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Strage Bologna: giudici, da Fioravanti-Mambro-Cavallini falsità

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“La dimensione primaria del giudizio sul fatto è quella che ricollega le persone di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro alla fase esecutiva della strage, in Bologna, la mattina del 2 agosto 1980. Ciò perché da tale presenza deriva in via logica, ma con certezza, la falsità delle dichiarazioni rese da Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini su quanto avvenuto la mattina del 2 agosto 1980 (la comune gita a Padova). Vi è un legame indissolubile tra questi quattro soggetti, confermato a distanza di 40 e più anni dalla istruttoria del presente giudizio”. Così i giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso gennaio hanno reso definitiva la condanna all’ergastolo per Gilberto Cavallini, per concorso nella strage di Bologna del 2 agosto 1980, in concorso con gli altri ex Nar, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
“Se pertanto Fioravanti e Mambro erano a Bologna la mattina del 2 agosto 1980 – sottolineano i giudici – la versione fornita nel corso del tempo da costoro, ma anche dal Cavallini, non è soltanto contraddittoria intrinsecamente o non dimostrata, ma è falsa”.
I giudici evidenziano, poi, che il processo a Cavallini “si è celebrato a distanza di più di 40 anni dal tragico fatto delittuoso che ha scosso, nel profondo, la coscienza collettiva del nostro Paese. Verrebbe dunque da pensare che sia un mero esercizio storicistico, più che giuridico, con sostanziale inutilità di un processo penale. Invece così non è, se – ed in quanto – la ricostruzione dei fatti non si limiti ad essere un ‘affresco storico’, ma sia un atto capace di cogliere, al di là di ogni ragionevole dubbio, aspetto di verità sulla contestazione di concorso nel reato”.
“La verità processuale, in rapporto alla commissione di reati di enorme gravità e che non tollerano prescrizione, è uno dei compiti essenziali di uno Stato di Diritto – ricordano i giudici – ed è quello che la Magistratura è tenuta a offrire al popolo italiano, nel cui nome amministra giustizia. Esiste un diritto all’accertamento dei fatti, in casi di crimini di particolare gravità, che non si ricollega alle sole vittime, ma che appartiene all’intera collettività”. (AGI)
BO3/LIL