornire le basi per il futuro dei giovani.

La incontro dopo due anni da una nostra prima intervista, “Antonella – le chiedo – è cambiata oggi, nel 2021, in piena pandemia, la tua idea della scuola”?

Proprio così, sono passati poco più di due anni, dal settembre 2018: anni intensissimi, se possibile ancora più ricchi dei precedenti. Sicuramente più consapevoli. Quando ci siamo conosciute, eravamo ancora in quella fase “sospesa”, di trasformazione, in cui ogni nuovo traguardo ci sorprendeva e ci ubriacava. Se guardo indietro a quel tempo, mi sembra di vedere una ‘scuola adolescente’: un passato da cui voleva affrancarsi in fretta, il desiderio di osare, le prime conferme e tante incertezze.

Il nostro percorso, come scuola che è sempre più diventata comunità, si è via via fatto più sicuro, più netto, e maggiormente consapevole. L’alleanza con i bambini e i ragazzi, con le loro famiglie e con il quartiere tutto si è rafforzata, si è fatta un’unica voce, e abbiamo posto l’asticella sempre più in alto, certi che a saltare saremmo stati tutti insieme”.

Sei pro e contro la DaD, può diventare una situazione percorribile anche in tempi di normalità”?

La didattica a distanza è stata una delle misure emergenziali e necessarie per contrastare la pandemia, ma non è stata scuola.

La scuola è un crocevia di relazioni, di dialoghi che trasformano vicendevolmente, luogo di riconoscimento e di emancipazione verso l’autonomia e la libertà. La scuola è partecipazione, contesto di didattica in movimento (non in remoto o a distanza), ricerca, innovazione, in cui i processi di apprendimento aprono finestre sul mondo.

La didattica a distanza, pur pensata, progettata, agita con le migliori intenzioni, non è arrivata a tutti, e non allo stesso modo; perché non tutte le famiglie possedevano dispositivi adeguati e nel numero sufficiente a supportare due, tre figli oltre che le esigenze dei genitori, o la connettività non bastava, o semplicemente bisognava condividere in quattro, cinque persone un unico ambiente, magari non particolarmente accogliente.

L’interruzione prolungata delle attività didattiche in presenza sta causando e porterà a profonde disuguaglianze e nuove emergenze educative e sociali. Ovviamente non tutto è da archiviare e dimenticare: la DAD ha portato a esplorare ulteriori linguaggi e strumenti, di lavoro e di didattica. Ha perfino aiutato ad esprimersi i più timidi che, protetti da uno schermo, hanno fatto meno fatica a partecipare attivamente. Di certo sarà una modalità da tenere in considerazione in tutte quelle situazioni in cui la frequenza non è possibile”.

Come hai vissuto le sfide  di questo periodo, ci sono stati momenti difficili”?

La pandemia non ha avuto conseguenze uguali dappertutto. Quella che nelle regioni del nord Italia è stata, almeno inizialmente, un’emergenza sanitaria eccezionalmente grave, nelle regioni del sud ha avuto da subito i connotati di una emergenza economica e sociale. Il lockdown ha chiuso i rubinetti del lavoro nero e interrotto bruscamente i rapporti di lavoro non tutelati da contratto, e così molte famiglie si sono trovate in gravissime difficoltà economiche.

Ci siamo chiesti cosa potevamo fare, concretamente. Abbiamo aiutato tanti genitori a usufruire delle iniziative di “solidarietà digitale” promosse dal governo, per avere una connessione a internet illimitata e gratuita, almeno nei mesi di totale confinamento a casa. Abbiamo cercato di stare vicini e di aiutare come potevamo le famiglie, anche attivando uno sportello di supporto psicologico e abbiamo partecipato a un bando a valere sui fondi europei per l’acquisto di libri di testo per la media da dare in comodato d’uso.

Mi ha colpito l’estrema fragilità del tessuto sociale in cui operiamo; chi vive nell’agio fa fatica ad immedesimarsi delle difficoltà economiche altrui e nella disperazione che ne può derivare. Io l’ho intuita diverse volte, in questo anno, e questo pensiero ricorrente mi ha ulteriormente cambiata intimamente, mi ha fatto riflettere su quanto sia iniqua la nostra società e di quanta –troppa- sperequazione ci sia”.

Molto spesso si sente l’espressione ‘ah, i giovani d’oggi…’, con tono di sconforto. Pensi che i giovani d’oggi siano peggiori di quelli di ieri”?

Tutte le generalizzazioni sono inopportune. Inoltre, spesso si tende a idealizzare il passato, ricordando solo gli aspetti positivi.

E poi, chi si scaglia contro “i giovani d’oggi” probabilmente dovrebbe fare un po’ di autocritica, perché le nuove generazioni sono sicuramente condizionate nel bene e nel male da coloro che le hanno precedute. Siamo stati buoni o cattivi maestri? Buoni o cattivi genitori?

