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Usa: i primi 100 giorni di Trump, tra successo e caos

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La Casa Bianca li definisce i “100 giorni più grandiosi della storia dei presidenti degli Stati Uniti”. Gli oppositori, i “peggiori degli ultimi settant’anni”. Per molti il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha portato solo caos. Domani il tycoon taglierà il traguardo dei primi cento giorni e su un punto tutti, base Maga e opposizione, sono d’accordo: non c’è mai stato un giorno uguale all’altro. E i media non si sono annoiati.
Trump, attraverso l’azione del proprio governo, ha mantenuto una serie di promesse fatte durante la campagna elettorale su immigrazione, dazi e guerra alla cultura dell’inclusione. Ma non tutto è andato come sperato. La guerra in Ucraina è ancora in corso nonostante il tycoon avesse promesso di farla finire ancora prima del suo ritorno alla Casa Bianca, mentre gli economisti hanno lanciato l’allarme sull’effetto al rialzo dei prezzi della sua guerra commerciale dichiarata al mondo. IMMIGRAZIONE: Trump ha sempre sostenuto che quello dell’immigrazione clandestina rappresentava il problema più grave da affrontare ed è stato uno dei temi che hanno garantito al tycoon la vittoria alle presidenziali di novembre contro la vicepresidente Democratica Kamala Harris. In questi cento giorni Trump ha dato il via a una serie di deportazioni, chiusura del confine, raid con arresti nelle città, fino al caso del salvadoregno Kilmar Abrego Garcia, residente in Maryland, sposato a una cittadina americana, e deportato in Salvador assieme a una serie di criminali, e tutto questo nonostante un’ordinanza del giudice che ne vietava l’espulsione. Fin dal primo giorno del suo ritorno alla Casa Bianca, Trump ha dichiarato l’”emergenza nazionale” al confine sud. Tra i primi atti, la chiusura dell’app che permetteva agli immigrati di avviarsi verso un processo di legalizzazione del loro status. Trump ha anche firmato un atto con cui ha dichiarato la fine del diritto alla cittadinanza per nascita per tutti quei figli di immigrati residenti negli Stati Uniti in modo illegale. Il caso è destinato a finire alla Corte Suprema a maggio. Con la firma del Laker Riley Act, il Presidente ha autorizzato la detenzione di immigrati illegali che hanno commesso reato. A marzo Trump ha firmato l’Alien Enemies Act con cui ha dichiarato che ogni membro della gang criminale Tren de Aragua, dai 14 anni in su, sarebbe stato “arrestato, incarcerato e deportato” senza processo. INFLAZIONE: Durante la campagna elettorale Trump aveva promesso che con il suo ritorno alla Casa Bianca i prezzi al consumo sarebbero “rapidamente scesi”. I dati pubblicati a marzo dal Bureau of Labor Statistics, l’informazione al momento più recente tra quelle disponibili, ha mostrato che l’inflazione dei beni di maggiore consumo – esclusi energia e generi alimentati – hanno cominciato a scendere, raggiungendo il loro minimo da marzo 2021. La media dei prezzi del carburante è scesa di 50 centesimi per gallone (corrispondente a quasi 3,8 litri) rispetto a un anno fa. Ma alcuni prezzi restano alti. Le uova, uno dei temi più discussi durante la campagna, continuano a costare molto, nonostante Trump abbia parlato di “riduzione del prezzo dell’87 per cento”. Non è così e basta farsi un giro tra i quotidiani conservatori o molto seguiti dalla base trumpiana, tipo il New York Post, per avere la conferma che anche tra i sostenitori del Presidente c’è delusione riguardo al costo delle uova. A pesare sull’inflazione futura potrebbero essere proprio quei dazi che rappresentano uno dei punti forti dei primi cento giorni della sua agenda politica. Gli economisti sono preoccupati. Il Dow Jones Industrial Average, l’indice dei trenta titoli industriali guida americani, ha perso 3 mila punti da quando Trump è tornato alla Casa Bianca.
DAZI: Durante la campagna il tycoon aveva detto molte volte che “dazi” era una delle parole più belle al mondo, ad anticipare la sua politica aggressiva. Una volta diventato presidente, Trump ha confermato che non bluffava: credeva davvero alla forza delle barriere commerciali. La Casa Bianca ha imposto prima i dazi a Canada, Messico e Cina poi, il 2 aprile, nel giorno passato alla storia come quello della “Liberazione d’America”, come aveva detto Trump, i dazi sono stati imposti a oltre settanta Paesi nel mondo. Il Presidente ha messo il 10 per cento su tutte le importazioni oltre a “dazi reciproci” a India, Giappone e Unione Europea. Con la Cina, in una drammatica escalation di dichiarazioni, Trump ha alzato al 145 per cento le “tariffe” commerciali sulle importazioni dalla Cina. Poi sono arrivate quelle ai prodotti farmaceutici, ma in mezzo a giorni convulsi fatti di ripensamenti, passi indietro, poi rilanci, l’annuncio di una pausa di novanta giorni per avviare i negoziati, e con Trump che ha confermato le barriere sulle importazioni di auto straniere ma non sui congegni tecnologici, tipo Apple, prodotti in Asia.
UCRAINA: La guerra avviata dalla Russia rappresenta al momento una delle sconfitte della diplomazia trumpiana, che puntava a raggiungere un cessate il fuoco in tempi rapidi. Non solo la guerra non è finita “nelle prime 24 ore” di presidenza, ma è rimasta dura e spietata, e questo nonostante Trump abbia parlato, e si sia scontrato come nella storica lite allo Studio Ovale a febbraio, con il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky. E nonostante Trump avesse parlato al telefono a lungo con il presidente russo Vladimir Putin. A marzo il leader ucraino aveva accettato l’ipotesi di un cessate il fuoco temporaneo, violato da Putin, che adesso ha proposto una tregua di tre giorni a maggio. Trump, poco disposto a farsi prendere in giro, ha minacciato di uscire dai negoziati. Questa settimana, ha dichiarato il segretario di Stato americano Marco Rubio, sarà a suo modo decisivo: “Il Presidente – ha detto domenica – deciderà se continuare a portare avanti i negoziati o no”. Questi, in teoria, saranno i giorni della “deadline” americana” e quelli che coincideranno con l’inizio dei secondi “cento giorni”. (AGI)
NWY/MAL