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Terzo Polo, passione triste

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di Massimo Recalcati

La logica tristemente infausta dei due galli in un pollaio è davvero sufficiente per spiegare quello che appare come il naufragio politico del progetto del cosiddetto Terzo Polo? È un fatto di esperienza: non sempre le separazioni affettive ci obbligano a distribuire in parti eguali la responsabilità del fallimento di una unione. A volte si constata che è una delle due parti a perseguire (coscientemente o inconsciamente) l’obbiettivo della divisione, mentre l’altra prova in tutti i modi a difendere la relazione dalla sua fine. È forse questo il caso della morte prematura del progetto di unione tra Azione e Italia viva promesso agli elettori nell’ultima campagna elettorale? Vi sarebbe allora qualcuno dei due più colpevole dell’altro? Qualcuno che ha maggiori responsabilità nell’aver reso impossibile un progetto politico atteso da diversi come una speranza di questo Paese?

È quello che insistono a raccontare in queste ore, con più o meno livore, i rappresentanti dei due schieramenti in conflitto. Non intendo entrare nel ginepraio psichico che queste domande spalancano a cielo aperto. È inutile, scriveva Majakovsky prima di suicidarsi, “rinfacciarsi i torti reciproci”. Il problema mi pare assai più generale e prescinde dai caratteri dei due contendenti, come dai calcoli individuali o di schieramento. Riguarda piuttosto la politica nell’epoca della sua evaporazione ideologica. Più del teatrino dei due galli nello stesso pollaio obbligati ad affermarsi l’uno contro l’altro, utilizzerei la metafora, altrettanto nota, del dito con l’unghia sporca che indica la luna. Restare a osservare l’unghia sporca – sempre quella dell’altro ovviamente – impedisce, lo sappiamo, di contemplare la bellezza della luna. È questo un problema che la vita politica contemporanea – non solo quella del nostro Paese – patisce profondamente. È una delle ragioni che hanno sospinto recentemente Elly Schlein ad una vittoria inattesa. Ci voleva uno strappo, una discontinuità col passato, un movimento in avanti. Perché la crisi della politica implica anche la spinta a farla risorgere dalle ceneri, ovvero la necessità di rendere ancora possibile la visione della bellezza della luna. E non mi stupisce che Schlein debba gran parte della sua affermazione all’essere una leader capace di esprimere la forza e il coraggio della giovinezza. La sua vittoria scaturisce, infatti, ben al di là dei contenuti specifici del suo programma, se non, a mio avviso, addirittura in contraddizione con alcuni di essi, dall’incarnazione persuasiva di una passione che non arretra di fronte agli ostacoli e che sa coinvolgere in modo avvincente le nuove generazioni. Ma è indubbio che la politica ai tempi della sua evaporazione, comporti per lo più il fiorire di leadership sempre più narcisistiche e sempre meno al servizio della comunità. Questo restringe fatalmente l’orizzonte del pensiero politico a quello del proprio Ego e alla difesa dei suoi prestigi.

È quello che inevitabilmente penseranno gli elettori che hanno votato Terzo Polo e che si aspettavano, come promesso in campagna elettorale, la costruzione di un progetto politico dal respiro ampio e non una divisione repentina di fronte alla prima difficoltà. Insomma la speranza era quella di vedere un po’ di luna e non di concentrarsi in modo miope e triste sul dito sporco dell’altro. In questo senso il fallimento del progetto politico del Terzo polo, per alcuni commentatori politici annunciato già da tempo, fa riflettere sullo stato di salute non tanto dei due leader impegnati in questa contesa, ma ancora una volta sulla passione politica in quanto tale. Possibile che l’idea alta dell’arte della politica come servizio dedicato al bene comune e come perseguimento dei propri ideali sia sempre più trascinata verso il basso, verso dispute individualistiche, verso calcoli opportunistici, verso la coltivazione di regni personali nella dimenticanza sistematica del suo compito civile? Il problema che il naufragio del Terzo Polo pone – se davvero risultasse, come pare, irreversibile – concerne il rischio che la politica diventi sempre più, come direbbe Spinoza, una passione triste.

Fonte: La Stampa