Io posso riportare semplicemente la mia personale esperienza di insegnante, oltre che di madre di due ragazzi meravigliosi (Roberta, 19 anni, e Giorgio, 17) e preside: alcuni momenti vissuti con le mie alunne e i miei alunni sono tra i più felici della mia vita. Quanta pienezza, quanto entusiasmo, quanta gioia nei loro sguardi e nel modo in cui si approcciavano alla vita adulta.

I ragazzi, oggi, più di altri stanno soffrendo per la socialità perduta. Noi adulti tendiamo a non considerare l’urlo silenzioso ma non meno doloroso che proviene dalle loro stanze con le porte chiuse. Semplicemente, e delicatamente, forse dovremmo fare noi adulti uno sforzo ulteriore di ascolto e di reale vicinanza nei loro confronti.

Sono tesori, talvolta chiusi negli scrigni. Chi non ha fiducia nei giovani non crede nel futuro. Appartengo convintamente a un’altra fazione, a chi fa il tifo per le ragazze e i ragazzi”.

La politica, oggi, quanto può fare per la comunità scolastica, per il futuro dei nostri ragazzi”?

La politica ha oggi più che mai la possibilità -ma anche la responsabilità- di disegnare una prospettiva di senso che miri a condurre il Paese fuori dall’emergenza, e superare la stagnazione economica in cui viviamo ormai da decenni. Partendo da questi presupposti, diventa fondamentale e strategico puntare sulla funzione di crescita e di sviluppo costituita dall’istruzione, volgendo le sollecitazioni pedagogiche in misure di sistema, immediatamente e stabilmente operative. Obiettivo: creare coesione sociale, competenze e capacità di futuro.

Tanti impegni per il bene della comunità. Cosa ti riserva il futuro e cosa donerai alla tua Palermo”?

La vita è un’avventura meravigliosa, che spesso ci sorprende; impossibile prevederla. L’unica cosa che sinceramente mi sento di dire è che io da un po’ di tempo ormai ho scoperto in me una vocazione laica di servizio alla collettività. In questa dimensione di servizio mi “riconosco” appieno.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di fine 2020 alla nazione ha detto che quello che stiamo vivendo “è tempo di costruttori”. Io ho già la tuta da lavoro, l’elmetto e gli scarponi…”

Nel 2019 in Campidoglio è risuonato il tuo nome quale vincitrice del Premio Tullio De Mauro come Dirigente Innovatore. Confidaci qualche idea”.

Intanto ti confido una cosa molto privata, intima. Io non sono facile alla commozione. Affatto. I miei figli mi prendono sempre un po’ in giro per questo.

Eppure, il 13 dicembre del 2019, quando in Campidoglio è risuonato il mio nome quale vincitrice del Premio Tullio De Mauro come Dirigente Innovatore, il cuore è andato a mille e, nell’ascoltare la generosissima motivazione del Premio, non sono riuscita a trattenere le lacrime.

Un riconoscimento che immediatamente –e oggi di nuovo, con ancora più convinzione- condivido con l’intera comunità scolastica e territoriale dell’ICS “Sperone-Pertini”, con i nostri bambini e ragazzi, le famiglie sempre presenti e alleate, la DSGA, gli assistenti amministrativi, i collaboratori scolastici, il personale non docente, i meravigliosi insegnanti che ogni giorno con professionalità e amore si impegnano per una scuola più inclusiva e di qualità, unica strada per una società dell’oggi e del domani equa e libera. Un grazie particolare desidero rivolgerlo a Kelia Modica, la mia “socia”, carissima e insostituibile collaboratrice vicaria e compagna di imprese.

Essendo poi il Global Junior Challenge un evento biennale, abbiamo tutti ancora un anno per “goderci” il titolo e onorarlo ogni giorno per dare tutto il meglio possibile alle nostre bambine e ai nostri bambini, al territorio, all’intera comunità. Abbiamo tanti progetti già in cantiere, tutti entusiasmanti, che profumano di futuro”.

Chiudiamo questa intervista donando un messaggio positivo e di speranza…”

Sorrido pensando alla “tenacia visionaria” che mi hanno attribuito. Forse è vero, sono un po’ “hungry and foolish”, come disse Steve Jobs nel suo meraviglioso, celebre discorso all’Università di Stanford il 12 giugno 2015. Ma c’è anche un’altra citazione che mi sta particolarmente a cuore, ed è una frase di Adriano Olivetti: “il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare”. Dobbiamo avere tutti insieme la determinazione di passare dal sogno, al proposito, al progetto, all’azione e alla realizzazione.

Un’utopia concreta fatta di equità, sviluppo e sostenibilità ambientale e sociale. Il futuro è da sognare e da costruire tutte e tutti insieme. Con coraggio, con fiducia, e con il sorriso”.