“Un inchino politico e morale al potere centrale, un tradimento istituzionale nei confronti delle 94 vittime del naufragio di Cutro”: è quanto afferma la “Rete 26 febbraio” – il coordinamento di associazioni e movimenti costituito a Crotone all’indomani della tragedia avvenuta sulla spiaggia di Steccato di Cutro – a proposito della decisione della Regione Calabria di ritirare la richiesta di costituzione di parte civile che aveva avanzato all’udienza preliminare del processo che si sta celebrando davanti al Tribunale di Crotone nei confronti di sei persone: quattro militari della Guardia di Finanza e due della Guardia Costiera, accusati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo, conseguenza dei ritardi che si sarebbero verificati nei soccorsi ai migranti naufragati a Cutro. Dopo aver “annunciato in pompa magna” di volersi costituire parte civile – scrive la Rete in una nota – “il clamoroso passo indietro”, che la Regione ha così motivato: “non sapevamo che gli imputati fossero sei militari italiani”. Per il coordinamento una “grottesca ammissione di ignoranza” che in realtà nasconderebbe altro: “invece di ammettere di essere stati presi per le orecchie da qualche ministro o sottosegretario, la Regione Calabria, dopo aver pagato l’avvocato con soldi pubblici per preparare l’istanza e depositarla, preferisce la figuraccia: passare per ignorante e maldestra, oltre che giuridicamente incompetente”. La Rete ricostruisce dunque quanto sarebbe accaduto. “I processi ai cosiddetti ‘scafisti’ per i fatti di Steccato di Cutro si sono conclusi tra il 2024 e l’inizio del 2025. La stessa Regione Calabria era parte civile in quelle cause, ottenendo anche risarcimenti. Eppure oggi, con gli imputati in divisa, cambia tutto. Perché? Semplice: i sindacati delle forze dell’ordine hanno protestato, e da Roma è arrivato il diktat. A confermare l’intervento diretto del ministro Salvini – aggiunge la nota della Rete 26 febbraio – è stato lo stesso sindacato Usim (Unione Sindacale Italiana Marina), che ha esultato per il ritiro della Regione, definendolo un risultato ‘ottenuto grazie all’intervento del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti’. Sconcertante. Un fatto che conferma come Occhiuto sia nelle mani di Salvini e non possa agire in autonomia”. Per il coordinamento si tratta di “un atto di sudditanza politica che getta una luce sinistra sulle scelte del centrodestra in Calabria: forte con i deboli e pavido con i potenti”. Una critica, infine, anche ai Comuni di Crotone e di Cutro che “hanno evitato di costituirsi parte civile per una vicenda che ha toccato da vicino le due comunità”.
Sulla stessa scia anche l’Arci di Crotone il cui presidente, Filippo Sestito, afferma che “le istituzioni calabresi, invece di dimostrare autonomia e coraggio, si sono piegate a pressioni esterne, rivelando un atteggiamento ambiguo e servile che mette in discussione la loro credibilità”. Per l’Arci “la richiesta di ritirare la costituzione di parte civile da parte della Regione Calabria, calata dall’alto, rappresenta un insulto alla memoria delle vittime e un esempio di come si possa mettere in secondo piano la verità e la giustizia per compiacere interessi politici di parte”.
Non meno critico il giudizio riservato ai Comuni di Crotone e Cutro, accusati di non essersi costituiti parte civile nel procedimento giudiziario: “Questo atteggiamento di omertà politica e di assenza di impegno istituzionale rappresenta un segnale preoccupante di come alcune amministrazioni locali si stiano lasciando condizionare da logiche politiche inaccettabili, lontane dai valori di solidarietà e rispetto per la vita umana” si legge nella nota dell’Arci. Di “figuraccia colossale” parla poi il circolo di Crotone del movimento Demos, fondato dal deputato Paolo Ciani. Secondo il movimento, la scelta dell’esecutivo regionale di ritirare la costituzione di parte civile “non è solo goffa: è offensiva. Per le vittime, per le loro famiglie, per chi ancora crede che giustizia significhi cercare la verità, anche quando fa male, anche quando mette in discussione pezzi dello Stato”. Demos denuncia quindi “un’idea distorta, ideologica e profondamente iniqua dello Stato. Uno Stato che non difende le sue vittime, ma i suoi apparati. Che non si schiera con chi ha perso tutto, ma con chi ha tutto da perdere”. (AGI)
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