Type to search

Yosano Akiko (Ho Sho)

Share

 

fonte@enciclopediadelledonne di Irene Starace

Poeta, romanziera, saggista, studiosa di letteratura classica, prima traduttrice della Storia di Genji in giapponese moderno, insegnante, femminista… Yosano Akiko è una delle figure femminili più poliedriche del Giappone moderno.

Nasce a Sakai, vicino Osaka, da una famiglia di commercianti. Il suo destino sembrava già scritto, ma la forza del suo talento e della sua volontà le permisero di imprimergli una direzione nuova. Dopo aver lavorato tutto il giorno nel negozio della famiglia, leggeva i classici della letteratura giapponese, tra cui il Genji, imparando da Murasaki e dalle altre scrittrici Heian che una donna poteva essere libera e indipendente. Così ricorda le sue letture giovanili:

A partire dai dodici anni mi appassionai alle opere storiche e letterarie, in cui mi immergevo di nascosto dai miei familiari… Nonostante la realtà sgradevole che affrontavo, guardavo al mio futuro in termini molto diversi, come a qualcosa di bello e di ideale… A volte mi sorridevo, paragonandomi a vari personaggi femminili della Storia di Genji.

I suoi primi esperimenti poetici nel genere del tanka1 risalgono alla sua adolescenza. Fu così che entrò in contatto con le riviste locali di poesia, e successivamente con “Myōjō” (“La stella del mattino”), fondata da Yosano Tekkan (1873-1935), un giovane poeta con l’ambizione di rinnovare la poesia dell’epoca. Si incontrarono di persona il 4 agosto 1900 e la giovane poeta se ne innamorò a prima vista. Si trovò subito, tuttavia, in una situazione difficile, sia perché Tekkan era già sposato e corteggiava anche altre donne, sia per l’opposizione della sua famiglia. Tuttavia, la relazione andò avanti e l’anno successivo Akiko fuggì di casa e raggiunse Tekkan a Tōkyō. Si sposarono in ottobre, dopo la separazione di Tekkan dalla moglie. Negli anni successivi anche Akiko conobbe il dolore di essere tradita, ma non arrivò a rompere il suo matrimonio. Due mesi prima era stata pubblicata la sua prima raccolta di tanka, Midaregami (Capelli sparsi), il cui tono appassionato suscitò reazioni estreme e opposte, entusiaste e feroci.

Da allora, la vita di Akiko fu frenetica: all’attività letteraria si aggiunse il peso di ben undici maternità, non sempre desiderate. I suoi parti furono vissuti con la paura di morire, come lei stessa scrisse nella poesia Daiichi no jintsū (Il primo dolore del parto, 1915) e in alcuni scritti in prosa. Fu la prima scrittrice giapponese (e per molti anni anche l’unica) a parlare della maternità al di fuori della retorica, descrivendo le sofferenze fisiche e l’ambivalenza emotiva che porta con sé.

La sua attività di scrittrice abbracciò vari generi: in primo luogo la poesia (tanka e versi liberi), poi il saggio. Cominciò a praticare questo genere a partire dal 1909 e da allora pubblicò quindici raccolte, in cui riunì gli articoli e i contributi a giornali e riviste che considerava più significativi. Il tema principale della sua produzione saggistica è la condizione femminile, esaminata in rapporto a tutti gli ambiti della vita individuale e sociale: la letteratura, l’economia, il lavoro, la sessualità, la politica, eccetera. Il femminismo di Akiko fu soprattutto individualistico e legato a ideali umanistici piuttosto che un piano d’azione politico. La sua militanza a favore delle donne si espresse soprattutto nella scrittura.

Tra i suoi saggi ci sono anche vari studi sulla letteratura classica, che accompagnano le sue traduzioni di testi classici in giapponese moderno. Tra questi lavori spiccano quelli sulla Storia di Genji: lo tradusse ben due volte e la prima versione, Shin’yaku Genji monogatari (Nuova traduzione della Storia di Genji, 1912-1913) fu anche la prima traduzione in giapponese moderno del capolavoro di Murasaki. Una seconda, Shinshin’yaku Genji monogatari (Nuovissima traduzione della Storia di Genji) uscì tra il 1938 e il 1939. La differenza rispetto alla prima è che parti e capitoli estremamente sintetizzati nella prima edizione, se non addirittura omessi, nella seconda furono tradotti integralmente. In un interessante studio sul rapporto di Akiko con il Genji, si osserva che alcune delle parti omesse o riassunte nella prima traduzione sono quelle in cui si percepisce di più l’influenza dell’oralità nella narrazione, mentre altre sono quelle in cui Genji appare più lontano dal modello di uomo ideale. In un romanzo scritto nello stesso periodo, Akarumi e (Verso la luce, 1913) Akiko parla di una donna che crede di essere tradita dal marito, ma alla fine scopre che non era vero e che tutto era frutto della sua immaginazione, stravolta dalla gelosia. Il romanzo è probabilmente autobiografico e aiuta a capire che i suoi problemi matrimoniali influenzarono anche la prima traduzione del Genji. Nonostante questo, il suo lavoro conobbe un grande successo, anche di critica2.

Al Genji Akiko dedicò anche un monumentale commento, purtroppo perduto in uno degli incendi che seguirono al terribile terremoto del 1 settembre 1923, e alcuni saggi. Tra questi, il più influente fu Murasaki Shikibu shinkō (Nuove riflessioni su Murasaki Shikibu, 1928). Tra gli scritti sul Genji che ci sono rimasti, l’osservazione che si rivelò più feconda per gli studi successivi fu l’ipotesi che l’opera fosse stata scritta da due persone. Quest’idea non era nuova, ma in passato era stata frutto della misoginia degli studiosi confuciani, infastiditi dall’idea che il capolavoro della letteratura giapponese fosse opera di una donna. Akiko, invece, la motiva con i cambiamenti di contenuto, di stile, di ambientazione che si possono osservare a partire dai capitoli Wakana (Germogli), in cui Genji viene tradito da sua moglie e intraprende il proprio declino. Akiko attribuisce la seconda parte alla figlia di Murasaki, anche lei dama di corte e poeta di talento. Le sue osservazioni aprirono la strada agli studi sulla ripartizione del Genji.

Akiko ebbe modo di trasmettere le sue conoscenze di letteratura classica anche attraverso l’insegnamento: nel 1921 l’amico Nishimura Isaku aprì una scuola, il Bunkagakuin (Scuola di cultura), ispirata agli ideali umanistici che lei condivideva, e le chiese la sua collaborazione. Akiko accettò e insegnò lì letteratura giapponese e scrittura creativa fino al 1940, quando un ictus pose fine a tutte le sue attività. Morì due anni dopo.

La sua vita fu ispirata da princìpi di libertà e giustizia, e nei suoi scritti sulla maternità contrappose la “Via delle donne” (fudō) alla “Via dei guerrieri” (bushidō), considerando quest’ultima barbarica. Eppure nel 1914 scrisse una poesia, Sensō (Guerra), in cui parlava della guerra come di una forza purificatrice. Negli anni successivi le sue idee cominciarono a manifestare delle contraddizioni, ma la svolta decisiva verso un appoggio esplicito al militarismo e all’imperialismo del suo Paese avvenne nel 1928, con la pubblicazione del diario di viaggio Manmōyūki (Viaggio in Manciuria e Mongolia), un esplicito elogio del colonialismo giapponese. In quest’entusiasmo Akiko fu tutt’altro che un’eccezione: tutto il movimento femminista giapponese accettò le imposizioni di stampo fascista del governo, nonostante rappresentassero la negazione di qualsiasi possibilità di progresso per le donne. Non si trattò solo della repressione delle voci dissenzienti: molte donne, anche femministe, cedettero al fascino del mito dell’Impero. Questa contraddizione è ancora terribilmente attuale: quante donne occidentali si sentono superiori alle donne del resto del mondo? Fino a che punto il movimento femminista occidentale ha superato il razzismo e le tentazioni imperialistiche?

La storia di Yosano Akiko è una storia di lotta, di emancipazione (almeno parziale, dato che non riuscì a rompere un matrimonio problematico), di unione tra letteratura e vita, di sincerità, ma anche della difficoltà a liberarsi dalla gabbia del nazionalismo.

Poesia breve, detto anche waka (“poesia giapponese”). È il genere poetico più antico del Giappone, composto da trentuno sillabe divise in cinque versi sullo schema metrico di 5-7-5-7-7.  ^

Gillian Gaye Rowley, Yosano Akiko and The tale of Genji, Ann Arbor, University of Michigan Press 2000, pp. 113-31.  ^